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La tematica della guerra è una delle più importanti nel lavoro di Hayao Miyazaki ed è possibile ritrovarla nella maggior parte delle sue pellicole. Bisogna indagare il contesto storico, politico e sociale del Giappone per comprendere la nascita del cosiddetto pacifismo utopico di Miyazaki.

Il Paese del sol levante, come spiegato dal docente e sociologo Andrea Fontana in un suo saggio, per molti secoli fu caratterizzato da una rigida chiusura nei confronti del resto del mondo.

Da metà del XIX secolo però fu costretto ad un’apertura forzata che lo pose al centro di strategie commerciali, politiche e militari. Il paese affrontò questa apertura facendo fronte unito. Tale unione generò ben presto una forma di nazionalismo estremo che si lega all’idea di sottomissione alla base dello shinto. Jean-Marie Bouissou, studioso esperto della storia giapponese, ha definito lo shinto come una ideologia della sottomissione. La rivolta contadina del XVI secolo amplificò tale concetto e l’indottrinamento dell’epoca Tokugawa lo rinsaldò. Queste componenti hanno contribuito a generare nel popolo giapponese una sorta di rispetto nei confronti dell’autorità.

A segnare l’immaginario del Giappone e di Miyazaki fu anche una delle più grandi tragedie che il genere umano ricordi, il bombardamento delle città di Hiroshima e Nagasaki, che ebbe luogo quando il regista aveva quattro anni.

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il maestro Hayao Miyazaki

L’evento sancì la fine della Seconda guerra mondiale e pose le basi per un nuovo ordine mondiale. Iniziò dunque la guerra fredda tra USA e URSS. Paradossalmente però sarà la guerra stessa ad arricchire il Giappone, a pezzi nell’immediato dopoguerra. In particolare la guerra di Corea, durante la quale la produzione industriale aumentò notevolmente e diede inizio ha una ripresa economica che sarebbe continuata fino alla fine degli anni ‘80. Il pacifismo che viene sancito a livello costituzionale diventa un vero e proprio elemento fondante di un movimento che troverà sbocco nelle proteste di fine anni ‘50 e del ‘68 alle quali parteciparono Miyazaki e Takahata.

“Probabilmente sarei diventato un giovane patriota se fossi nato un po’ prima. Sono nato nel 1941, ma non ricordo quando la Costituzione nipponica fu redatta. Quando ero un bambino, mi ripugnava che il Giappone avesse combattuto una stupida guerra. Dopo aver sentito varie storie da molte persone, ho iniziato veramente a odiare il Giappone, pensando di essere nato in un paese che faceva cose stupide. La guerra finì quando avevo quattro anni, così la mia esperienza della guerra è molto diversa da quella di Takahata Isao, che è di sei anni più anziano di me, o dell’esperienza di mia moglie, che ha tre anni in più di me. La sconfitta della guerra mi aveva umiliato.”

Il cinema di Miyazaki si dimostra dunque una personale riflessione sulla necessità di instaurare una pace universale.

In un periodo in cui aspirazioni militariste tentano il Giappone, ultimo caposaldo di un pacifismo che ben si integra con la filosofia che contraddistingue la sua storia, appare un faro di speranza il pacifismo di un autore radicalmente coerente come Miyazaki. Diversamente però da Mamoru Oshii, il quale riflette sulla necessità di una pace in termini filosofico-politici, Miyazaki guarda ad un simile argomento con occhi innocenti.

Uno dei primi aspetti che viene portato alla luce è la guerra dell’uomo contro la natura.

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Nausicaa della valle del vento

Questa viene rappresentata da un lato come dismessa, rovinata, macchiata profondamente dall’azione umana e dall’altro come forma mistica, invalicabile, a tratti autorevole. Due mondi che grazie al loro continuo contrapporsi richiedono un’incessante ricerca di equilibrio. Secondo l’autore sono figure incorruttibili a dover compiere tutto ciò, comprendendo l’importanza e il rispetto dovuto al mondo che le accoglie. Figure, per esempio, della portata di Chihiro e San.  Si tratta principalmente di bambini/ragazzi innocenti, dallo spirito gentile e non corrotti dalla bramosia di potere dell’età adulta. Hayao Miyazaki li distingue dalle loro controparti non solo a livello caratteriale, ma in primis nelle fattezze.

Il male viene immaginato e riprodotto deformato, sporco, ferito dalle sue stesse azioni. Mentre i nostri eroi vengono delineati da tratti delicati e dolci, al solo scopo di rimarcare l’anima che possiedono.

All’interno delle pellicole i nostri protagonisti vengono associati a spettri, animali fantastici e figure spirituali, legate alle leggende folkloristiche giapponesi. Il loro compito è quello di guidare l’uomo, fargli rinsavire quella coscienza primordiale di amore e rispetto verso la Terra, per non parlare dei culti del passato. Ciò che immediatamente salta all’occhio nei film Ghibli è l’atto di umanizzare questa parte del mondo. Difatti animali e spiriti risultano estremamente antropomorfizzati. Acquisiscono una coscienza superiore a quella dell’essere umano.

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Principessa Mononoke

Oltre a questo macro-discorso Miyazaki pone l’accento anche su un altro aspetto della guerra: i conflitti tra gli uomini.

Anche qui racconti e ambienti svolgono un ruolo fondamentale, riferendosi a luoghi ed eventi cruciali della storia. Al contrario di ciò che già conosciamo, Miyazaki utilizza questi archi narrativi come chiave di lettura per valori in contrasto con il passato. Vediamo dunque come i protagonisti, seguendo il modello di Marco Pagot e del mago Howl, si ribellano agli ordini imposti dalle alte funzioni, perseguendo il loro ideale di libertà.

In conclusione, lo Studio Ghibli innesca la critica sin dal cuore della storia, propagandando una nuova generazione giovanile, responsabile di contrastare le scabrosità di questo mondo.