Mi sono presa qualche giorno per scrivere questo articolo, un articolo che ho tanto desiderato fare ma che nasconde una complessità infida. Barbie è stato un po’ così, un film intuitivo e a tratti contraddittorio che si rivolge a un pubblico vasto: quello che si ferma al primo strato superficiale e quello che decide di elaborarlo nei giorni successivi. Ecco, io faccio parte della seconda fetta, quella che ci ha pensato e ripensato e che può dire con certezza che Greta Gerwig e Noah Baumbach hanno fatto centro, ma i colori pastello e le scenografie da favola non c’entrano nulla, sappiatelo.
Che sia stato considerato preventivamente come un film frivolo è cosa certa, chi conosce la regista si aspettava invece il colpo di scena, e nel bene o nel male è andata esattamente così.
Un egregio messaggio promozionale lungo due ore
Gli elogi non sono certo mancati, soprattutto da parte delle persone che già lo vedono vincitore sul tanto atteso Opphenheimer, che aimè sarà per pochi. Ma quando una produzione cinematografica fa parlare di sé così tanto non possono che derivarne anche altrettante critiche, e io mi sono trovata d’accordo quasi con tutte, ma l’ho amato proprio per queste scelte.
Barbie è uno spot pubblicitario lungo due ore, qualcosa di mai visto prima, un film che punta a rilanciare quel piccolo immenso marchio che nel corso degli anni è stato oscurato da un nuovo potentissimo giocattolo: la tecnologia. Ma ci sono un paio di interessantissimi punti da trattare in merito al modo che viene scelto per fare questa pubblicità dal messaggio subliminale (ma non troppo). Innanzitutto la Mattel si autocritica, fa una sorta di mea culpa ruffiano in cui dice “scusate vi abbiamo creato centinaia di disturbi e ossessioni verso la perfezione” e sotto sotto nasconde un “ma” grande quanto l’intera sede del marchio.
Ci vengono infatti mostrati due mondi totalmente opposti, quello amministrato dalle barbie e quindi donne perfette, e quello amministrato dagli uomini fondato sul patriarcato. Il “ma” non ricorda dunque il finto perbenismo, quanto più la volontà del film di presentarci modelli imperfetti che però sono più perfetti che mai. Ogni barbie ha un ruolo importante all’interno del contesto e quelle che sono semplicemente madri o “diverse” rimangono comunque esiliate fino alla fine. La stessa Margot Robbie, ovvero Barbie Stereotipo, cerca di passare un messaggio di imperfezione rimanendo ugualmente perfetta. E so che a questo punto vi starete chiedendo cosa c’è di così geniale in tutto ciò se lo sto criticando. La genialità sta nel rendere tutto questo evidente, con tanto di commento fuori dall’inquadratura che lo ammette palesemente, quasi a dare per scontato di avere davanti un pubblico dormiente, e vi assicuro che in fondo è in parte così. La Gerwig ci lancia una provocazione e ci mette alla prova.
La critica normalizzante
Uno degli aspetti in assoluto che più ho apprezzato dell’intero film è il modo in cui velatamente Baumbach ci ha lanciato messaggi. A una prima analisi potrebbe infatti sembrare una critica femminista, rappresentata dai massimi rappresentati di un sistema bipartitico diviso appunto tra uomini e donne (le Barbie e i Ken), in cui la fazione maschile viene umiliata e rappresentata come quella intellettualmente più debole.
Ancora una volta la bravura di regista e sceneggiatore è stata quella di creare questo complesso messaggio perbenista e smontarlo completamente in una sola, piccola, scena finale. Barbie è pronta ad affrontare finalmente la vita, abbandona il tacco e predilige le Birkenstock con i piedi ben saldi alla sfalto. Si prepara per entrare in questo enorme edificio e tutti noi siamo convinti che stia andando ad occupare un ruolo di spessore, perché alla fine il film sembra indirizzarci a questo finale tutto il tempo. Tuttavia, Barbie non è li per ricoprire chissà quale ruolo manageriale, bensì per fare la sua prima visita ginecologica, e quindi rivendicare i suoi diritti sessuali cessando per sempre di essere una entità manipolabile.
Barbie e tutte le sue reference
Barbie è ricco di riferimenti, dai più evidenti, come 2001: Odissea nello spazio nelle spettacolari scene iniziali, oppure quelli semi-nascosti sul Mago di Oz. Tuttavia ci sono dei piccoli sassolini nelle scarpe che Mattel si è tolta tramite la cinepresa della Gerwig. Per chi non lo sapesse l’ascesa delle barbie è stata messa a dura prova in passato, più precisamente nel momento in cui sono entrate in gioco quelle piccole bambole trasgressive chiamate Bratz. Nel film le troviamo tutte sedute al tavolo insieme a Sasha (nome di una delle Bratz oltretutto), rappresentate come delle mocciose antipatiche e portando alla fine una di esse ad adorare la barbie (come a dire “alla fine abbiamo vinto noi“).
Barbie prova in tutti i modi a demolire l’icona che era, dimostrando che può essere tutto ma anche niente, che va bene lo stesso. Il contraddittorio, il paradosso di sé stesso che purtroppo come la storia ci insegna non cambierà di certo la sua immagine con questo film (un mito, resta tale). Il film introduce dunque la critica sociale, lo fa in maniera giusta e minuziosa ma allo stesso tempo leggera, perché il pubblico di riferimento è veramente troppo ampio (ed è di fatto una delle campagne di marketing più grandi degli ultimi anni). La produzione della Gerwig mette in discussione il sistema capitalistico, tra elementi nuovi e tradizionali, inserendo sempre qualche sketch o canzone per alleggerire i momenti più seri (qui trovi un altro film sulla stessa linea narrativa).
Addio al minimalismo
Gerwig e Baumbach fanno un lavoro egregio tentando di decostruire un mito, non togliendo ma aggiungendo e saturando non solo i colori delle scenografie ma anche le caratterizzazioni dei personaggi, resi palesemente e volutamente camp (estremizzati e teatrali).
La presenza nel ruolo di protagonista di Margot Robbie non è inoltre una scelta casuale. La Robbie è perfetta, una sorta di bellezza oggettiva indiscussa. La stessa attrice più volte, in diverse interviste, ha rivelato di essere sempre stata giudicata in primis per la sua esteriorità piuttosto che per il suo talento. Quindi non può essere più evidente di così la doppia critica all’interno di questo film, il messaggio urlato che tenta di dire al mondo cinematografico e non solo “sono molto più di questo”.
Per quanto riguarda Ken, e quindi il nostro amato Ryan Gosling, si prende sicuramente il suo posto in questo film, ma a quelli che dicono che ha oscurato la Robbie mi sento di dire che si sbagliano di grosso. Seppur dopo questa performance vorrei davvero vedere l’attore di Le Pagine della nostra vita in più commedie, purtroppo ad un certo punto la sua performance si ferma, limitata certamente da una sceneggiatura che non gli permetterà mai di essere “Kenought”.
Non sottovalutate Barbie
Il film sulla bambola più amata di sempre è stato apprezzato quasi totalmente. Poco importa se si tratta di un enorme product placement, la sua estetica camp e il suo genere a metà tra comedy, musical e drama ha conquistato tutti. Con riferimenti di ogni tipo, che includono oltre i sopracitati anche The Truman Show, Forrest Gump e Grease, riversa sul suo pubblico una scottante verità: siamo troppo dentro questo sistema, quindi ok il messaggio, ma continua a farci sognare.
Barbie non sarebbe piaciuta ugualmente se non fosse stata così esteticamente bella e leggera, perché i messaggi forti li vogliamo tutti, ma quando arrivano spesso sono troppo impegnativi e quindi preferiamo lasciarli ad altri. Le scene finali, accompagnate da una delicatissima canzone ad opera di Billie Eilish, ci regalano delle immagini davvero commoventi, che rappresentano il vero valore della vita. Vita e momenti che non contano la bellezza, non guardano alla perfezione, ma alle persone con cui li condividiamo. Perché alla fine sono proprio gli attimi (quelli che vediamo nelle scene finali) a restare ben impressi nella mente.
Le conclusioni
Barbie piace perché parla di tutto e poi cambia idea, ci confonde, ci mette alla prova e prende due attori e ne sovverte la provenienza filmica, stupendoci. Il film si presta non solo al pubblico ampio, ma a diversi livelli di elaborazione, che porteranno a una archiviazione come un film sulle bambole per certi e un progetto distopico e geniale per altri. I toni piallati, i costumi, le sceneggiature e una quasi morbosa perfezione continueranno ad essere il metro di paragone con una realtà che a tratti non è solo identica al mondo reale che ci viene mostrato, ma anche peggio.
La scommessa di Warner Bross con Mattel si può ritenere pienamente compiuta, e finché il pubblico tornerà a far rivivere il cinema occupando le sale, poco importa se il film non arriva a tutti allo stesso modo. Barbie è la dimostrazione che abbiamo ancora bisogno di sognare, anche se a darci consigli è una multinazionale amministrata quasi totalmente da uomini.