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I 9 anime più dark che siano mai stati realizzati


Death Note

4) Devilman Crybaby

La nascita di Devilman

Masaaki Yuasa è noto per il suo stile di animazione unico e sperimentale e Devilman Crybaby è davvero uno dei migliori anime dark che vi capiterà di vedere. Esteticamente innovativa, l’animazione dell’anime si fonda sulla presenza di sequenze visivamente mozzafiato e da un uso audace del colore e delle prospettive. Tutto volto a creare un’esperienza visiva che risulti tanto inquietante quanto affascinante. La scelta di Yuasa di adottare uno stile artistico più astratto e stilizzato rispetto al manga originale conferisce alla serie un’identità propria, rendendola distintamente moderna pur rimanendo fedele allo spirito dell’opera di Nagai.

La storia segue Akira Fudo, un giovane ragazzo dal cuore gentile, che scopre che i demoni non sono solo una favoletta per bambini. Grazie al suo migliore amico Ryo Asuka, Akira viene a sapere che l’umanità è in grave pericolo e che l’unico modo per proteggere le persone che ama è quello di concedersi al demone più potente di tutti, Amon. In questo modo Akira si trasforma in Devilman, una fusione tra umano e demone, per combattere altre entità demoniache che minacciano l’umanità. Ma la trasformazione non è affatto semplice e Akira dovrà lottare costantemente contro il demone dentro di lui per riuscire a mantenere la propria umanità e non soccombere alle tenebre.

La presenza dei demoni in Devilman Crybaby funge da metafora per le paure e i pregiudizi umani.

Mentre la paranoia si diffonde, le persone iniziano a vedere demoni ovunque, alimentando l’odio e la violenza. La paura dell’altro è quindi uno dei temi fondamentali esplorati all’interno dell’anime. Un’arma in grado di portare alla distruzione e alla perdita di umanità stessa. All’oscurità che si cela nell’animo umano si oppone però l’altra forza suprema, ovvero l’amore. Il sacrificio di Akira per proteggere chi ama e l’umanità intera è una potente testimonianza della sua crescita come personaggio.

5) Attack on Titan

La scena finale di uno degli anime migliori di sempre

Opera prima di Isayama, Attack on Titan è un anime iconico, complesso e fortemente divisivo. Come è d’altronde diviso il suo protagonista Eren Jager, antieroe per eccellenza dei tempi moderni. Contrariamente alla stragrande maggioranza dei protagonisti maschili degli anime (come Tanjiro Kamado di cui parliamo in questo articolo) , Eren non è un eroe, non è motivato da una morale ferrea, dal senso dell’onore o da una bontà d’animo innata. Il fulcro del personaggio di Eren è il desiderio bruciante di essere libero. Ed è proprio in nome di questa libertà che il protagonista è pronto a lottare, anche a costo di sterminare il mondo intero.

L’umanità di Attack on Titan vive all’interno di enormi mura per proteggersi dai Giganti, creature umanoidi di dimensioni immense, che divorano gli esseri umani senza apparente motivo. Eren, Mikasa e Armin sono cresciuti all’interno delle mura, chiedendosi sempre cosa ci fosse fuori e sognando un mondo al di là del mare. La loro infanzia si interrompe brutalmente quando i Giganti riescono ad aprire una breccia nel distretto di Shiganshina costringendoli alla fuga. Durante questa terribile carneficina, Eren vede la madre divorata sotto i propri occhi e giura di spazzare via tutti i Giganti dalla faccia della Terra. Ma il mondo non è affatto quello che Eren pensa e che, nascosta nella cantina di casa sua, è celata la verità di ogni cosa.

Attack on Titan è un anime profondamente filosofico, la cui morale ultima è la ricerca costante della libertà lo rendono uno dei migliori da vedere.

Tutti i personaggi, dal primo all’ultimo, sono convinti delle loro azioni e pensano di essere nel giusto. Il mostro è sempre l’altro da noi. Così, a prescindere dal loro background, ogni personaggio dell’anime è deciso ad avere l’ultima parola e ad agire di conseguenza. Da un passato oscuro che nessuno ricorda più, il mondo ne è uscito irrimediabilmente spaccato in due, senza che nessuno si chieda davvero il perché. Attack on Titan è dunque anche una straordinaria metafora della guerra e della sua insensatezza, dell’incomunicabilità dell’uomo e della sua innata propensione a puntare il dito.

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