Con l’uscita nelle sale dell’ultimo film del Ghibli, Il ragazzo e l’airone, l’attenzione su Hayao Miyazaki è elevata. Tuttavia, andiamo qui a focalizzarci su quello che è considerato il capolavoro massimo dell’opera miyazakiana, ossia La città incantata. A partire dalla sua nascita fino ad oggi, il cinema è profondamente cambiato nel corso dei decenni. Esistono numerosi cinema di nicchia o mainstream e diversi generi cinematografici ma, proprio come riscontrato da Thomas Elsaesser, possiamo attuare una distinzione tra due grandi aggregazioni cinematografiche: cinema d’autore e cinema nazionale. Due categorie da vedere come dominanti per comprendere il panorama cinematografico europeo contemporaneo. I suoi saggi contengono riflessioni anche sul cinema europeo come forma di world cinema, e vede quest’ultimo come alternativa sia ad Hollywood che al cinema d’autore europeo tradizionale.
L’ascesa del cinema d’animazione giapponese con La città incantata
Esiste però una tipologia particolare di cinema, quello d’animazione, che ad oggi è stato largamente rivalutato, arrivando addirittura ad ottenere nel 2002, con Shrek, la propria categoria all’interno delle premiazioni agli Oscar. L’anno seguente, nel 2003, è Hayao Miyazaki a vincere la statuetta con La città incantata (2001), segnando un punto di svolta per il cinema d’animazione giapponese in quanto primo film animato del Sol Levante ad ottenere tale riconoscimento. Come affermato anche da Alastair Phillips nel libro Japanese Cinema: Texts and Contexts, Miyazaki dimostra con La città incantata che il cinema giapponese, soprattutto gli anime, sono diventati una parte radicata del cinema globale.
La città incantata (liberamente ispirato al romanzo fantastico Il meraviglioso paese oltre la nebbia) prende come ambientazione introduttiva un Giappone moderno, per poi spostarsi in un regno fantastico dove la giovane protagonista Chihiro (una sorta di Alice dei giorni nostri) vive la sua avventura, nella speranza di salvare i suoi genitori dalla strega Yubaba. La storia non mira solo a intrattenere, ma anche ad educare gli spettatori. Lo fa grazie alla grande quantità di tematiche affrontate, come l’ecologismo, l’amore che riesce a sconfiggere ogni tipo di maledizione, il femminismo (nei film di Miyazaki abbiamo quasi sempre protagoniste femminili, personaggi forti che vanno contro i ruoli di genere comuni dell’animazione giapponese), il rito di passaggio che Chihiro vive e che la porta ad affrontare un percorso di crescita e maturazione, che rendono il film adatto non solo ad un pubblico fanciullesco ma anche ad un pubblico di adolescenti e adulti.
“Nel mondo degli spiriti lo straniero non è sacro. Anzi, è considerato un impiccio, tanto è che viene trasformato in maiale o usato per i lavori più umilianti e duri. Questa, in contrasto con le tradizioni culturali di molti popoli che invece ponevano lo straniero sul piano della sacralità, è invece una posizione in linea con la pragmaticità moderna”.
La città incanta ha celebrato il suo successo non solo nel suo paese d’origine, ma si è fatto strada anche negli Stati Uniti all’inizio del XXI secolo. Questo perché è riuscito a segnare un grande passo per il cinema nazionale giapponese al di fuori dei suoi confini e sugli schermi dei cittadini americani. Come ci spiega Justin Bowyer in The Cinema of Japan and Korea, questi film hanno trasformato il pensiero degli stranieri e hanno dimostrato che i film d’animazione non sono solo un “momento divertente” per bambini. Tuttavia, va notato che molti dei film di Miyazaki sono riusciti a raggiungere altre nazioni attraverso la distribuzione da parte della Walt Disney Studios Home Entertainment. I film d’animazione originari del Giappone hanno iniziato a diventare popolari intorno agli anni ’80 in America. Non molto tempo dopo l’aumento di questo interesse, la differenza rispetto alla cultura mainstream degli anime ha iniziato a diventare interessante agli occhi di Hollywood e del cinema popolare in America.
Sebbene la maggior parte dei film di Miyazaki possa essere acquistata in tutto il mondo (a parte solo poche eccezioni) Yasuyoshi Tokuma, il produttore esecutivo di molti film dello Studio Ghibli, ha dichiarato in un’intervista nel 1996 che “Hollywood è interessata agli anime di Miyazaki … anche Time-Warner una volta ci ha contattati. Il motivo per cui gli anime di Miyazaki non sono stati distribuiti a livello globale … è perché abbiamo apprezzato la volontà di Miyazaki di non voler tagliare nemmeno un minuto dai suoi film”. Miyazaki sapeva che la distribuzione dei suoi film attraverso il più grande conglomerato mediatico americano, la Disney, avrebbe cambiato le sue intenzioni iniziali e presumibilmente avrebbe trasformato le sue produzioni in duplicati di Hollywood. Tuttavia, Miyazaki non è stato in grado di proteggere completamente i suoi film dalle modifiche successive apportate dalla distribuzione americana.
Quando La città incantata è stato preparato per la sua distribuzione negli Stati Uniti, John Lasseter era incaricato della promozione del lavoro di Miyazaki ed è stato anche coinvolto nel processo di localizzazione del film. Nel commento del DVD speciale che include gli extra dietro le quinte, Lasseter parla del doppiaggio del film, dicendo: “…the goal was to have these characters be good – good acting, …, but also to have them be speaking American. So when you listen to it, it is just natural. Natural American English coming out”. Lasseter si concentra chiaramente sull’ “americanizzazione” del film, sebbene questo facesse parte del suo lavoro il desiderio originale di Miyazaki di mantenere la base naturale del film viene tremendamente perso. Miyazaki ha prodotto i suoi film senza l’intenzione di contribuire al cinema “popolare”, ma piuttosto visualizzare contenuti che hanno un significato per lui e per il paese in cui è cresciuto.
In La città incantata Miyazaki tenta di mostrare “una visione del Giappone che è in gran parte perduta dalla moderna esperienza sociale di quella nazione”, come descritto da Phillips e Stiringer. Per questo motivo, Miyazaki inizia intenzionalmente il film con la protagonista Chihiro che si sposta dalla campagna alla frenetica città prima di perdersi nel mondo magico, che è una somiglianza con il Giappone tradizionale che sta lentamente scomparendo.
Sebbene il film sia ambientato in un mondo immaginario, il regista è riuscito a mettere in relazione la maggior parte delle ambientazioni dello spettacolo con ambientazioni di vita reale e ha basato i suoi personaggi su familiari o amici. Usando questi elementi Miyazaki cerca di collegare la cultura tradizionale giapponese con il mondo contemporaneo di oggi e dimostrare quanto il Giappone di oggi sia diverso rispetto al passato. Secondo Mark Macwilliams, che offre un’analisi dettagliata del film in Japanese Visual Culture: Explorations in the World of Manga and Anime, parla del passato personale di Miyazaki e della sua convinzione che il popolo giapponese condivida un passato collettivo.
Anche se quasi tutti i film di Miyazaki (qui trovi la classifica dei suoi più belli in assoluto) sono ambientati in Giappone – di solito ambientati nella stessa epoca – La città incantata è diverso nel senso che ha un legame con il XXI secolo, con Chihiro e i suoi genitori che viaggiano “attraverso” il cancello all’inizio e la fine del film. Ma questa non è l’unica transizione che Miyazaki disegna nel film: anche lievi accenni come il cambio di vestiti di Chihiro dopo aver ottenuto un lavoro, il rapporto di Yubaba e suo figlio o il lavoro allo stabilimento balneare mostrano collegamenti con il XXI secolo e i cambiamenti che il Giappone ha subito.
Takashi Tachibana, critico sociale giapponese, sottolinea come queste piccole, ma straordinarie, caratteristiche differenziano La città incantata dal lavoro precedente di Miyazaki, dove descrive la società giapponese da un punto di vista negativo. Sebbene i suoi primi lavori, come Il mio vicino Totoro e Kiki, consegne a domicilio offrissero anche materiale più approfondito, si differenziano da questo film nel senso che il Giappone era visto come il bel paese delle tradizioni mistiche e segreti nascosti. Insomma, è stato proprio con La città incantata che Miyazaki ha deciso di ribaltare la situazione e ha rivelato i suoi veri pensieri sulla perdita dell’identità culturale in Giappone.