La serie Netflix Baby Reindeer (qui la recensione della Serie Tv che sta dominando le classifiche Netflix) è basata sulla storia vera del suo attore protagonista nonché creatore dello show, Richard Gadd. Ma quanto c’è di vero nella serie tv? Proviamo a scoprirlo.
C’è un uomo su un palco. Solo, assorto, avvolto dal silenzio generale. Siamo a Edimburgo, la città del festival delle arti più vasto al mondo. È il 2016 e a Richard Gadd passa di tutto per la testa. Ripensa a qualche tempo prima, ripensa a un orrore reiterato, nascosto e sopito per tanto tempo nella sua anima. Una molestia, degenerata rapidamente in violenza. Un incubo che non aveva avuto la forza di denunciare, che aveva provato a rimuovere ma che tornava pesante, ansioso nel suo petto.
E allora aveva deciso che non poteva far altro.
Aveva deciso di buttare tutto su carta, di creare uno show basato su quella violenza. Sperando di essere capito. Sperando di essere amato. Prima del MeToo. Prima che il mondo avesse contezza di cosa significasse subire il fascino di qualcuno che ti adula e ti promette che sarai famoso perché tu, sì, proprio tu, ragazzo, hai quel qualcosa che ti rende unico. E Richard c’aveva creduto perché davvero quel qualcosa di unico in sé lo aveva sempre sentito anche se gli altri non se ne erano mai accorti. Anche se non l’avevano amato.
Non che non fosse divertente. Richard Gadd da subito aveva mostrato la stoffa dell’artista performativo. Forse non un comico in senso stretto ma un irrequieto saltimbanco capace di scompaginare continuamente le carte. Aveva talento ma non riusciva a farsi amare. “Non ero un cattivo comedian“, semplicemente lo faceva nel modo sbagliato. Ma c’era stato qualcuno che aveva visto oltre quei difetti, oltre i giri a vuoto che inevitabilmente quando sei giovane e inesperto finisci per fare. E allora per la prima volta in vita sua Richard Gadd si era fidato e aveva visto il futuro davanti a sé. Prima che la realtà gli sbattesse le porte in faccia e l’incubo diventasse realtà.
Ora era lì, davanti a quel pubblico, nel festival più importante per le arti. E tutti si aspettano da lui il meglio, si aspettano un comico scafato che valesse il prezzo del biglietto, che offrisse uno spettacolo continuo e appagante. E Richard invece offriva “solo” se stesso. Offriva la sua vita, la sua esperienza, la forza che aveva trovato dentro di sé per rielaborare un orrore indicibile, subìto da uno sceneggiatore che si era nascosto dietro false promesse.
In cambio, come nella scena di Baby Reindeer, chiedeva solo comprensione e, insperatamente, amore.
Il pubblico è in silenzio, perplesso, sorpreso di trovarsi di fronte qualcosa per cui non era preparato. Richard dietro le quinte va nel panico, fa le prove generali mentre il produttore lo guarda strabuzzando gli occhi, come tutto il pubblico in attesa, e gli dice: “Ma che vuoi ottenere da questo?“. Richard trattenendo a stento le lacrime, lo guarda con quegli occhioni da cerbiatto mentre risponde sottovoce ma con tutto se stesso: “Voglio solo che sia autentico“.
E allora sale sul palco, riprende il suo show con tutti i dubbi e le paure di chi si è sempre sentito colpevole. Colpevole per non essere stato abbastanza. Colpevole per non aver denunciato, colpevole per essere salito in quel maledetto appartamento e aver subìto una violenza. Ma Richard colpevole non è e il pubblico se ne accorge. Non va come in Baby Reindeer. Lo spettacolo, Monkey See Monkey Do, arriva al pubblico, colpisce nel profondo, ottiene il giusto riconoscimento: il premio annuale all’Edimburgh Fringe Festival. Il pubblico lo capisce e lo ama. Per Richard c’è la commozione dipinta in volto. “Il modo in cui le persone hanno recepito lo show, in cui hanno recepito me e accettato ciò che mi è accaduto mi ha salvato la vita“.
Ma per quella vita Richard Gadd deve ancora combattere.
Perché quando quando ti fidi, quando ti rendi vulnerabile, vuoi solo provare a te stesso che sei in grado di aprirti ancora. Che sei in grado di amare di nuovo. E quando un anno prima quella donna, di vent’anni più grande di lui, era entrata nel pub e gli aveva parlato, a Richard era sembrata l’occasione perfetta per aprirsi e ricevere il giusto riconoscimento. Anche quando l’insistenza era aumentata, quella donna aveva saputo tenerlo legato a sé con lusinghe e complimenti sinceri. Vedeva qualcosa in lui che gli altri ancora non vedevano. Lo amava.
La cosa era sembrata divertente a tutti all’inizio. A Richard e ai suoi amici. Una fan, finalmente! Un po’ ossessiva ma non significa forse questo fanatico? Così ripeteva a se stesso Richard mentre i tweet, le chiamate, i messaggi vocali aumentavano a dismisura. A conti fatti si conteranno 41,071 email, 744 tweet, 46 messaggi su Facebook, 106 pagine di lettere e 350 ore di messaggi vocali. Oltre a una serie infinita di strambi regali. Una follia.
Ma in quel momento Richard pensava solo a trovare la sua strada. Voleva essere amato. Aveva ventisette anni e tanti dubbi per la testa. “Cosa fai per vivere? No, intendo cosa fai davvero?“, gli ripetevano tutti. E quando qualcosa la senti ripetuta così a lungo, finisci per credere che sia vero. Finisci per credere che fare il comico sia un passatempo anche se tu sai, senti con tutte le tue forze che è la tua strada.
Poi d’improvviso quella donna gli aveva dato la forza di credere di nuovo in se stesso, di perseguire il suo sogno. Di sentirsi amato.
E allora si poteva anche soprassedere sulla sua ossessione, sul suo disperato bisogno di attenzione. Per un anno Richard si era crogiolato in queste giustificazioni finché non vide nel festival di Edimburgo l’occasione perfetta per allontanare quella donna sparendo un po’ dalla circolazione.
Ma il successo di Monkey See Monkey Do peggiora tutto. L’ossessione cresce. Iniziano le intimidazioni. Proprio come in Baby Reindeer la donna prima minaccia poi inizia a contattare i genitori di Richard. La madre lavora nelle scuole, il padre nei laboratori universitari, entrambi residenti nella tranquilla contea di Fife in Scozia. Per Richard è troppo.
Va dalla madre e dal padre, prova a proteggerli, a tenerli all’oscuro di tutto come aveva fatto in passato quando la pressione lo aveva divorato mentre provava semplicemente a godersi un Natale in famiglia. Ma non può più negare, né agli altri né a se stesso. Non è però come in Baby Reindeer: non c’è confessione catartica, nessun gran momento o abbracci appassionati. Non è una famiglia bigotta o problematica, semplicemente Richard non ha voglia di parlar loro apertamente. Ma sulla sua stalker non può fare a meno di confessare. Decide di fare quello che la paura, l’imbarazzo e l’ingiusto senso di colpa tipico delle vittime gli avevano impedito di fare anni prima: denunciare.
Inizia così un lungo calvario che trova le iniziali opposizioni nella polizia stessa, come vediamo in Baby Reindeer.
Faticano a prendere sul serio la denuncia, minimizzano, ridestano in lui quei sensi di colpa che credeva di aver ormai superato. “È scioccante che si sia permesso che le cose arrivassero a questo punto. Mi vengono in mente così tanti casi in cui qualcosa è stato segnalato, ignorato, di nuovo riportato e ignorato e che ha avuto conseguenze molto gravi“. Richard Gadd sente questo pericolo. Per la prima volta si rende conto che le cose sarebbero potute finire male (anche se, almeno nella serie, come sottolinea Jessica Gunning: «Martha è una persona complicata, ma non cattiva»). E perciò insiste.
Dopo mesi di battaglie legali riesce a ottenere giustizia. La sua stalker è condannata e scatta un ordine restrittivo. Per Richard Gadd però la guerra non è ancora conclusa. Sente in sé l’insoddisfazione di chi non si capacita che sia davvero finita. Fatica ad elaborare quell’ennesima convulsa, grottesca pagina della sua vita. E allora decide di fare quello che gli è sempre riuscito meglio. Realizzare uno show.
Dopo tre anni mette in scena Baby Reindeer, un one-man show “comico” che di comico ha ben poco.
È un successo: due premi al Fringe Festival, la messa in scena per cinque settimana al Bush Theatre di Londra che gli vale un nuovo riconoscimento e il palco del prestigioso Ambassador’s Theatre nel West End. Neanche la pandemia riesce a infrangere l’onda del successo: vince l’Olivier Award e nel 2024 Netflix decide di realizzarne una serie dall’omonimo titolo, Baby Reindeer, quella che tanto ci ha colpito.
È questa la vera storia dietro la serie Netflix. La storia di un uomo che ha avuto paura, ha sofferto, ha negato i suoi traumi ma ha anche avuto la forza di rialzarsi e prendere in mano la sua vita. Di credere nei suoi sogni e far sì che quei sogni gli indicassero la strada per la salvezza. La strada per sentirsi davvero amato.