Finalmente Carrie ritorna alla sua finestra, come fosse la cornice della sua vita e anche un po’ delle vite di tutti noi. La leggerezza del raccontare l’esistenza è tornata e, anche se ha fatto un giro immenso, ci ha allietato nuovamente con il suo brio e con quel barlume di speranza che è stato il leitmotiv di questi primi sette episodi di And Just Like That, seppur alternando alti e bassi.
L’inizio della settima puntata di And Just Like That ci è sembrato quasi una giustificazione a tutto ciò che abbiamo visto in precedenza.
La leggerezza della gioventù, i mille appuntamenti in giro per la Grande Mela, e la corsa all’anima gemella erano un po’ il cardine di Sex and The City. Era ciò che avevamo imparato a conoscere e amare. Qualsiasi cosa avessero portato sullo schermo, a distanza di così tanti anni, sarebbe stato oggetto di critiche e avrebbe diviso il pubblico. Così è stato.
Fino ad ora abbiamo avuto modo di vedere episodi molto variegati, dai primi che ci hanno convinto sin da subito (qui trovate la nostra recensione) nonostante lo shock della morte di Big, fino agli ultimi che ci avevano lasciato con un po’ di amaro in bocca. Questo episodio, finalmente, rimette ogni elemento al suo posto, e ci riporta con la mente alle tanto amate small talk di Sex and The City e alla godibilità di una serie che si rivolge a un pubblico molto ampio e diversificato.
In particolare, ho apprezzato il fatto che in questa puntata di And Just Like That Charlotte e Henry abbiano avuto più spazio, lasciandosi andare anche a una sana lezione di femminismo. In un mare di scuse forzate, non dovute, di mera educazione, talvolta abbiamo bisogno di una valvola di sfogo in cui tutto sia concesso e dove sia possibile gettarsi a capofitto nella vita senza dovere scuse a nessuno.
Charlotte non ha mai brillato per simpatia, ma la sua storia con Henry è sicuramente una delle mie preferite di Sex and The City, e anche nel revival in questione Henry mi aiuta ad apprezzare maggiormente Charlotte. Il loro è un matrimonio che funziona perché rifugge dalle fiabe, nonostante Charlotte sembri appena uscita da una di queste. Le loro discussioni ci riportano al realismo dell’amore, con i diverbi che diventano parte intetgrante dello stesso ma che non fanno mai dubitare dell’amore dell’altro.
La situazione è totalmente capovolta, invece, quando si tratta di Miranda e Steve.
La loro relazione è chiaramente arrivata al capolinea, nonostante i tentativi (svogliati) di Miranda di salvare il loro matrimonio e la loro intimità. Addirittura, nell’incontro fortuito con la sua professoressa, Miranda sembra quasi imbarazzata da suo marito, come se la sua senilità prematura (questo non lo supereremo mai) la riportasse a una realtà che non le piace e da cui vuole a tutti i costi fuggire. Lei sa bene che lo scorrere del tempo ha influito anche su di lei. Si tratta di un influsso che accetta rifiutando di tingersi i capelli e rimirando fiera il grigio splendore della sua chioma. Ma, allo stesso tempo, la sua anima sembra ambire a una perdurante gioventù e a un incessante ricerca edonistica della felicità che, allo stato attuale le sembra di aver perso.
Per lei sboccia il fiore di un nuovo amore, un amore fatto di emozioni nuove e sconvolgenti, che Miranda non ha paura di affrontare. Nel frattempo Che è lì, con il suo sguardo ammiccante e la sua passione travolgente. Miranda si lascia travolgere, come fanno i bambini sul bagnasciuga con le onde salate.
In fine, abbiamo Carrrie, la buona vecchia Carrie che ci mancava davvero tanto. La Carrie con lo sguardo perso oltre la cornice della sua finestra e con le mani sempre impegnate su una tastiera per raccontarci la sua vita così diversa, eppure così simile alla nostra. La Carrie che ci fa sognare di volare su un tacco 12 e di catapultarci in mezzo alla strada per fermare un taxi al volo. La Carrie così donna, così umana e così alla moda. Carrie è tornata, e fin quando il suo volto sarà riflesso dietro una finestra lontana, e le sue dita danzeranno tra le lettere di una tastiera, a noi stanno bene gli anni che passano, sta bene la morte, il dolore, la confusione. Purchè ci sia il barlume della speranza ad accendere una scintilla nella nostra mente e nel nostro cuore.
Perché And Just Like That non è Sex and The City, non potrebbe mai esserlo e noi non potremmo mai pretendere che lo sia.
And Just Like That è come l’odore della vernice nuova su una panchina vecchia, che negli anni è stata testimone di amori, litigi, “quel tipo di coppie lì”, di primi baci, di ennesimi baci, di emozioni nuove, di nuove “onde travolgenti”, di anziani che tornano bambini e adulti che tornano adolescenti. Perché in fondo, quella vecchia panchina riverniciata ha sempre il potere di portarci lontano da una realtà per raccontarcene una uguale e diversa, con lo scintillio dei tacchi, e il tintinnio di bicchieri da cocktail. E a noi sta bene così, anche se per farlo dobbiamo balzare da una recensione positiva a una negativa, per poi tornare a meravigliarci e contraddirci ancora una volta.