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Barbie – Riflessioni post-Golden Globe in vista degli Oscar

Barbie
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Va bene, ci siamo divertiti abbastanza con Barbie, immaginando scenari in cui il film di Greta Gerwig con una statuaria Margot Robbie e un gigionissimo Ryan Gosling vinceva fiumi di statuette ai Golden Globe e, poi, in ossequio alla tradizione che vede i Globi come anticipazioni del massimo riconoscimento cinematografico, anche valanghe di Oscar.

Un sogno, è vero. Un sogno da cui bisogna svegliarsi, e in fretta, perché Barbie non è mai stato, e non sarà mai, un film meritevole di premi che non siano quelli (di consolazione) tecnici, come la premiazione dei Golden Globe ha confermato.

Alla serata andata in scena a Beverly Hills due giorni fa il film si presentava con grandi ambizioni: ben nove candidature e quasi tutte di primissimo livello: miglior attore non protagonista a Ryan Gosling, miglior attrice in un film o commedia musicale a Margot Robbie, miglior film o commedia musicale, miglior regista a Greta Gerwig, migliore sceneggiatura, miglior risultato al botteghino e migliore canzone (categoria nella quale concorreva con tre titoli).

Barbie (640×380)

Per fare un paragone meramente numerico, Oppenheimer di Christopher Nolan aveva otto candidature, tra cui film drammatico, regia, sceneggiatura, attore (Cillian Murphy) e interpreti non protagonisti (Emily Blunt e Robert Downey Jr.). La divertente schermaglia estiva del Barbienheimer, dunque, è continuata anche nelle sale del Beverly Hilton Hotel di Beverly Hills.

Peccato che, proprio in quella sede, tutti i nodi siano venuti al pettine, penalizzando Barbie in favore di altre pellicole nominate: a vincere come miglior film drammatico è stato Oppenheimer, come migliore attrice Emma Stone per Povere creature!, come miglior attore non protagonista Robert Downey Jr., miglior film o commedia musicale Povere creature!, miglior regista Christopher Nolan, migliore sceneggiatura ad Anatomia di una caduta di Justine Triet e Arthur Harari.

Alla resa dei conti del Barbienheimer, dunque, pare proprio sia stata la storia della bomba atomica del fisico del progetto Manhattan a spuntarla, anziché le atmosfere pastello.

La pellicola rosa si è consolata con il premio come miglior risultato al botteghino, con oltre un miliardo di dollari guadagnati, e come miglior canzone a Billie Eilish per What was I made for?. Indubbiamente una grande delusione, per un film che aveva mobilitato milioni di spettatori in tutto il mondo, monopolizzando per un’intera stagione il mercato e la cultura pop mondiale.

Il punto è proprio questo: il risultato commerciale non è necessariamente indicativo di una effettiva qualità oggettiva dell’opera. E Barbie, passata la sbornia rosa che ha visto i social invasi di selfie al cinema in tenuta pastello, è un film che passerà alla storia più per l’impatto economico e culturale che ha avuto che per le sue oggettive qualità.

La pellicola di Greta Gerwig, a un’analisi che vada al di là del fanatismo, presenta un’enorme quantità di problemi: tanto per cominciare, è un’enorme operazione commerciale di product placement di Mattel. E, peggio, non è nemmeno nascosta ma palese, in ogni inquadratura, in ogni battuta. I vertici aziendali non si limitano a ipnotizzare gli spettatori unicamente attraverso l’estetica patinata, si inseriscono in prima persona all’interno della storia, proiettando un’immagine scanzonata e autoironica della propria identità aziendale che non ha certo lo scopo di mostrare il “volto umano” di un’impresa miliardaria ma piuttosto di indurre all’acquisto.

Barbie (640×320)

Concentrandosi sulla sceneggiatura, si ha spesso l’impressione che Barbie abbia bisogno di spiegare tutto: non un singolo passaggio narrativo è lasciato all’interpretazione del pubblico, tutto viene pedissequamente spiegato e analizzato, come se in sala fossero presenti solo bambini e bambine e non, più verosimilmente, adulti. I personaggi di contorno, a cominciare dalla coppia madre/figlia che aiuta Barbie a tornare nel suo mondo, sono unidirezionali, mossi unicamente dalla foga narrativa e senza uno stralcio di conflitto che li renda quantomeno interessanti.

Barbie è un film che comincia bene, con una riflessione autoironica sul ruolo sociale e culturale della bambola più famosa del mondo e il momento di straniamento narrativo con l’inserimento della tematica della morte e il colloquio con Barbie Stramba (un personaggio che poteva essere dirompente e che, invece, sarebbe stato più azzeccato chiamare Barbie Spiegone). Il film declina però quasi subito nell’action movie sfarzoso e scanzonato, con tanto di inseguimenti e zuffe degne di un film di Austin Powers, con qualche inserto narrativo riflessivo e falsamente profondo, tanto per ricordare al pubblico che siamo pur sempre davanti a un film che ha la pretesa di spiegare il femminismo alle giovani generazioni.

Già, il tema del femminismo. Ci giriamo intorno ma è questo ciò che ha reso francamente insopportabile Barbie fin dalla sua uscita, riuscendo a mettere d’accordo sia gli anti femministi dichiarati che le femministe più intransigenti. Difficile trovare una lettura più all’acqua di rosa di questo tema di quella che fa il film di Greta Gerwig.

Prendiamo il famoso monologo di America Ferrera, che la stessa attrice ha strenuamente difeso, sostenendo che si tratti di una “prima infarinatura” alla tematica del femminismo da parte di un film che sarebbe stato visto da milioni di giovani donne in tutto il mondo. Il punto è proprio questo: il primo approccio al femminismo da parte della categoria principalmente interessata da questa tematica non può venire da una pellicola infarcita di product placement, con modelli femminili stereotipati e francamente irraggiungibili, che rischiano di creare ancora più insoddisfazione e frustrazione nelle donne di quanta già non ne provino.

“Se siete esperti di femminismo, potrebbe sembrare una semplificazione eccessiva”, queste le parole usate da America Ferrera per difendere il suo monologo, che ha visto anche il suo contributo in fase di scrittura. Ma il femminismo è un tema complesso, che non va presentato in versione liofilizzata alle giovani e inesperte adepte perché siano in grado di capirlo: se la complessità di un tema viene ridotta e filtrata dalla logica commerciale, colui o colei che lo assimila non sarà mai in grado di comprenderlo e sposarlo a un livello più profondo.

Barbie avrebbe fatto decisamente più bella figura se si fosse limitato a essere ciò che, alla fine, è: un film d’evasione da mostrare anche alle bambine con la supervisione degli adulti, senza nessuna pretesa di educare o rieducare nessuno al tema del femminismo. Avrebbe comunque svolto in parte questo ruolo, mostrando come una regista giovane e affermata, contornata da un cast di attrici di prim’ordine, può dirigere una pellicola in cui le tematiche femminili vengono affrontate senza quella costante e ridondante pesantezza che dà la connotazione “femminista” appiccicata un po’ ovunque, anche in prodotti commerciali leggeri com’è Barbie.

Barbie (640×360)

Proprio a queste ragioni dobbiamo la scarsità di premi effettivamente vinti dal film di Greta Gerwig nel corso dell’ultima edizione dei Golden Globes. Il vero mistero è come abbia fatto effettivamente a essere candidato in così tante categorie: si può ipotizzare che il motivo sia, oltre alla consueta tendenza della critica a confondere successo commerciale con effettiva qualità dell’opera, anche una certa autoreferenzialità del cinema statunitense, che si erge da decenni al centro del mondo e ha una logica molto miope e ristretta quando si tratta di considerare obiettivamente ciò che è cinema di qualità e ciò che non lo è.

La delusione dei Golden Globes ha sicuramente ridimensionato le aspettative di Barbie per quanto riguarda l’appuntamento del prossimo 10 marzo con gli Oscar: non si conoscono ancora le nomination, che verranno annunciate il 23 gennaio. La statuetta più ambita, quella per miglior film, potrebbe effettivamente andare al blockbuster del 2023? Attualmente i film favoriti alla candidatura sono gli onnipresenti Oppenheimer, Killers of the Flower Moon e Povere creature!, ma Barbie potrebbe avere una chance quantomeno di figurare tra i candidati, se non anche di vincere.

La possibilità che Barbie possa vincere l’Oscar come miglior film è quantomeno remota ma già divide Hollywood fin dai più alti vertici: Meryl Streep si è espressa positivamente, sottolineando come Barbie abbia risollevato le sorti del box office (sposando la pericolosa equazione “film di successo = film di qualità”). L’autrice e critica cinematografica Amy Taubin si è espressa nel segno opposto, osservando come si tratti pur sempre di “un film su una fottut*ssima bambola”.

Di sicuro vedere Barbie nella stessa categoria in cui sono nominati i film di Christopher Nolan, Martin Scorsese e Yorgos Lanthimos è stato un duro colpo già ai Golden Globe, figurarsi agli Oscar: sarebbe come vedere Star Wars concorrere nella stessa categoria de Il Padrino.

Attendiamo fiduciosi (ma non troppo) le candidature ufficiali prima di tirare le conclusioni, consapevoli che, quando si tratta di riconoscimenti, l’industria cinematografica vince sempre, il cinema quasi mai.

Giulia Vanda Zennaro