Barbari, un titolo che evoca popoli e tradizioni lontane. Ambientazioni fredde, tipicamente nordiche, con la nebbia che si staglia nel chiarore del mattino e le immense foreste che oscurano il cielo. Anno 9 d.C., quello della terribile battaglia di Teutoburgo. Bastano questi tre elementi per capire che la nuova miniserie storica prodotta da Netflix ambisce ad essere un prodotto che fa dell’epicità il suo maggiore punto di forza. Un’altra serie tv sulla Roma antica, verrebbe da dire. Ma qui, come in Britannia, il punto di vista è capovolto: non guardiamo il mondo attraverso i latini, ma con lo sguardo straniante delle popolazioni sottomesse. Non uno sguardo romanocentrico dunque, ma un punto di osservazione diverso su un mondo già abbondantemente raccontato dalla televisione.
La storia vera alla base della serie è questa: nell’anno 9 d.C., l’imperatore Augusto invia Publio Quintilio Varo – non propriamente un generale – in Germania, per amministrare il potere di Roma sulle tribù locali. Qui però il governatore riesce ad attirare sugli occupanti le antipatie e il malcontento degli abitanti locali, con una politica volta ad imporre leggi dall’alto che non tengono minimamente conto delle tradizioni e del sentire comune locale. Così le tribù dei Cherusci, dei Bructeri, dei Catti e dei Marsi, storicamente divise e in lotta tra di loro, decidono di fare fronte comune contro l’invasore e si uniscono sotto il comando di Arminio, capo dei Cherusci ma anche prefetto di una coorte “barbara” dell’esercito romano e quindi uomo di fiducia di Varo.
Rispetto alla storia vera, Barbari si comporta abbastanza bene.
Le vicende narrate ripercorrono piuttosto fedelmente l’iter che ha portato le legioni romane alla terribile disfatta. Significa che la serie riesce ad essere una sorta di docu-fiction tout court? Sì e no, ma questo non è necessariamente un male. Alla storia vera si accosta infatti una componente di pura fantasia: il furto dell’aquila imperiale, il triangolo amoroso dei protagonisti, il rapporto padre-figlio tra Arminio e Varo – interpretato dall’italiano Gaetano Aronica. Tutti elementi che contribuiscono a dare quel po’ di vivacità in più alla trama. Non un male assoluto, dunque: le serie tv tendono a romanzare le storie, ad arricchirle di fiction inserendo storie nelle storie che possano capitalizzare l’attenzione dello spettatore sulle sorti dei protagonisti.
Ma con Barbari funziona davvero?
Probabilmente dipende da ciò che uno si aspetta. La serie tedesca, creata da Andreas Heckmann, Arne Nolting e Jan Martin Scharf, è un dramma storico condito di avventura, azione e dall’immancabile componente romantica. Non ha l’ambizione di raccontare con taglio esclusivamente documentaristico le vicende del 9 d.C., ma le rielabora enfatizzandone le parti più drammatiche. Un’operazione che tuttavia, nelle puntate centrali, le fa perdere profondità ed epicità.
Barbari parte forte, con una prima puntata che è in grado di trascinarci immediatamente nel cuore della Germania fremente e rabbiosa, nella quale sono proprio le tribù a parlare la nostra lingua e a mostrarci il mondo dal loro angolo di visuale. I romani sono i veri “barbari”, gli stranieri, i diversi. Parlano un latino incomprensibile senza sottotitoli, sono freddi, agghiaccianti, spietati. Thusnelda (Jeanne Goursaud) è invece la giovane ribelle che non riesce a sottostare alle imposizioni, a quelle degli spregevoli romani così come a quelle di suo padre, personaggio dalla doppia faccia che cercherà di procacciarsi la fiducia di Varo. Folkwin Wolfspeer (David Schütter) è il guerriero tutto bollori e istintività, vagamente somigliante a un Luca Argentero prestato al dramma storico. Forse il vero punto debole dello show.
Insieme, Thusnelda e Folkwin, accenderanno la miccia per il grande fuoco che avvamperà e spazzerà via le legioni romane dalle foreste germaniche.
Barbari dà molta importanza ai simboli, che si caricano di significati opposti a seconda del punto di vista. C’è l’aquila imperiale, emblema della supremazia dei romani, simbolo di oppressione e asservimento, di forza e grandezza. La regina dei cieli, imbattibile e sacra, che guarda in faccia persino il sole. E poi c’è il lupo, guardato con sospetto e con ossequio dalle popolazioni germaniche, ma allo stesso tempo simbolo delle origini di Roma. Il lupo è l’animale che vince solo quando riesce a tenere insieme il branco: da solo è destinato a fallire, con gli altri lupi ha una chance di vittoria.
Il lupo e l’aquila, l’uno di fronte all’altra. L’uno contro l’altra.
E c’è un personaggio che li porta addosso entrambi, sentendone il peso che ne dilania l’anima. Arminio – interpretato da Laurence Rupp – è il personaggio più completo di Barbari. Mezzo cheruscio e mezzo romano, è un giovane soldato mosso da sentimenti spesso contraddittori. Due padri, due nature, due vite, due diversi modi di sentire. La personalità più complessa all’interno della serie e, forse proprio per questo, anche la più affascinante.
Ma Barbari sa sviscerare a fondo l’animo di tutti gli altri protagonisti?
Un tentativo lo fa, ma non sembra riuscirci completamente. Il rapporto di Thusnelda con gli dei e la religione, ad esempio, viene solo sorvolato, senza mai essere realmente approfondito. È come se la storia fosse la vera protagonista di Barbari, mentre i vari personaggi fanno da contorno, da comprimari. Col risultato che, nelle puntate centrali, la trama perde un po’ di mordente.
Ma se la tensione cala nel mezzo, è l’episodio finale a riportare lo spettatore al centro della storia. La battaglia, che è il punto di arrivo dei sei episodi, è un vero spettacolo. Il tono epico ritorna prepotente, accentuato dalle scene di rallenty e dalla voce fuori campo di Arminio che ripercorre le tappe della battaglia. I dettagli sono estremamente accurati: le divise dei legionari, i volti pitturati dei barbari, le formazioni schierate, la strategia militare di Arminio. L’imboscata tesa dalle tribù alle legioni romane è ricostruita basandosi su elementi reali: malgrado la battaglia di Teutoburgo sia durata in realtà tre giorni, l’accuratezza storica con cui si è ricostruito lo scontro è lodevole, persino nelle condizioni meteorologiche che influirono sull’esito finale della battaglia.
Il finale resta volutamente aperto, segno che, se le cose dovessero andar bene, Barbari potrebbe avere anche un seguito. Dove potrebbe andare a parare? L’idea potrebbe essere quella di un’epopea delle tribù germaniche, alla stregua di Vikings. La seconda stagione potrebbe concludere la storia di Arminio raccontando la campagna di Germanico e le sconfitte subite dal capo dei Cherusci, fino al rapimento di Thusnelda e al tradimento delle tribù rivali. Un interessante spunto da cui – eventualmente – ripartire.