Barracuda Queens (ne abbiamo parlato anche qui) è una miniserie svedese di 6 episodi che potete trovare all’interno del catalogo Netflix. Non è una serie troppo impegnativa, sia per la trama che per la durata, perciò può essere tranquillamente guardata in una serata o in un week-end, senza però risultare meno interessante, soprattutto se si considera che gli eventi narrati sono ispirati a fatti accaduti realmente.
Ci troviamo nel pieno degli anni ’90 e Lollo, Klara e Frida sono tre ragazze dell’alta borghesia di Stoccolma, residenti nel ricco quartiere di Djursholm. In seguito a una vacanza le protagoniste contraggono un debito economico piuttosto gravoso, che provano a risolvere avviando una vera e propria attività criminale basata su furti e rapine, a danno delle lussuose ville dei vicini di casa: così nascono le Barracuda Queens, un nome dato da loro stesse durante gli anni dell’adolescenza.
Ed ecco quindi le fantastiche Queens, con le loro personalità, i loro pregi e difetti. Lollo è la leader del gruppo, sveglia e carismatica, ma con problemi di alcolismo; Klara e Frida sono sorelle e, mentre la prima è una brillante studentessa universitaria, fidanzata con un ragazzo noioso e saccente di nome Niklas, la seconda, ancora minorenne, è tenera e un po’ ingenua. Accanto a loro troviamo Mia, una ragazza meno benestante delle amiche, insicura a causa del suo aspetto fisico e sempre al verde, tanto da dover lavorare come domestica presso una delle famiglie del quartiere. C’è poi un ultimo personaggio, Amina, trasferitosi da poco a Djursholm, la quale diventerà velocemente parte del gruppo.
La caratterizzazione delle cinque ragazze è sicuramente un punto di forza di questa miniserie svedese, ma c’è qualcosa di ancora più importante. Infatti gli argomenti sviluppati durante gli episodi sono tanti, profondi e in parte anche attuali: la delusione di un amore non ricambiato, la violenza sessuale e quindi il sentirsi oggetto dei desideri e degli umori maschili, il rapporto conflittuale tra figli e genitori e, infine, l’amicizia e la solidarietà femminile.
Una scena più di altre rappresenta efficacemente quest’ultimo concetto, su cui si basano i rapporti tra le amiche: ogni volta che compiono un’incursione e un furto all’interno di una casa, prima di andarsene e scappare con la refurtiva, lasciano una bottiglia di vino pregiato e cinque calici sul tavolo del salone, un segno distintivo e identitario del loro gruppo, una firma, un simbolo della loro unione e complicità. Da sole sono fragili, infelici, quasi depresse, ma la loro forza emerge quando stanno insieme, quando si confidano, quando condividono qualcosa, quando compiono delle azioni discutibili ma meno gravi di molte altre.
La regista Amanda Adolfsson è stata molto abile nel raccontare le disavventure delle nostre Barracuda Queens senza giudizio e opinioni di qualsiasi genere. Ci pensano già la società conformista e gli adulti che le circondano, soprattutto le figure maschili, a puntare il dito contro di loro e a sentenziare. Come fa ad esempio Kalle, il fratello di Lollo, una delle protagoniste, in una scena del secondo episodio durante la quale dice alla sorella: “Devi pensare alla tua reputazione. Sei una ragazza, per te è diverso”.
Proprio per questo la regista ci mostra anche il risvolto della medaglia, mettendo a nudo i veri colpevoli della storia, posti sotto la lente d’ingrandimento nelle mani dello spettatore: i genitori. Questi ultimi, completamente ignari delle attività illegali delle figlie, tessono infatti una sottotrama molto più sottile e occulta, tra scambismo e tradimenti, pur continuando a mantenere una vita perfettamente normale nella forma, ma non nella sostanza. Un giudizio duro, quello della regista, ma importante ai fini di una riflessione sul ruolo dell’educazione e della famiglia, anche negli ambienti considerati privilegiati.
Ed è così che tutti noi ci ritroviamo ad empatizzare completamente con il gruppo di ragazze che pur essendo delle ladre aristocratiche, una specie di Robin Hood al contrario, sono allo stesso tempo vittime di un’autorità genitoriale ipocrita, falsa e superficiale, che le vuole sempre perfette, diligenti e inquadrate rigidamente nei canoni della ricca e patinata società di Stoccolma. Per tutti questi motivi ciò che è iniziato come un gioco, ossia rubare per saldare un debito ma anche per divertirsi e spezzare la monotonia della vita agiata, si trasforma presto in un deciso atto di ribellione nei confronti dei genitori ma anche del contesto sociale nel quale le protagoniste vivono.
Il brivido dell’illegalità e dell’agire di nascosto diventano quindi un mezzo per sentirsi vive, ma anche un modo per emanciparsi e per punire coloro che sono all’origine delle sofferenze psicologiche ed emotive. Come non sentirsi dalla loro parte? Quanti di noi hanno vissuto esperienze simili con i propri genitori?
In aggiunta a tutto questo c’è la colonna sonora a dir poco strepitosa, poiché composta da canzoni anni ’90 che provocano una sensazione ibrida di nostalgia e allegria a tutti gli spettatori che quegli anni li hanno vissuti e amati profondamente.
Infine, posso segnalare un unico difetto che potrebbe far storcere il naso a chi guarda: alcuni personaggi secondari vengono introdotti per poi sparire, mentre altri vengono descritti troppo superficialmente. Peccato, perché Barracuda Queens è una buona serie tv, senza troppe pretese, ma in grado di affrontare tematiche serie con una giusta dose di atmosfera anni ’90 capace di risvegliare ricordi agrodolci.