Basterebbe pensare che tra i personaggi principali c’è anche l’attore Henry Winkler, meglio noto per aver indossato la giacca di pelle di Arthur “Fonzie” Fonzarelli in Happy Days, per correre subito a recuperare Barry. Uscita nel 2018, firmata HBO e disponibile on demand su Sky Box Sets, la comedy ideata da Alec Berg e Bill Hader è stata rinnovata per una terza stagione, ma in Italia non sembra aver attirato l’attenzione che merita. All’estero ha ottenuto un enorme successo di critica: decine di candidature e una carrellata di premi prestigiosi come Migliori 10 programmi televisivi all’American Film Institute Awards, il Writers Guild of America Awards
come Miglior nuova serie TV oppure il Satellite Awards a Bill Hader come Miglior attore in una serie commedia. Su Rotten Tomatoes la seconda stagione ha ottenuto un rating del 100% e molte testate prestigiose, come The Guardian, hanno definito la serie come una degna erede di Breaking Bad:
Un sicario che si dedica al teatro può sembrare un improbabile erede di Walter White. Ma in effetti entrambe le serie offrono scorci avvincenti negli angoli più oscuri dell’animo umano.
Un’accoppiata vincente: disturbo da stress post-traumatico e dark comedy
Barry Berkman (Bill Hader) è un ex marine del Midwest che al ritorno dall’Afghanistan inizia a lavorare come killer insieme al suo partner/amico di famiglia Monroe Fuches. Barry è cupo, depresso, solo, insoddisfatto e non avendo alternative si aggrappa all’incarico da sicario in cui lo ha coinvolto Fuches. Quest’ultimo sembra essere l’unico a offrirgli riparo da un crollo psicofisico causato da un possibile disturbo da stress post-traumatico (DPTS): una condizione in cui versano molti ex soldati di cui purtroppo non si parla abbastanza e che resta spesso nell’indifferenza collettiva.
Un nuovo incarico porta entrambi a Los Angeles dove Barry entra per caso in contatto con il corso di recitazione del maestro Gene Cousineau e il suo gruppo entusiasta e speranzoso di aspiranti attori. Il killer è subito affascinato dal palcoscenico e senza capire il perché sente di dover percorrere quella strada. Equivoci, nonsense, black humor e spirito parodistico ci accompagnano lungo due stagioni amare e tragicomiche in cui Barry lotta con il suo passato criminale e la sua ansia sociale, che lo perseguitano (insieme a un’esilarante mafia cecena), e il desiderio di trovare equilibrio e dare finalmente un senso alla sua vita.
Alec Berg e Bill Hader
I nomi dei co-creatori della serie tv, Alec Berg e Bill Hader, non sono altro che una garanzia. Il primo, Berg, ha scritto per la sitcom Seinfeld e ha co-scritto diverse sceneggiature per il cinema, come The Dictator; è produttore esecutivo di Curb Your Enthusiasm di Larry David e di un’altra serie tanto geniale quanto snobbata in Italia: Silicon Valley. Bill Hader, invece, è un punto di riferimento solido nel panorama comico statunitense e si è cimentato con ogni esperienza artistica possibile e immaginabile: è un comico, imitatore, stand-up comedian, attore, doppiatore, sceneggiatore, regista e produttore televisivo noto soprattutto per il Saturday Night Live, mentre dal 2008 lavora come consulente creativo per South Park, di cui è anche produttore, sceneggiatore e doppiatore.
Dei presupposti comici esaltanti e se aggiungiamo anche il cast strepitoso otteniamo una comedy davvero preziosa.
Come abbiamo detto, tra i personaggi principali c’è uno smagliante Henry Winkler in un ruolo imperdibile. Lui è Gene Cousineau, un attore con una carriera ormai tramontata che ora dedica tutte le energie al suo corso di teatro, incoraggiando gli allievi a incanalare il proprio vissuto nel lavoro attoriale; elemento questo che farà leva proprio sull’animo anestetizzato e perduto di Barry. Gene è sostanzialmente un uomo buono, anche se a volte sembra essere interessato solo ai soldi e al suo ego. Vive delle presunte glorie di un leggendario passato artistico, sul quale ha scritto un libro, e diventa il nuovo mentore di Barry, in antitesi a Fuches, il quale invece rappresenta un legame ingombrante con il lato oscuro del protagonista.
Anche il ruolo di Fuches è in buone mani con l’attore Stephen Root. Poi troviamo l’emergente Sarah Goldberg nei panni dell’aspirante attrice Sally Reed, la quale all’inizio potrebbe sembrare la solita attricetta giuliva e priva di talento, ma nel corso degli episodi saprà regalarci un’evoluzione davvero inaspettata. Non possiamo garantire che sia così, ma davanti a Sally e Barry è difficile non pensare a un riferimento comico a Rita e a Dexter. Tra i personaggi ricorrenti c’è Natalie, interpretata da D’Arcy Carden – la quale ci ha deliziato in The Good Place – la detective Moss, interpretata da Paula Newsome, e Anthony Carrigan nei panni dello stravagante e molto educato criminale ceceno Noho Hank. Menzione d’onore meritano invece i numerosi e divertentissimi cameo, come quello dell’attore Jon Hamm (Mad Man).
Ogni ruolo è avvolto da uno spessore molto raro per una comedy: i personaggi sono sfaccettati, complessi e non riusciamo mai ad avere un’opinione univoca sul loro conto. Tutti hanno un trascorso, chi più o meno traumatico, e nessuno di loro rispecchia gli schemi classici della commedia, anzi le loro personali parabole sono tutte imprevedibili e sorprendenti. La trama potrebbe trarre in inganno, inducendo lo spettatore ad aspettarsi degli scenari prevedibili in cui il killer sconvolge l’equilibrio dei giovani e speranzosi attori o, viceversa, gli attori riportano sulla retta via il protagonista tra avventure rocambolesche e umoristiche. Niente di tutto questo, per fortuna! In questo risiede il grande merito di Barry che è riuscita in un’impresa apparentemente suicida mettendo sul fuoco tematiche controverse, come il disturbo da stress post-traumatico, e la leggerezza e il glamour dello spettacolo senza inciampare nemmeno una volta negli stereotipi oppure nei toni moralistici.
Il lato tragicomico dell’esistenza
Le due stagioni si compongono di 8 episodi ciascuna della durata di circa 20/30 minuti che rendono la narrazione scorrevole e leggera. L’ironia è secca, spietata e le battute sono estremamente sottili, tanto che il rischio di scivolare nel cattivo gusto, tirando in causa personaggi come Hitler e tematiche come la morte, è sempre dietro l’angolo. La comedy affronta senza remore anche le tematiche più oscure e dimostra di saper giocare con saggezza sul contrasto tra i due mondi in cui si trova intrappolato Barry. Il primo è quello violento e brutale dalla criminalità, dal quale vorrebbe uscire. L’altro è quello introspettivo e affascinante dello spettacolo che potrebbe aiutarlo a mettersi in contatto con le sue emozioni. Barry non vuole fare davvero l’attore: il suo è più un desiderio di riconnettersi con sé stesso, con la sua parte umana, trovare uno scopo e magari imparare a convivere con il mostro che abita in lui.
Barry è la serie ideale per godere di un intrattenimento divertente e intelligente dai toni thriller che intriga con un flow inaspettato, pieno di elementi surreali e parodistici. C’è tanta azione in stile hollywoodiano che viene mostrata in tutti i suoi aspetti più assurdi e sensazionalistici. C’è sangue, violenza e battute spigolose che giocano continuamente con il paradossale. Gli autori hanno saputo intrecciare le opere messe in scena dal gruppo, come quelle di Shakespeare, con i dialoghi in maniera magistrale arricchendoli di aspetti più profondi, quesiti esistenziali e sfumature filosofiche che non risultano mai né retoriche né scontate.
Il macabro e il grottesco sono portatori di risate tanto quanto basta per colmare il vuoto esistenziale e la frattura in cui vive il protagonista. Perché è facile ridere di un sicario frustrato con dei sogni di gloria fino a quando non ci rendiamo conto che Barry Berkman potremmo essere noi.