Band of Brothers è un capolavoro e lo è per diversi motivi. Probabilmente il suo lascito più importante è il taglio documentaristico con cui affronta uno dei capitoli più bui del Novecento. Lo deduciamo non soltanto dal fatto che ogni episodio comincia con le interviste ai veterani della seconda guerra mondiale che hanno ispirato storie e personaggi, ma anche dalla realtà, fin troppo cruda, che ci viene sbattuta in faccia. Dalla struttura gerarchica dell’esercito americano alle strategie militari, fino al racconto di alcune delle battaglie più caratteristiche.
È chiaro che, come avviene per molti grandi kolossal hollywoodiani, il rischio è quello di cadere in una facile retorica repubblicana, tendendo a identificare gli americani come i “buoni” e i nemici, in questo caso i tedeschi, come “i cattivi”, senza sfumature intermedie. In realtà Band od Brothers riesce quasi sempre a sfuggire a questa “trappola” ribadendo sempre e comunque, capitolo dopo capitolo, che non c’è alcuna connotazione positiva o benefica da associare al concetto di guerra. Men che meno nella seconda guerra mondiale in cui l’umanità ha toccato alcuni dei punti più miserabili della sua esistenza.
Poi è arrivato il nono episodio a offrire un’ulteriore chiave di lettura a questo concetto. In italiano, per questa puntata così liminare, si è scelto un titolo diretto, che arrivi dritto al punto, senza orpelli: “la tragica scoperta” e c’è davvero poco altro da aggiungere. In inglese invece quel “why we fight” può, in primo luogo, essere intesa come una interrogativa indiretta: la mancanza del punto interrogativo accresce il tono drammatico di chi si pone questa domanda, rendendola di fatto una proposizione affermativa del tutto sovrapponibile a “la guerra è sempre sbagliata”. Un’altra interpretazione è più letterale e cerca di trovare un lato positivo anche nell’atto di fare la guerra: combattiamo perché, se non lo avessimo fatto, non avremmo mai portato alla luce una realtà ancor più drammatica della guerra in sè.
“C’è un albero che cresce a Brooklyn. Alcuni lo chiamano l’albero del paradiso. Non importa dove cade il seme, dà un albero che si sforza di raggiungere il cielo. Cresce in un terreno incolto recintato con assi e cumuli di immondizia abbandonati. Esce dai cancelli della cantina. È l’unico albero che cresce nel cemento. Cresce rigoglioso… sopravvive senza sole, senza acqua e, apparentemente, senza terra” -Betty Smith (Un Albero Cresce a Brooklyn)
In effetti, l’Albero del Paradiso di cui si parla nel famosissimo romanzo di Betty Smith e che, nell’episodio, viene letto da alcuni soldati di guardia, sembra proprio essere l’ultimo barlume di umanità che resiste anche quando tutto intorno c’è l’annichilimento dell’altro, di se stessi e di ogni principio morale.
I membri della Compagnia Easy hanno compiuto le peggiori nefandezze, il solo atto di uccidere, a prescindere dal contesto, lo è. Alcuni, i più giovani e meno disillusi, sono ancora esaltati dall’idea di cimentarsi in battaglia e questo aspetto, sottolineato nella prima parte, fa da contrasto con quanto assisteremo poi.
Altri, come il Capitano Nixon, forse il più disincantato tra i personaggi che abbiamo conosciuto in Band of Brothers, vive ormai quel distacco di chi ne ha viste troppe, ha perso ogni ideale e vorrebbe solamente ritornare a quel che resta della sua vita da civile.
Eppure la tragica scoperta del campo di Dachau, nemmeno il più grande e nemmeno il più orripilante, come evidenzia il maggiore Winters con chiaro riferimento ad Auschwitz, è un orrore sinistramente democratico. Abbatte tutte le differenze di status, di carattere, di etica, di grado o di esperienza. Vedere le condizioni degli ebrei reclusi, camminare in mezzo ai cadaveri è qualcosa che travalica anche i “comuni” orrori della guerra.
Ci voleva Band of Brothers per offrirci una delle esperienze collettive sull’Olocausto più potenti che possiamo fare noi che quell’evento storico non lo abbiamo vissuto
‘La tragica scoperta’ è un episodio respingente. Si fa fatica a guardarlo perché è tutto estremamente realistico. I corpi dilaniati, logorati dalla fame, dalle torture, dalle condizioni igieniche. La disperazione nei loro occhi. I corpi di chi non ce l’ha fatta. La riconoscenza, perché nonostante tutto c’è una luce in fondo al tunnel. Tutto questo è una messa in scena ma travalica lo schermo fino a renderne insopportabile la visione. Come se fossimo lì. Al tempo stesso, tuttavia, non ne possiamo fare a meno.
All’inizio dell’episodio, i veterani raccontano un aspetto chiave per comprendere la matrice di cotanto orrore. Tutte le loro parole si concentrano su quanto i tedeschi apparissero persone normali, di come sarebbero persino andati a cena insieme con loro in un contesto extra bellico. Ed è questo che ci fa tanto orrore: a mettere a punto la soluzione finale sono state persone comuni, come noi: il che, tradotto, implica che poteva esserci chiunque di noi al posto delle milizie tedesche.
Così come i civili che sono obbligati a dare degna sepoltura a quei corpi rappresentano tutti noi, che forse ne avevamo sentito parlare di quei campi di concentramento, ma non abbiamo mai approfondito per non realizzare che quell’orrore è esistito davvero. Un orrore che Band of Brothers ci sbatte davanti agli occhi senza filtri. E allora non possiamo più farne a meno: dobbiamo, per quanto ci è possibile, riparare a tutto questo schifo. Band of Brothers è un capolavoro anche e soprattutto per il taglio documentaristico con cui ha messo in scena le varie sfaccettature di una guerra. Con ‘La tragica scoperta’, però, è andata oltre, ergendosi a memento fondamentale della nostra esistenza. No, questo episodio non avremmo mai voluto guardarlo, ma al tempo stesso è la più grande prova vivente di come è capace di degradare l’animo umano.