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La straordinaria e agghiacciante interpretazione di Jessica Gunning in Baby Reindeer

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“Some people run away packing their bags, others run away by standing in the same place for too long”

– Martha Scott

Vittima e carnefice. Due parole semplicissime per indicare due ruoli distinti, opposti e, apparentemente, chiari. Il primo sta a indicare chi subisce, chi è oppresso per mano di altri, senza che abbia possibilità alcuna di opporsi. Il secondo è proprio colui che tormenta la vittima. Dal latino carnĭfex – che ha il significato di “fare carne” – deriva tutto il significato fisico della parola. Associata da sempre, quindi, con l’idea di tormento e abuso, sia fisico che emotivo.

Nella trama intrecciata delle relazioni umane, i ruoli di vittima e carnefice sono spesso visti come binari paralleli, destinati a non incontrarsi mai sotto una luce diversa da quella del conflitto e del dolore. Ma cosa accade quando esploriamo questi ruoli al di là dei confini tradizionali, nei meandri più profondi della psicologia umana? In Baby Reindeer (miniserie rivelazione che trovate sul catalogo Netflix qui), i protagonisti di questa agghiacciante vicenda umana indossano le due vesti scambiandosele ripetutamente. Fino a diventare indistinguibili l’uno dall’altra.

Perché quello che Baby Reindeer compie, per quasi tutta la sua durata, è prendere quei ruoli ormai fissi nel nostro immaginario e spaccarli dall’interno.

La visione standard dei due termini, sebbene valida e fondata su reali dinamiche di potere e sopraffazione, rischia di ignorare la complessità e la fluidità con cui questi ruoli possono manifestarsi e trasformarsi all’interno di una stessa persona o in differenti contesti. Esiste una ciclicità del dolore, che non può essere ignorata, dove la vittima può trasformarsi in carnefice. Riflessione che solleva importanti questioni sulla natura del trauma e sulla trasmissione intergenerazionale del dolore. Ad esempio, consideriamo il fenomeno del “bullying”. Non è raro che chi molesta sia stato a sua volta oggetto di bullismo. Questa osservazione non giustifica il comportamento dannoso, ma invita a una comprensione più terapeutica delle radici del comportamento aggressivo.

Psicologicamente, l’identificazione con il ruolo della vittima o del carnefice può essere un meccanismo di difesa, un modo per elaborare e gestire esperienze traumatiche. La vittimizzazione può portare a una percezione alterata del proprio potere e del controllo sulla propria vita, mentre assumere il ruolo del carnefice può essere un tentativo distorto di riacquistare controllo e sicurezza.

Alla luce di questa premessa obbligatoria, diventa chiaro come in Baby Reindeer i due personaggi principali interpretino, in realtà, entrambi i ruoli.

Baby Reindeer (640x360)
L’incontro tra Martha e Donny in Baby Reindeer

Martha arriva nella vita di Donny un giorno come un altro.

Il suo ingresso al pub non è accompagnato da nessuno squillo di tromba apocalittico né tantomeno da insegne giganti al neon che recitano “PERICOLO”. Martha entra nel pub di Donny senza aver preventivamente messo in conto il susseguirsi degli eventi, senza aver orchestrato nessun piano da villain dei fumetti. Con quell’aria un po’ stramba, chi potrebbe mai rendersi conto della minaccia imminente? Cosa potrebbe mai scatenare un normalissimo atto di gentilezza disinteressata? Quando Donny regala un sorriso a Martha non ha la minima idea di cosa succederà dopo (vi consigliamo di leggere qui la vera storia di Richard Gadd). O forse, una parte di sé lo sa benissimo ed è per questo che si prepara da solo il cappio.

Sentiamo un brivido di malessere nell’esatto momento in cui i due interagiscono per la prima volta (qui trovate 5 serie tv da vedere se avete apprezzato Baby Reindeer). Percepiamo chiaramente, infatti, che qualcosa di assolutamente sbagliato si muove all’interno non solo di Martha ma anche di Donny. In attesa di essere risvegliato. Come due falene attratte dalla medesima luce, i protagonisti di Baby Reindeer si riconoscono come anime tormentate e spezzate. Iniziando così a sbattere freneticamente le ali ora avanti ora indietro, i due sono al centro di una danza malata incapaci di capire quanto quella stessa luce sia pronta a bruciarli.

Per tutta la durata della narrazione, però, la voce narrante di Donny è quella che determina il punto di vista (qui potete leggere la storia vera su cui si basa lo show). Attraverso il suo racconto-confessione siamo trascinati nella spirale oscura di dolore, senso di colpa e solitudine che il protagonista affronta. Incapace di accettare la felicità, Donny si autosabota ancora e ancora diventando artefice degli scenari più atroci.

Baby Reindeer ci vomita addosso tutto questo, senza curarsi della nostra sensibilità. Anzi ha il chiaro desiderio di ridurla a pezzetti, puntata dopo puntata.

La stalker Martha rappresenta solo la goccia che fa traboccare il vaso ormai pieno delle fragilità di Donny. Di colpo il suo arrivo nel pub appare totalmente provvidenziale perché è proprio attraverso il suo intervento che Donny riesce a venire a patti con ciò che gli è accaduto. Il trauma del passato trova quindi risoluzione con il trauma del presente.

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L’ossessiva e grottesca presenza di Martha in Baby Reindeer

Martha arriva nel momento più basso e oscuro della vita di Donny, agendo come un grottesco deus ex machina.

Attenta, premurosa, maliziosa, volgare, romantica, vile, cattiva, infida, bugiarda, materna. E il merito di queste innumerevoli e frammentati spiragli della sua personalità, attraverso i quali scorgiamo la sua anima, va tutto alla sua interprete. Per Jessica Gunning, Martha non è cattiva. L’attrice non ha mai preso in considerazione l’idea di reputarla tale sottolineando ancora una volta l’impossibilità di tracciare un confine preciso tra vittima e carnefice in Baby Reindeer.

Un momento prima pensi che sia l’essere umano più infido sulla faccia del pianeta mentre il momento dopo provi una pena infinita. “Complicata”, l’ha definita la sua interprete rendendocela così più umana. Di Martha non ci vengono date che briciole riguardo il suo passato e il suo disturbo. Dettagli minimi e brevi scorci di una vita vissuta a metà, interrotta da decisioni sbagliate e dalla malattia mentale. Perché Martha è, di fatto, una persona malata (qui trovate 5 film bellissimi che trattano la salute mentale). La donna si aggrappa al sorriso di Donny come un assetato nel deserto, riversando su questa altra vittima tutte le sue speranze e le sue fantasie distorte.

E se inizialmente tracciare un confine tra chi è cosa risulta abbastanza semplice, con l’avanzare degli episodi quello stesso confine diventa sempre più labile. Perché la Gunning riesce, con sbalorditiva semplicità, a farci entrare in empatia con questa donna disturbata, a provare persino tenerezza nei suoi confronti. Fiutiamo il sentore di un abuso o quantomeno di un dolore mai affrontato che riecheggia nella sua vita presente avvelenandone ogni aspetto. Martha è sempre stata così? Cosa ha visto da piccola che l’ha spezzata irrimediabilmente?

Quando pensiamo di averla catalogata tra le schiere dei carnefici, eccola che si trasforma nella vittima di se stessa. Intrappolata in una rete di bugie dalle quali non riesce e non vuole liberarsi.

L’interpretazione della Gunning è ipnotica e disturbante insieme. Non riusciamo a smettere di guardare anche se parecchie fibre del nostro corpo ci supplicano di farlo. Nel tentativo disperato di proteggere la nostra sanità mentale. A uno sguardo più approfondito, dunque, Baby Reindeer non è solo la storia dell’abuso fisico ed emotivo ai danni di Donny, ma anche quello, meno evidente, di Martha. Duplice carnefice. La miniserie Netflix è cruda come pochi altri prodotti mai visti, coraggiosa ed estremamente sensibile insieme. La rappresentazione dei ruoli di vittima e carnefice va oltre la mera etichettatura, offrendo uno sguardo profondo alle motivazioni, alle sofferenze e alle decisioni dei personaggi.