“And Just Like That, It All Went Wrong” è stato il verdetto del New York Times. Il sequel di Sex and The City – o forse sarebbe più opportuno chiamarlo spin-off? – è arrivato in Italia lo scorso Natale creando scompiglio e divisioni epocali. La serie di Darren Star, in fondo, ha sempre avuto il superpotere di fomentare il chiacchiericcio; positivo o negativo che fosse. Nei primi anni 2000 ha scioccato l’opinione pubblica, proponendo delle tematiche forti, e non ha mai smesso di far parlare di sé. Lo abbiamo amato, venerato, bastonato e analizzato scrupolosamente. Poi è arrivato And Just Like That e il chiacchiericcio ha preso tutt’altra forma. Perché anche tra coloro che amano lo show, e seguono piacevolmente il suo ritorno, non mancano le perplessità. C’è qualcosa che non quadra. A una manciata di puntate dalla conclusione, cerchiamo di capire quel nonsoché che sta turbando la visone. E che sta deludendo perfino i più appassionati.
**Attenzione, seguono SPOILER delle otto puntate di And Just Like That**
La trama non trama
Il primo qualquadra che non cosa di And Just Like That è la trama. L’assenza di una vera e propria struttura narrativa, giunti ormai all’ottava puntata, è palese. La nuova avventura ruota attorno a situazioni circostanziali che non vengono mai del tutto approfondite né motivate. Le sceneggiature di Sex and The City erano brillanti, le tematiche innovative e il gusto di scioccare muoveva i dialoghi. Per meglio dire, le prime due stagioni avevano davvero coraggio da svendere ai saldi e partivano da presupposti originali per l’epoca. Gli episodi avevano una forte impalcatura sia verticale che orizzontale. Nel sequel la scrittura è sbiadita, manca l’ingrediente che motivi la vicenda della singola puntata e che sappia legare gli episodi l’uno all’altro. C’è la morte di Big (Chris Noth). C’è un nuovo romanzo. C’è l’alcolismo di Miranda (Cynthia Nixon). Ci sono tematiche (spacciate per) attuali… E tanti altri spunti che restano lì a fluttuare, sospesi, come se Carrie (Sarah Jessica Parker) non riuscisse più ad afferrarli per imprimerli sulla carta. I personaggi, poi, conservano tutti i lati negativi dell’originale, ma hanno perso le qualità che li rendevano interessanti. All’epoca il contrasto e le debolezze erano la fonte della loro ironia, ora sembrano solo delle macchiette.
Gli small talks si sono trasformati in old talks
La leggerezza e gli small talks che hanno appassionato lo spettatore di Sex and The City hanno lasciato il posto a delle tematiche complesse che gli sceneggiatori non sanno come affrontare. Il mondo intorno alle quattro amiche (meno una!) è cambiato. Ma dove hanno vissuto finora? Sembrano essersi risvegliate da un letargo che dura dal 2004. Non c’è ritmo, non c’è sesso e non c’è la Città! La serie originale aveva un episodio a prova di bomba. L’arco narrativo della puntata ruotava intorno a una domanda che Carrie si poneva per scrivere il suo prossimo pezzo. Successivamente, il tema veniva sviscerato, utilizzando i punti di vista delle amiche che, come un filtro, restituivano quattro diversi, e antitetici, modi di guardare il mondo.
In And Just Like That non c’è nemmeno l’ombra di una struttura così funzionale. Non c’è coerenza nelle timeline e soprattutto non c’è Samantha Jones (Kim Cattrall). Troviamo solo un’infinità di argomenti tappabuchi. I personaggi si legano ad altri personaggi perché è stato scritto così e non perché ci sia un’evoluzione coerente e progressiva nelle storyline. Il ritmo comico è in ritardo di quindici anni. Sex and The City trattava argomenti forti, con una certa dose di audacia, come il cancro al seno, l’autoerotismo femminile, la suocera malata e l’infertilità. Il sequel, invece, punta tutto sull’inclusività, ma è incapace di prendere una posizione. Non sentite anche voi quel curioso odore di boomer? Che non proviene certo dai personaggi invecchiati, ma dagli ideatori dello show. Il “boomerismo“, cioè l’incapacità di comprendere il cambiamento che ci circonda e lo sforzo, invano, che compiamo per adeguarci. Il sequel avrebbe potuto narrare con intelligenza quel divario generazionale tra i gli over 50 e un mondo che corre sempre più in fretta. E in parte ci prova, ma cade a ogni tentativo perché non ha deciso ancora cosa vuole raccontare davvero.
L’inclusività, questa sconosciuta
And Just Like That urla così forte inclusività da steccare ogni nota. Come lo zio ultra cinquantenne che arriva alla festa di compleanno di suo nipote ascoltando Cardi B e sfoggiando un paio di jeans strappati illudendosi di sembrare al passo con i tempi. Il sequel è sicuramente inclusivo nella forma, ma non certo nello spirito. La responsabilità non è né di Charlotte, Miranda né di Carrie. Piuttosto di Sarah Jessica Parker che, insieme a Michael Patrick King e Cynthia Nixon, è la produttrice esecutiva della serie. Sembra quasi che abbiano aperto un fantomatico “manuale dell’inclusione” per applicarlo alla lettera allo scopo di adeguarsi alla sensibilità attuale ed evitare qualunque accusa.
Un tentativo svogliato di mettere le mani avanti, insomma. Ma non ci crede davvero. Ogni personaggio è stato dotato del suo personale inclusive-pack, con all’interno una spalla di una diversa etnia oppure qualcuno appartenente alla comunità LGBTQ+. La figlia di Charlotte è diventata il banale stereotipo del “maschiaccio”. Il dibattito sui pronomi è un tentativo posticcio di fare ironia su una tematica su cui oggi cerchiamo disperatamente di venirne a capo per trovare una soluzione davvero inclusiva; mentre And Just Like That sfrutta solo per strappare qualche sorriso, sfociando nel cringe. Non c’è chiarezza d’intenti. Lo show combatte per un mondo più inclusivo, e nel tentativo inciampa maldestramente, oppure sta ridicolizzando volutamente il dibattito? Perché siamo davvero confusi.
Vecchio è brutto?
Assolutamente no! L’invecchiamento, la demenza senile e l’accettazione del tempo che passa sono tematiche favolose che hanno trovato un terreno fertile sia nella serialità, sia nel cinema. Basta guardare agli esempi più riusciti, come Grace and Frankie, Il Metodo Kominsky e allo strepitoso film, The Father, con Anthony Hopkins e Olivia Colman. Eppure abbiamo l’impressione che And Just Like That voglia sussurrarci: “vecchio è brutto”. Nei primi anni 2000 i fan volevano sentire il tintinnio dei Martini nella New York glamour e sognare insieme a Carrie. I fan sono invecchiati, come è invecchiata Carrie, ma i 50enni di oggi non sono affatto come lo show li dipinge. Il traguardo dei temuti 50, nel sequel, viene visto negativamente. Un po’ come all’epoca vedeva lo status di single. Carrie aveva già difficoltà a integrarsi negli anni 2000. I suoi tentativi erano goffi, ma almeno erano divertenti. La vecchiaia è percepita come un peso, perché lo show continua a rincorrere l’utopia dell’eterna giovinezza. E così i favolosi capelli grigi di Miranda vengono visti come uno stigma, piuttosto che come la celebrazione dell’affermazione di sé, a qualunque età. Di nuovo: And Just Like That, su quale carro vuoi salire?
Le protagoniste hanno trascorso gli ultimi quindici anni nell’agio, a New York: patria di innovazione e trasgressione. Sono donne di cultura, eppure gli sceneggiatori vogliono farle passare come delle tenere e smemorate signore. Come una vecchina con la forma mentis di un’anziana donna d’altri tempi, e con la demenza senile, che si risveglia dal coma dopo cent’anni di solitudine. Quando nessuna di loro lo è davvero. Ad esempio, l’alcolismo di Miranda, e il disagio che sta attraversando, è un tema attuale ricco di implicazioni affascinanti, che però hanno gestito senza cognizione di causa. Sono bastati due discorsetti improvvisati per svuotare il problema nel lavandino e passare al prossimo.
Big è morto, lunga vita a Big
Sappiamo che dietro la morte di Mr. Big si nascondono retroscena e decisioni che forse non scopriremo mai. Vicissitudini a parte, la morte del suo personaggio è stata di sicuro una scelta (forse l’unica) davvero coraggiosa: hanno ucciso il principe azzurro, e tutto nella prima puntata. Una svolta così estrema avrebbe potuto dare a And Just Like That un twist succoso, degno della prima stagione della serie originale. E invece non lo è stato… La morte di Big sembra essere stata buttata là solo per togliere di mezzo il personaggio e creare il pretesto che rende Carrie di nuovo single. Ma l’evento infausto non ha innescato nessun meccanismo interessante di causa-effetto. È come se Big non fosse mai esistito. Risucchiato via dall’armadio per fare spazio a nuovi abiti. Invece in Sex and The City la sua presenza era ingombrante. Perfino quando non c’era, il suo peso si percepiva e faceva succedere cose. Carrie deve imparare ad affrontare il suo lutto, ma gli sceneggiatori dovrebbero prima capire come sfruttare al meglio la morte del principe azzurro.
Ah, Steve!
La nota più dolente del sequel ha i capelli grigi e l’apparecchio acustico. Steve Brady (lo smagliante cinquantasettenne David Eigenberg) è stato trasformato di botto e senza senso in un novantenne col cappello a bordo di una Panda. Perché And Just Like That è stato così crudele con il suo personaggio? Anzi, con tutti i personaggi maschili. Il suo Steve è stato brutalmente ridicolizzato e non ha avuto nemmeno l’occasione di dire la sua. La screenwriter Elisa Zuritsky ha risposto alle accuse dei fan negando un qualsivoglia atteggiamento anti-Steve e argomentando che:
Le coppie mature si allontanano sempre più e le persone fanno i conti con ciò che il loro partner è o non è in grado di soddisfare. La storia di Miranda è comune a un certo percorso che tante donne stanno percorrendo proprio in questo momento.
Niente di più condivisibile e giuso. Ma questo non li autorizza a snaturare un personaggio. Miranda ha tutto il diritto di sentirsi delusa dalla sua vita sentimentale, ma è un suo problema. È ammirevole mostrare che anche a 50 anni si possono intraprendere nuove strade. Ma gli sceneggiatori hanno pensato di legittimare la sua insoddisfazione dando la colpa alla prematura e grottesca demenza senile di Steve. Nonostante Miranda dica il contrario. Sembra che l’ex avvocato faccia quel che fa solo “per colpa” di suo marito rinc*****o. Questa non è la rappresentazione di ciò che sta accadendo a molte donne. È piuttosto l’effetto di una scrittura pigra e incerta.
Un’assenza insostenibile
Kim Cattrall è pronta per How I Met Your Father. Nei suoi pensieri, probabilmente, non c’è posto per And Just Like That. Le divergenze creative e personali tra l’attrice anglo-canadese e Sarah Jessica Parker sono arcinote. Cattrall ha affermato innumerevoli volte che non sarebbe tornata nel sequel. Eppure i fan la reclamano a gran voce. E anche il progetto ci spera ancora. Si percepisce da ogni puntata, che sembra implorare in ginocchio il suo ritorno. L’esclusione non è stata una scelta narrativa, ma la sua sottotrama meritava comunque maggiore impegno. La vena ironica e progressista è stata estirpata di getto con una motivazione imbarazzante: si sarebbe trasferita a Londra dopo aver litigato con Carrie. Quindi il suo trasferimento dall’altra parte del mondo – in piena pandemia! – sarebbe un capriccio nei confronti di un’amica che non la vuole più come manager!? What!? Ci pare un gesto immotivato per un personaggio forte e determinato come il suo. New York è gigantesca, bastava non frequentarsi più. And just like that… uno dei personaggi più amati della storia è stato liquidato senza addurre spiegazioni narrative decenti. Va bene lasciare le porte aperte. Ma dubitiamo che Kim Cattrall si lasci convincere dopo il trattamento che è stato riservato a Samantha. Tutto ruota sempre intorno all’egocentrica Carrie: lei è la vittima abbandonata da un’amica ingrata e capricciosa.
And Just Like That contiene anche dei notevoli picchi di ironia
Non c’è dubbio che sia una visione appagante e stuzzicante. L’appuntamento con vomito della settima puntata è esilarante. Che Diaz è un personaggio solido, ma non può colmare l’assenza di Samantha. Certamente i fan hanno avuto l’occasione di ritrovare (quasi) tutti i loro personaggi preferiti. Sognare ancora una volta con Carrie e i suoi outfit, e rivedersi nelle sue discutibili scelte di vita. Ma considerando cosa abbiamo visto nelle otto puntate, questo non sembra nemmeno più un sequel. Tantomeno un reboot o uno spin-off. Ma nemmeno un revival. Piuttosto sembra un tentativo di rianimare qualcosa che funzionava bene nel passato e che ora, per mancanza di impegno, fatica a stare in piedi.
L’ottava puntata ha aperto un piccolissimo spiraglio. Non ci resta che aspettare le ultime due e sperare che Sex and The City abbia finalmente capito cosa vuole essere oggi.