Ci sono due certezze nella vita: la morte e Beautiful. Penso non esista nessuno che non l’abbia mai vista, chi afferma il contrario solitamente mente.
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Beautiful è La Soap Opera – maiuscole, in questo caso, doverose – di punta del palinsesto italo-americano sin dal 1987 e negli USA conta 7.886 puntate. Dal suo debutto ad oggi abbiamo visto di tutto, dalle guerre del Golfo alla caduta delle Twin Towers; si sono susseguiti 22 governi italiani e si sono sviluppati internet e i social network come li conosciamo attualmente. Nonostante le intemperie Beautiful sopravvive, anzi è più forte che mai.
Ogni tanto mi sveglio la mattina e – non avendo altro a cui pensare – mi ritrovo a riflettere sull’essenza della vita e sul perché Beautiful non sia ancora giunta al termine.
È la Serie Tv (se così possiamo definirla) più longeva mai esistita. Ha surclassato tutte le sue concorrenti tra le soap italiane – come Centovetrine caduta di recente in malora – e le telenovelas di origine iberico-portoghese.
In tutti questi anni la nostra soap preferita è riuscita a entrare nel cuore degli italiani, giovani e meno giovani. È stranamente accattivante nonostante l’intreccio sia una solfa trita e ritrita. La forza di Beautiful sta però nel riproporre i soliti intrighi ogni volta sotto un punto di vista diverso. Ti permette quindi di guardarla senza pensare, un puro passatempo. Perfetto per l’orario in cui è trasmessa: l’ora di pranzo.
Uno dei suoi punti a favore – almeno in Italia – è proprio l’orario in cui viene proposta ai telespettatori. Io personalmente detesto, mentre tento di nutrirmi, avere in sottofondo voci cadenzate che raccontano degli ultimi – tragici – avvenimenti mondiali. In un palinsesto dominato dal terrorismo mediatico Beautiful è l’unica oasi felice.
Non credo di essere l’unica che abbia iniziato a vederlo per questo motivo, il problema è che una volta fatto è difficile smettere.
Riesce in maniera comicamente melodrammatica a trasportarti in un mondo che nella quotidianità non ti apparterrebbe: quello dei ricconi americani, con i loro tanti vizi e le loro poche virtù che altrimenti vedremmo con il cannocchiale. In Beautiful nessuno è senza macchia o senza paura, questo ci fa sentire tutti più umani e riesce anche a insegnarci che forse i soldi – davvero – non fanno la felicità.
Generalmente, il suo essere un puro passatempo – per noi che la vediamo e per chi la scrive – rende impossibile perdere il filo del discorso. A Beautiful non importa che siano passati sei mesi dall’ultima volta in cui hai visto un televisore funzionante: ti permetterà sempre di riallacciarti agli avvenimenti. Grazie agli spiegoni riuscirai – novello pollicino – a ritrovare la retta via. Neppure vivere tra i peggiori bar di Caracas con le tecnologie più primordiali potrebbe lasciarti all’oscuro.
Tecnicamente parlando non è poi un prodotto così terribile. È melenso, ma non vuol dire che sia fatto male.
La fotografia, presa confidenza con i colori ovattati dallo smarmellamento a 360°, non è fastidiosa, anzi cade a pennello con il contesto. La recitazione potrebbe essere molto peggio. Non si tratta di attori alla prima esperienza – ancora devo mandare giù il quarterback di Blue Mountain State fra il cast – e in Italia ci si affida a doppiatori esperti e con una certa fama alle spalle. Diciamo che si vedono in giro prodotti di gran lunga peggiori.
E poi, giusto per non farci mancare niente, mi sembra doveroso dire che Brooke Logan si sposa ben diciannove volte. Già, diciannove.
Forse, anche usando gli stessi ingredienti di Beautiful e mettendoci nei panni del Demiurgo, non riusciremo mai a ricreare la stessa alchimia.
Mi piace pensare che, come Dorian Gray, anche questa soap ha un ritratto che invecchia al suo posto, diventa noioso e magari ha un inizio e una fine. Ci sono domande che forse non troveranno mai risposte sulla terra: l’esistenza di un dio o il senso della vita. Ma quella che in assoluto forse non sarà mai soddisfatta è: ma come c***o finisce Beautiful?