Immaginate di poter mettere le mani su un’altra identità, sia anagrafica, che sociale. Immaginate quindi di dire addio al vostro vero nome, alla vostra professione, alla percezione che gli altri hanno di voi. Cosa diventereste? Come vi comportereste? Ne approfittereste per essere una persona totalmente altra, in grado di rivoluzionare la propria vita? Oppure gli aspetti più peculiari del vostro carattere prenderanno il sopravvento ancora una volta, rendendovi la stessa persona in vesti diverse, come accade al protagonista di Banshee?
Non è facile rispondere a questa serie di domande. Nel farlo si ripresenta bella prepotente l’annosa questione dell’Es, Io e Super Io da affrontare e, di conseguenza, la differenza tra identità ed essenza dell’individuo. Si ripresenta la concezione dell’identità come strumento in relazione a ciò che percepisce il prossimo, per dirla alla Sartre. Si ripropone la concezione di identità come appartenenza a una comunità: non siamo soltanto ciò che gli altri vedono di noi, ma anche quello che noi osserviamo negli altri.
In un certo qual modo l’identità è una trappola, qualcosa che ti tiene ancorato a principi, valori, informazioni anagrafiche ben precisi. Una nuova identità, tuttavia, può essere foriera di opportunità, diventando pertanto uno strumento di liberazione dell’individuo dalle pressioni sociali. Al tempo stesso, però, è bene considerare che non si è mai liberi se non si è capaci di esprimere realmente se stessi. E allora che fare? Ecco che quella domanda apparentemente stupida nasconde delle implicazioni da mal di testa.
In questo impasse deve essersi trovato suo malgrado anche quell’ex galeotto che si fa chiamare Lucas Hood, lo sceriffo di una città che è impostora almeno quanto lui, incapace come lui di nascondere i suoi lati oscuri.
Banshee e Hood sono degli impostori, ma impostori pessimi. Fanno il giro e diventano autentici
Dopo 15 anni in carcere, l’uomo che assume l’identità di Hood si trova dall’altra parte delle sbarre. Un cambio vita drastico, da un polo all’altro, con la possibilità di resettare per sempre tutto ciò che è stato. Niente più Rabbit, niente più Carrie, la donna per la quale si è fatto tre lustri, la possibilità concreta di ricavarne uno status. Ma questo è un pensiero che l’uomo concepisce solo in teoria.
Sicuramente si lega a quel nome con tutto se stesso, al punto tale che non scopriremo mai il suo vero nome o qualsiasi altra identità assunta nell’altra vita, quella precedente. Ma questa identità, rubata al povero sceriffo ammazzato nel bar dagli uomini di Proctor, ha la stessa funzione di un simulacro, un mero rivestimento attraverso il quale continuare a essere quello che era.
Se pensiamo a qualche altro personaggio con iconici cambi d’identità, ci verrà in mente probabilmente Saul Goodman. Per lui quel nome è significativo del suo agire ed è l’unica identità che rivendicherà fino alla fine, anche dopo aver perso tutto. Il nome è anche espressione della sua reale essenza. In parte è ciò che accade anche a Walter White, per restare nell’universo breakingbadiano: all’apice del suo impero ci terrà a essere ricordato come Heisenberg.
Per Hood, invece, il nome è solo una contingenza, una seconda occasione. Col suo nome precedente, qualunque esso fosse, aveva un bersaglio dietro la schiena per l’eternità. Quello che riceve quasi come dono divino è un’arma, gli dà l’opportunità di tramare nell’ombra mentre mette a punto la ricerca del suo ideale di libertà. E fa strano pensare a cosa significhi “libertà” per uno che ha passato i suoi ultimi 15 anni in carcere.
Per Hood libertà, come identità, è qualcosa di relativo.
Quella che intende lo sceriffo impostore è una libertà razionale, concreta, inizialmente legata alla donna che ama. Poi questo pensiero tendenzialmente evolve insieme al personaggio, alle sue conquiste morali e alla sua capacità di adattamento al nuovo status di padre e uomo di legge. Ma resta, per dirla alla Bauman, l’aspirazione di una libertà intesa quale scelta razionale in un paniere di beni.
Hood non diventa libero nel momento in cui diventa sceriffo di Banshee. Ma in quanto sceriffo ha le possibilità di costruirsi il suo percorso di vita come e meglio crede. Sarà una lunga avventura, nella quale occorrerà scendere agli inferi prima di risalirne se non pulito quanto meno in pari con la giustizia morale – che non è quella che dovrebbe difendere col distintivo alla mano.
Anche con la divisa addosso, Lucas Hood è rimasto se stesso fino in fondo e non è stato certo uno sceriffo esemplare. Ma anche da questa è libertà per un individuo: non lasciarsi frenare dalle catene che ti delineano un ordine prestabilito. Se è giusto o sbagliato valutatelo voi. Ci vorrà un po’ per rimettere le cose a posto.
Ma poi, una volta salvato Job, aver sconfitto Proctor, aver reso giustizia a Rebecca, aver accettato ciò che Carrie vuole essere e aver fatto pace con la sua concezione di paternità, quest’uomo senza nome ce l’ha fatta. Dice Sartre che, scagliati nell’esistenza, gli esseri umani sperimentano un senso di abbandono e realizzano una libertà totale, capace di dare senso alla propria vita. Non fa eccezione Lucas Hood, condannato a essere libero.