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7 anime che hanno come pezzo forte una colonna sonora da brividi

4) Bleach

Bleach vanta tra le migliori colonne sonore di sempre
Credits: Prime Video

Bleach è una serie che parla di mondi che si toccano senza vedersi. Umani e Shinigami. Vivi e morti. Desideri e paure. E ogni volta che questi mondi si sfiorano, la musica cambia. Prendiamo la traccia “Number One”. È l’assalto orchestrale rock misto gospel che parte ogni volta che Ichigo entra in scena. È il suono dell’invincibilità, certo, ma è anche il suono della responsabilità e della solitudine. Perché ogni volta che Ichigo combatte, in fondo lo fa da solo. Con addosso il peso di tutti.

Shirō Sagisu, in qualche modo, ha scritto la biografia sonora di un ragazzo che diventa uomo cercando di proteggere tutti, senza sapere chi proteggerà lui. E se questo non è struggente, non so cosa lo sia.

Ma Bleach è pieno di voci contrastanti. La musica lo sa, e le porta tutte dentro. Dalle arie sinfoniche per la Soul Society, fredde e solenni, come templi in rovina, ai cori sacri per i momenti più tragici. I beat elettronici per Hueco Mundo, dove l’umano si perde e resta solo la fame. E poi c’è quel mix inconfondibile di jazz, hip-hop, e orchestrazioni cinematiche che fa da colonna portante a un mondo che è sempre in bilico fra lo spirituale e il punk.

Uno dei momenti musicali più forti è The Storm Center. È un pezzo che non ti aspetti, che parte timidamente per poi si allargarsi in una melodia solenne, dolorosa. Di solito entra in scena quando accade qualcosa di irreparabile. Alla fine, potremmo definire Bleach come l’anime degli intervalli. Fra un mondo e l’altro, fra una vita e l’altra, fra quello che eri e quello che sei diventato. E la musica è quell’unica cosa che resta uguale. Quella che ti dice: sei cambiato, ma sei ancora tu.

5) Made in Abyss

Made in Abyss vanta tra le migliori colonne sonore di sempre
Credits: Cruncyroll

L’Abyss è un enorme cratere senza fondo, pieno di creature impossibili e misteri ancestrali. Le musiche di Penkin, a tratti eteree, a tratti spaventose, restituiscono esattamente quella sensazione che si prova quando si guarda quel voto, allo stesso tempo immensamente bello e profondamente sbagliato. Sentiamo un brivido che corre lungo la schiena quando ci si affaccia sull’abisso.

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“Hanezeve Caradhina” è il pezzo della colonna sonora che nel migliore dei modi racchiude l’anima dell’opera.

Non ha un testo comprensibile, è cantato in una lingua inventata, ma non importa. La voce ci attraversa comunque, come una preghiera aliena. La percezione è ascoltare qualcosa di antico, qualcosa che viene da un tempo in cui le emozioni non avevano ancora un nome. E poi ci sono i silenzi. Perché Made in Abyss è fatto anche di attese e dell’eco lontana di una discesa senza fine. E in quei silenzi, la musica arriva all’improvviso, ma mai per caso. È sempre perfettamente calibrata. Rimane accanto allo spettatore, in mezzo al vuoto.

È difficile spiegare perché questa colonna sonora faccia così male. Forse perché è sincera. O magari perché è scritta con l’ascoltatore al centro, e non con lo scopo di stupire. Kevin Penkin non ha paura di farci stare male. Ma lo fa con una dolcezza che disarma. Alla fine, quando il viaggio nel fondo dell’Abyss si fa più duro, più cupo, e i protagonisti cominciano a perdere parti di sé — letteralmente e metaforicamente — la musica diventa sempre più intima. Come una mano che si tende nell’oscurità.

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