Vedete, ci sono alcuni titoli in grado di trascendere lo spazio ed il tempo; titoli in grado di coinvolgere persone di qualsiasi età, estrazione sociale o collocazione geografica. Ci sono opere che semplicemente segnano un genere, sfondando quel muro culturale che troppo spesso separa il mondo Occidentale dal Paese del Sol Levante. Bleach, riprendendo il grande genere narrativo dello Shōnen manga, e in particolar modo del battle Shōnen, lo consegna definitivamente al grande pubblico, forte anche delle esperienze dei titoli a cui si ispira.
Se ad un primo sguardo Bleach può sembrare, ai più, il solito anime Shōnen – il solito protagonista adolescente dotato di grandi poteri sopiti, i soliti archi narrativi arricchiti da power up qua e là e separati da un innumerevole e spropositato quantitativo di episodi filler, il solito mare magnum di personaggi secondari, la solita vena comica – viene da chiedersi come questo anime venga spesso accostato a mostri sacri del calibro di Dragon Ball, One Piece e Naruto.
Viene da chiedersi, insomma, cosa abbia poi di così speciale.
Per iniziare, lasciate che vi raccontiamo una storia.
In una intervista del 2008 rilasciata al Comi-Con di San Diego e ripresa dal Los Angeles Times, Tite Kubo racconta lo stupore provato in merito al successo ottenuto dalla sua opera. L’autore racconta come in un primo momento fossero stati anzi gli stessi editori del settimanale giapponese Shōnen Jump a bocciare Bleach, e di come le cose cambiarono drasticamente quando Akira Toriyama in persona, creatore di quello che è considerato da molti come il miglior Shōnen manga mai realizzato – stiamo parlando, ovviamente, di Dragon Ball e Dragon Ball Z – decise di scrivere una lettera di incoraggiamento al collega, stimolando così gli editori ad un cambio di rotta e a pubblicare, nell’agosto del 2001, il primo volume di Bleach. Il manga ebbe da subito un enorme successo: milioni di copie vendute sia in Giappone che in Occidente, una trasposizione animata e ben quattro film d’animazione. Non male per essere “il solito Shōnen”, non credete?
Ecco, adesso facciamo un esercizio di immaginazione. Cosa può avere mai visto il maestro Toriyama in un manga che neanche gli editori dello Shōnen Jump erano riusciti a vedere? A cosa è dovuta, insomma, tutta questa fama?
Iniziamo dalla trama:
La storia, attingendo a piene mani dal folklore giapponese, segue le avventure di Kurosaki Ichigo, un quindicenne dalla folta chioma arancione con una predilezione per i guai, un forte senso di giustizia e la capacità di vedere e interagire con gli spiriti dell’aldilà.
Ichigo viene accidentalmente proiettato nell’universo degli Shinigami, di cui acquisisce i poteri. Resi celebri nell’immaginario occidentale dall’incredibile successo ottenuto dall’anime Death Note e dall’indimenticabile Ryuk (qui vi spieghiamo le ragioni che ci hanno condotto a definirlo un personaggio chiave) gli Shinigami – letteralmente, divinità della morte – rappresentano una importante componente della mitologia giapponese. Il loro compito, così come quello cui il giovane Ichigo decide di dedicare tutto sé stesso, è quello di guidare le anime defunte verso l’aldilà. Per farlo, verrà coinvolto in una serie di eventi che lo porteranno ad indagare sempre più a fondo non solo nel mondo degli spiriti, ma anche e soprattutto nelle sue origini.
Ogni singolo arco narrativo porta con sé nuovi sviluppi, nuove dinamiche, nuovi – e vecchi – personaggi. Non mancheranno, potrete starne certi, colpi di scena e momenti di apprensione, così come tutta una serie di sketch comici che si dimostrano fondamentali all’interno di un’opera altrimenti profonda e cupa.
Ma un grande Shōnen si riconosce anche e soprattutto dai combattimenti. E fatecelo dire, in Bleach i combattimenti non sono secondi a nessuno. Frenetici, mozzafiato, con ritmi al cardiopalma e animati egregiamente, i combattimenti di Bleach rappresentano forse uno degli esempi di animazione giapponese meglio riusciti ancora oggi, a quasi vent’anni dalla trasposizione animata del manga.
Mai uguali, collocate in un power system enormemente variegato dove ogni singolo personaggio – principale o secondario, eroe o villain – è dotato di una sua crescita personale e di un suo particolare stile di combattimento, le battaglie rappresentano il cuore pulsante dell’opera.
Menzione a parte riteniamo debba essere fatta per il comparto musicale: frutto dell’incredibile talento compositivo di Shiro Sagisu, le soundtrack riescono a cogliere perfettamente l’emozione del momento, intensificandola ulteriormente. Così, nelle scene di combattimento, ad una animazione incredibilmente entusiasmante e dinamica va ad aggiungersi – ad esempio – un perfetto connubio tra chitarra elettrica e musica classica. Ma l’accostamento tra immagini e sonoro si rivela essere incredibilmente sinergico anche all’interno di scene meno frenetiche e dinamiche: nelle scene più concitate, o che portano con sé un carico emozionale particolarmente intenso, siamo certi che non sarete in grado di trattenere le lacrime.
Bleach si presenta insomma come un battle Shōnen da manuale, la cui forza deriva esattamente da questo: non solo un classico Shōnen in cui è possibile ritrovare tutti gli elementi propri del genere narrativo, ma un esempio prototipico di come un’opera sia in grado di far evolvere e migliorare il suo genere d’appartenenza, pur mantenendo fedelmente l’ossatura narrativa e conservando tutti quegli elementi che lo hanno reso celebre tanto in Giappone quanto Oltreoceano.
Per amore della sua arte, che tanto ha significato per lui e per i suoi lettori, ci piace immaginare che il creatore di Dragon Ball avesse visto in Bleach esattamente questo: una opportunità, una occasione da non perdere per mostrare al mondo quanto il genere Shōnen possa essere emozionante e coinvolgente senza perdere gli elementi che lo hanno reso grande.
Sotto questa luce, Bleach si presenta come l’opera principe di un autore maturo, il coronamento di un lavoro fatto di vittorie e fallimenti. Tite Kubo, il ragazzo che dietro il banco di scuola sognava di diventare un famoso mangaka, ci ha così consegnato un’opera simbolo di un genere, un’opera che ha tutto il diritto di sedere al fianco di capolavori come One Piece, Dragon Ball e Naruto.
Perciò, se proprio non volete fidarvi di noi, fate come gli editori dello Shōnen Jump e fidatevi del maestro Toriyama, che una o due cose le conosceva bene: guardate Bleach, innamoratevi dei suoi personaggi e delle loro storie, emozionatevi davanti alle difficoltà di un protagonista mai banale, e siamo certi che non ne resterete delusi.