ATTENZIONE: questo articolo contiene SPOILER su Anna.
Chi guardando Anna per la prima volta credeva di trovarsi di fronte a un prodotto per bambini, si sbagliava di grosso. Per gli appassionati di lettura e per quanti hanno avuto modo di conoscere il lavoro di Niccolò Ammaniti nel corso degli anni, la serie tratta dall’omonimo testo dello scrittore italiano non è stata una sorpresa. Per quanto la miniserie di Sky abbia come protagonisti dei bambini, non si tratta di un romanzo di formazione, né di un semplice prodotto per ragazzi.
Rimanendo sempre fedele al proprio stile di scrittura, che affonda le radici nella tradizione della letteratura “cannibale” e ne mantiene la crudezza in più di un’occasione, Ammaniti sfrutta ancora una volta il punto di vista di un giovane (in questo caso di una giovane di nome Anna) per rappresentare, attraverso i suoi occhi, un mondo primitivo e crudele, dove la morte è l’unica, indiscussa sovrana (qui la nostra recensione).
Siamo lontani dal paradiso dei giovanissimi immaginato da Collodi con il Paese dei Balocchi. Ci troviamo in un mondo fatto solo di bambini, sì, ma in uno scenario in cui i più piccoli sono circondati da malattia e desolazione. La vera protagonista della storia non è Anna Salemi, ma l’Italia devastata da un virus che ha lasciato un’immensa scia di cadaveri dietro di sé. È un momento storico in cui più di qualsiasi altro la capacità di Ammaniti di dare vita con il suo libro (del 2015) a un contesto del genere sembra sia stata profetica, e ci ha lasciato un senso di inquietudine che è difficile scacciare via.
Attraverso lo sguardo disincantato con cui Anna osserva ciò che le sta intorno, anche lo spettatore viaggia in un’Italia divenuta feroce e spietato.
Anna era fin troppo piccola quando il panico per la diffusione della Rossa aveva iniziato a prendere il sopravvento sugli adulti. La sua mamma aveva un nuovo compagno e le aveva dato Astor, un fratellastro con cui non avrebbe voluto avere nulla a che fare. Possedeva ancora quella sana dose di purezza e impertinenza tipiche dei bambini, e non sapeva che, di lì a poco, avrebbe dovuto dire addio a ogni cosa. Non aveva idea che quel bambino di cui era tanto invidiosa e che non riusciva nemmeno a tenere per mano, sarebbe stato l’unico appiglio alla sua vecchia vita, il solo a mettere un po’ di ordine in mezzo a tutto quel caos.
Dopo aver visto morire suo padre tra tosse e spasmi fuori dal Podere del Gelso, e dopo aver capito che anche per la mamma non c’era più nulla da fare, Anna inizia a crescere fin troppo rapidamente. Deve assecondare gli ultimi desideri di sua madre e deve iniziare a prendersi cura del piccolo Astor, volente o nolente. Così segue per filo e per segno le indicazioni che, per fortuna, Maria Grazia le ha lasciato nel Quaderno delle cose importanti. Anna vede la luce abbandonare il corpo di sua mamma e scorge le tenebre impadronirsene giorno dopo giorno.
Con una lucidità sorprendente, Anna impara a guardare fisso negli occhi la morte senza distogliere lo sguardo, dimostrando di non averne paura. Non teme più il l’oscurità e ciò che si nasconde nelle notti fredde e silenziose della sua casa nel bosco. La sua anima, così come quella di tutti i bambini rimasti sulla Terra, si è spezzata, frantumandosi in un numero infinito di schegge. È per questo che cerca in tutti i modi di risparmiare ogni dolore al suo fratellino, tenendolo stretto fra le braccia per donargli quell’amore materno che non è stato mai in grado di godersi davvero e di cui non avrà mai alcun ricordo.
Nessun bambino dovrebbe affrontare da solo il mondo. Tutti meriterebbero un luogo da poter chiamare “casa” e delle persone con cui sentirne il vero calore.
Anna è una favola amara che mette in mostra una realtà degradante ma plausibile, una possibilità terrificante ma non così impensabile. In una Sicilia (e un’Italia) in cui la natura si riprende ciò che le è stato tolto da secoli e rivendica la propria smisurata presenza, la giovane Salemi combatte con tutte le proprie forze per non farsi calpestare dal dolore e dai ricordi.
Le grida disperate di Anna quando Angelica e i Blu la tengono prigioniera a Bagheria e il suo pianto dopo la tragica ma inevitabile morte di Pietro, sono i sospiri estremi di chi ha perso ogni cosa. L’amore di una famiglia, l’amore di un compagno di viaggi, la fiducia di un fratello, ma anche e soprattutto la propria innocenza. È la consapevolezza che nessuno potrà mai restituirle l’infanzia che non ha mai avuto.
Quella di Anna e di tutti gli altri bambini è una vita vissuta a metà, senza possibilità di salvezza, senza un’apparente speranza di riscatto. La libertà che i piccoli hanno ottenuto con la comparsa della Rossa ha un prezzo da pagare, e questo è impregnato dell’acre odore di sangue e putrefazione.
Eppure, le indicazioni di Maria Grazia Zanchetta sono servite a qualcosa. La bambina siciliana si fa portatrice della memoria di sua madre e della sua idea che lì fuori, da qualche parte, ci siano ancora dei Grandi disposti ad aiutare. Quindi, da un certo punto in poi, Anna mette da parte ogni scetticismo e decide di fare spazio, nel proprio cuore, alla speranza, perché non le rimane nient’altro in cui credere.
Non smette mai di lottare, perché nonostante tutto ciò che ha perso negli anni, da quando la Rossa si è diffusa nel mondo fino al rapimento di Astor da parte dei Blu, è quando non c’è più speranza né fiducia in niente che si sigla la propria definitiva sconfitta. Ma no, Anna si rialza dopo ogni caduta, dopo ogni perdita, dopo ogni singolo incubo. Non sarà certo la violenza con cui Angelica le ha tolto un braccio a fermarla, né la scomparsa di Pietro. Anzi, ora Anna ha una persona in più per cui non smettere mai di credere che le cose belle, nonostante tutto, possono ancora capitare e che quando nella tua vita non hai conosciuto altro che il dolore, la bellezza delle piccole cose è più potente che mai.