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And Just Like That – I 60 sono i nuovi 20, ma anche meno

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Ho 28 anni, quest’anno ne compirò 29 e sono in quella fase della vita in cui mi sento troppo vecchia per fare praticamente qualsiasi cosa. Troppo vecchia per mangiare pesante a cena senza ricorrere a un Geffer. troppo vecchia per fare tardi la sera e svegliarmi presto la mattina riuscendo a reggere la giornata. Troppo vecchia per andare a rimorchiare a una serata. Mi sembra che il tempo per il mio corpo e la mia psiche scorra a velocità x2 e che alla mia età anagrafica corrisponda la forza vitale di mia nonna. Eppure tutti intorno a me continuano a dire che i 30 sono i nuovi 20, che questo è il momento in cui dovrei sentire di avere il mondo in mano. Eppure l’unica cosa che stringo tra le mani quotidianamente è una tazza di tisana digestiva fumante mentre guardo la mia puntata giornaliera della serie tv di turno. Serie tv che a volte proprio non mi aiutano. Un esempio su tutti? And Just Like That.

Eh sì, perché mentre la sottoscritta lotta quotidianamente con se stessa per cercare di non percepirsi come la versione femminile di Matusalemme, le quasi sessantenni protagoniste della serie vivono le loro esistenze come se fossero giovani newyorkesi agli albori della gioventù. A capitanarle, ovviamente, c’è sempre Carrie. E invece di prendere il loro comportamento come un modello positivo per la mia vita sociale, cosa faccio? Puntata dopo puntata, nelle settimane in cui ho guardato la serie, io non ho fatto altro che pensare un’unica cosa: suvvia ragazze, anche meno.

Carrie & Co: eternamente giovani

And Just Like That

Quando la realizzazione di And Just Like That è stata annunciata, ormai tre anni fa, da grande fan di Sex and the City ammetto di aver avuto un po’ di paura. Certo la mia età non mi ha permesso di essere una spettatrice della prima ora della serie madre, cominciata quando avevo appena tre anni. Però la mia visione posticipata mi ha comunque sempre portato ad apprezzare il racconto di un’epoca della quale sono stata spettatrice indiretta ma estremamente affascinata. Il fatto è che Sex and the City è una serie eterna, e a renderla così speciale non è stata tanto l’ambientazione patinata. Ma neanche le incredibili vicende delle protagoniste (anche se sì, certamente hanno aiutato). Ciò che la rende speciale è la schiettezza e la sincerità con cui sono riuscite a raccontare la complessità di una generazione.

Carrie, Samantha, Miranda e Charlotte alla fine degli anni Novanta hanno – chi più chi meno – ormai superato i trent’anni, ma non corrispondono minimamente al classico stereotipo della donna moglie e madre con cane pastore al guinzaglio in un quartiere residenziale. Non hanno almeno all’inizio relazioni stabili ma sono invece ricche di soddisfazioni professionali. Sono sessualmente attive e affiancano ai loro problemi la capacità di divertirsi e la voglia – quella vera – di stare insieme. Donne indipendenti e irriverenti, senza peli sulla lingua, fiere di essere se stesse. Sono donne diverse e complesse alle prese con problemi reali. In più, il fatto che le loro preoccupazioni riflettano quelle di una fascia di popolazione medio-alta (o forse sarebbe meglio dire alta e basta) che non deve fare i salti mortali per mettere un piatto in tavola, non significa che siano meno importanti.

Ognuna di loro è espressione del tempo che vive e soprattutto di un’età nella quale non ci si può ormai più ritenere giovanissimi.

Un’età in cui, nonostante ciò, si ha ancora davanti tutto il tempo di realizzarsi come si vuole. Ecco, forse quest’ultima parte della riflessione dovrei prenderla come mio mantra personale. Insomma, con un benchmark seriale del genere penso sia comprensibile qualche remora rispetto all’idea di un sequel.

E infatti come non detto: facevo benissimo ad averne. Chi di voi ha seguito insieme a me And Just Like That attraverso le recensioni degli episodi della seconda stagione sa già che c’è stato più di un aspetto della serie che proprio non mi è andato giù. Non ho particolarmente apprezzato i personaggi secondari. Non sono stata così d’accordo con la relazione tra Che e Miranda, perennemente in un equilibrio troppo precario per essere apprezzabile e a mio avviso durata fin troppo.

Ma soprattutto, proprio non riesco a mandare giù il fatto che quelle che erano, in Sex and the City, donne consapevoli e concrete si siano trasformate nel suo sequel in tre protagoniste alla vigilia dei sessanta che si trovano impelagate troppo spesso in ragionamenti e dinamiche da ventenni che ancora non ne sanno abbastanza. Eppure abbiamo visto da dove vengono, ne abbiamo seguito gli sviluppi e le vicende per una serie intera e due film. Diciamolo: sappiamo benissimo che non è così.

And Just Like That non è riuscita a creare quella verità che proprio ci manca

And Just Like That
And Just Like That

La New York raccontata da And Just Like That è una città molto diversa rispetto a quella che ricordavamo, e lo stesso vale per le protagoniste che la vivono. Partiamo da Charlotte, l’unica tra le tre ad aver mantenuto una coerenza rispetto alla se stessa di Sex and the City. Da sempre la più romantica e meno pragmatica del gruppo, il personaggio al giorno d’oggi non ha perso il suo bisogno di apparire sempre al meglio agli occhi del prossimo. Anzi, non contenta ha trovato un’amica che rappresenta proprio questo lato di sé ma moltiplicato all’infinito.

La sua perfezione viene per fortuna mediata da Lily, che per quanto simile alla madre ne è una versione più contemporanea, e da Rock che rivelando ai genitori la sua identità di genere li mette di fronte al fatto che l’apparenza in realtà conta molto meno dell’essenza. Morale della favola: anni dopo averla lasciata, mi sarei aspettata di trovare una donna un po’ meno legata alle aspettative e a quella perfezione che l’ha sempre caratterizzata. Ma tutto sommato, forse, questa immaturità esiste solo nella mia testa e Charlotte funziona proprio così com’è.

Ma passiamo invece ai punti davvero problematici della serie, ossia a quei personaggi che tendono quasi a regredire invece che ad andare avanti.

Per quanto mi dispiaccia ammetterlo, Miranda Hobbes è per me la delusione più grande di And Just Like That. E mi dispiace perché, nella sua “versione originale”, si tratta di uno dei miei personaggi preferiti di tutta la serialità. Mi spiego meglio. Al percorso di Miranda sono affidati alcuni temi che, ormai intrinsechi dell’attrice che la interpreta, il personaggio fa propri e porta sullo schermo. Infatti, è grazie a lei che si parla di orientamento sessuale, della possibilità di scoprire se stessi anche in età adulta.

Ma soprattutto, della volontà di perseguire ciò che davvero ci appassiona anche se ormai sentiamo di aver già definito tutta la nostra vita. Sono dell’idea che sia giusto e doveroso che il sequel di una serie così rivoluzionaria, e a suo tempo contemporanea, come Sex and the City sia altrettanto contemporaneo. Che dia spazio a tematiche delle quali oggi più che mai è fondamentale parlare. Ma le modalità con cui queste vengono introdotte nella vita di Miranda lasciano un po’ (molto) a desiderare.

Tralasciando il fatto che soprattutto la prima stagione stravolge completamente il personaggio di Steve, è il modo in cui Miranda reagisce ai suoi stessi cambiamenti a non essere coerente. Quest’ultima passa dall’essere una donna decisa all’essere una sottona. Un personaggio disposto a trasferirsi dall’altra parte del Paese per una relazione che palesemente non è equa né sana. Tornare all’Università non significa tornare ad avere 20 anni, eppure Miranda sembra proprio in quella fase della sua vita. Non riesce a trattenersi dal fare sesso nella cucina della sua migliore amica convalescente, ma soprattutto fatica ad assumersi la responsabilità delle sue scelte e ad ammettere che ci sono ambienti che non fanno per lei. E forse sul finale della seconda stagione comincia ad andare un po’ meglio, ma ormai il danno è fatto.

E poi c’è lei, Carrie

And Just Like That comincia con una Carrie diversa da quella che eravamo abituati a vedere. Una Carrie che cucina insieme a Big e che si gode finalmente la sua serenità di coppia. L’idillio fa però presto a scomparire. La morte di Big è l’inizio di un lutto dal quale con il tempo si può cominciare a uscire ma che resta sempre lì. Indelebile come i ricordi vissuti con chi non c’è più. La storyline del personaggio durante la prima stagione della serie si concentra per la maggior parte del tempo proprio sull’elaborazione del lutto da parte di Carrie. Approfondisce le sue difficoltà, i momenti di sconforto nei quali sprofonda proprio quando pensa che le cose stiano andando meglio. Insomma, niente da dire per il suo personaggio che, proprio come chi vive il lutto nella vita reale, lo affronta tra alti e bassi come sa e come può.

And Just Like That
And Just Like That

Il problema però nasce nella seconda stagione. Quando? Nel momento in cui gli sceneggiatori hanno pensato qualcosa del tipo “Ok, basta, Carrie ha sofferto abbastanza, diamo inizio alla sua seconda gioventù“. E così sia. Carrie comincia a frequentare una persona dalla quale però non vuole niente di serio. Poi si becca il Covid per flirtare con un gruppo di ragazzi molto più giovani di lei in un locale. E ancora finisce per andare quasi a letto con un uomo che per colpa sua era caduto dalla bici. Poi, dulcis in fundo, torna con Aidan.

Colui che lei stessa aveva lasciato male quando nella sua testa sotto sotto c’era solo e sempre Big.

È vero che nella vita si matura e si cambia, e quindi magari Aidan era stato la persona giusta nel momento sbagliato, ma Carrie arriva addirittura a definire un errore la sua scelta di lasciarlo vent’anni prima. Quasi come se tutto quello che la vita le ha dato dopo non avesse più importanza. Proprio come una ragazza molto più immatura di quello che lei dovrebbe essere, si ritrova praticamente a sputare nel piatto in cui ha mangiato per metà della sua vita.

E già che si trova – perché quando si è giovani si corre – compra una casa gigante per ospitare i figli di Aidan che ha incontrato mezza volta nella sua vita. Come andranno le cose tra loro nella terza stagione, visto il modo in cui è terminata la seconda, non è dato sapere. Ma non mi aspetto che Carrie apra gli occhi sul fatto di essere una donna ormai adulta con i desideri di una ragazzina.

Se non si fosse capito, And Just Like That mi ha delusa

Non che non ci siano stati anche momenti alti nella serie, ma non regge il confronto con il capolavoro del quale è il sequel. Da nessun punto di vista. In particolar modo, quando si parla dell’evoluzione dei personaggi. Se è vero che sentirsi vecchi da giovani è deleterio, questa serie ci dimostra quanto sia altrettanto deleterio sentirsi troppo giovani quando non lo si è più. Ed è vero anche che non è mai troppo tardi. Ma non lo è quando si riesce a fare i cambiamenti dei quali si sente il bisogno con la giusta consapevolezza. Quella di una vita in buona parte già vissuta.

Carrie, Miranda e Charlotte il più delle volte sembrano non capirlo. Prese come sono dalla volontà – o forse dal bisogno – di vivere le loro vite come ai vecchi tempi quasi vi restano intrappolate. Ma allora dove è finita la capacità di essere al passo con i tempi? Beh, pare che sia rimasta negli anni Novanta.