Quante volte, trovandovi al volante della vostra auto, vi siete sentiti cogliere da una rabbia improvvisa e incontrollabile, una sensazione che sembra appartenere solo a quell’abitacolo ovattato e non alla vita di tutti i giorni? Se anche a voi, almeno una volta nella vita, è venuto l’istinto di cedere alla rabbia nei confronti di un altro automobilista, avete una cosa in comune con i protagonisti di Beef.
Non ci siamo poi evoluti molto dal nostro precedente stato di animali: sentiamo la fame e la sete allo stesso modo, cediamo agli impulsi della carne (quasi) come primati, e un sentimento su tutti è capace di farci regredire a furie subumane: la rabbia.
La rabbia, indiscussa protagonista di Beef.
In un parcheggio qualunque, due automobilisti rischiano di tamponarsi. Uno è un imprenditore volenteroso ma fallito, che si è appena caricato in macchina le decine di stufette portatili che non ha potuto restituire al negozio, che gli servivano per suicidarsi. L’altra è una donna in carriera ambiziosa e frenetica, che si è fatta da sé e che non sopporta di venire ostacolata nella sua routine vorticosa dal benché minimo imprevisto.
Danny Cho e Amy Lau non lo immaginano, ma da quel momento la loro vita non sarà mai più la stessa: quell’incontro fatale in un parcheggio intreccerà per sempre le loro esistenze, in un gioco al massacro che non conosce regole.
Beef è l’orchestrazione in chiave borghese di uno dei topos più classici della drammaturgia: la tragedia della vendetta. La rabbia per quel quasi tamponamento, per il dito medio di Amy e per l’inseguimento di Danny e l’eccitazione che i personaggi provano nel sentirsi reciprocamente braccati e cacciatori allo stesso tempo li consuma e li divora dall’interno, portandoli a stravolgere la propria vita, a scuoiare le proprie esistenze per scoprire che, una volta rimossa la carne viva dell’apparenza, al di sotto brulicano i vermi del nulla.
Le vite di Danny e Amy, per quanto diverse, sono accomunate da un fatto: nessuno dei due è davvero felice. Nessuno dei due ha realizzato ciò che davvero desiderava nella vita e ognuno, segretamente, brama qualcosa che l’altro ha, senza rendersene conto, e questo alimenta la sete di vendetta e il bisogno di distruzione del nemico.
Danny viene da una famiglia umile, di gran lavoratori immigrati dalla Corea del Sud che, per dare un futuro ai figli, hanno ceduto alle lusinghe della criminalità, trasformando l’impresa di famiglia, un modesto motel, in un centro di stoccaggio di merce rubata. Danny vorrebbe emanciparsi dal passato familiare al limite della legalità e, per lanciare la sua attività di muratore e tuttofare, si presta a lavorare per chiunque a qualunque prezzo: i suoi sforzi non sono però sufficienti a garantirgli una vita dignitosa, anzi, e l’atteggiamento svogliato del fratello non aiuta.
In Amy Danny vede il miraggio del sogno americano: una donna che, diversamente da lui, ce l’ha fatta pur provenendo da un contesto culturale molto simile. Anche Amy è figlia di immigrati cinesi e ha conosciuto la povertà, da cui è uscita costruendo un business dal nulla grazie al duro lavoro e, soprattutto, sposando la persona giusta, il ricco erede di un celebre artista giapponese.
Amy vede in Danny la grinta di chi si ostina ad andare avanti senza cedere a compromessi, senza adagiare il proprio business sul prestigioso nome della famiglia a cui ha scelto di legarsi. Non che Amy non avesse le carte in regola per farcela da sola, ma una cosa che Beef mette subito in chiaro è che non importa quanto lavori sodo e quanto talento hai: la società premia solo i vincenti, e per vincere devi scendere a compromessi. Che si tratti di sposare un artista raccomandato, che vive sulle spalle del genio paterno, o di compromettersi con la piccola criminalità per far tirare avanti la propria azienda, è lo stesso: nessuno ce la fa da solo.
Beef
Un concetto cinico ma che assume anche dei risvolti imprevedibilmente positivi, nel corso della serie.
Beef è un’allegoria della lotta di classe in chiave moderna, che propone il punto di vista di una categoria spesso marginalizzata, nelle produzioni cinematografiche e seriali: gli immigrati di seconda generazione, cresciuti in un paese che sentono loro ma dal quale faticano a farsi accettare fino in fondo. E come farsi accettare, in una società capitalista, se non attraverso il successo e la ricchezza?
Quello che ogni immigrato sogna, quando arriva in un paese straniero, è dare un futuro ai propri figli: e i suoi figli, quando cresceranno sentendosi spesso respinti da quel paese a cui ormai appartengono, avranno come chiodo fisso quello di legittimare la loro esistenza in questa società attraverso l’ostentazione del lusso e del benessere economico.
La casa di Amy, quel villino da sogno ristrutturato, il Suv bianco, la casa delle vacanze con piscina e donna di servizio, i vestiti minimal all’ultima moda, persino i capelli che tinge all’occidentale, per mascherare le proprie origini e dire “io sono come voi, posso essere bionda e di successo proprio come il mio capo”, sono la maschera che l’ex bambina cinese indossa tutti i giorni per dirsi “io merito di stare qui tanto quanto voi”.
Danny sogna quel successo, lo desidera e insieme lo disprezza, al punto da arrivare a orinare sul pavimento di Amy: un modo innocuo e insieme rabbioso per scalfire l’immagine di ricchezza inarrivabile che perseguita l’ex bambino sudcoreano preso in giro dai compagni e cresciuto sentendosi sempre fuori posto.
I due protagonisti, come magneti, si attraggono inesorabilmente, avvicinandosi sempre più pericolosamente allo scontro diretto grazie a una serie di schermaglie, dispetti, pugnalate alle spalle e pisciate sul pavimento. Un duello senza esclusione di colpi che Beef racconta con crudezza ma anche con una irresistibile vena di comicità e, soprattutto, un’immensa tenerezza per questi due personaggi comici e tragici insieme, che riuniscono la cupezza delle tragedie shakespeariane con l’irresistibile grottesco della commedia di Molière.
La rabbia, come una reazione chimica inarrestabile, arriva a distruggere completamente le vite di Amy e Danny. Portare allo scoperto quel sentimento represso genera una catena di eventi che porteranno i due protagonisti a fare piazza pulita delle loro esistenze precedenti, per trovarsi in un deserto morale (e fisico) totale, nel quale c’è una sola cosa da fare: affrontarsi a viso scoperto, solo loro due, per l’ultima volta.
Una volta che Danny e Amy si ritrovano nel paesaggio arido e brullo della California più selvaggia, a pochi chilometri dal lusso sfrenato delle ville dei veri ricchi, quello che inizialmente si preannunciava come lo scontro finale, un duello all’ultimo sangue che avrebbe visto entrambi i protagonisti dare la vita pur di non darla vinta all’altro, diventa qualcosa di diverso. Amy e Danny si conoscono davvero, lontani dalla frenesia della società che gli impone di indossare una maschera, che ha aspettative continue e irraggiungibili, lontani da chiunque abbiano mai amato e che hanno ormai irrimediabilmente perduto.
Beef
I due protagonisti, spogliati da qualunque rivestimento e costrutto sociale e posseduti soltanto da una furia cieca, scoprono di essere uguali. Stessa frustrazione mascherata e repressa dalla ricerca spasmodica e dall’ostentazione della materialità. Stesso vuoto emotivo, colmato da relazioni effimere e legami d’apparenza per soffocare un bruciante bisogno d’amore e d’affetto. La stessa rabbia, non verso l’altro, ma verso se stessi, per essersi delusi, per aver deluso quel bambino e quella bambina che sognavano una vita piena e che si ritrovano una manciata di polvere.
In quel deserto, in una puntata sorprendentemente riflessiva e onirica, una pausa di riflessione e introspezione nel momento di massima tensione dopo puntate al cardiopalma, Amy e Danny si scoprono e si legano indissolubilmente l’uno all’altra. Non sono nemici, sono entrambi vittime di una società e un ambiente malato, che spinge all’alienazione e alla competizione e che getta fumo negli occhi per far credere che l’altro sia un rivale quando, invece, è la propria anima gemella. Un legame che non sfocia nella carnalità ma che lega due anime e due destini con lo stesso filo: i due nemici si guardano negli occhi e vedono nell’altro se stesso.
Non si lasceranno più, questo ci suggerisce il poetico ed evocativo finale, ora che hanno ritrovato se stessi. Per farlo hanno dovuto sacrificare tutto e lasciarsi alle spalle ogni cosa della loro vecchia vita, ma non sono più soli.
Nessuno ce la fa da solo: il messaggio di Beef, inizialmente declinato in modo cinico, diventa un sorprendente invito alla ribellione, ad andare alla scoperta dell’altro e a unirsi a lui per rendere la propria vita un po’ meno vuota, un po’ meno inutile. Danny e Amy avevano cercato un senso alla loro vita nelle cose sbagliate: lui attraverso una sgangherata ed effimera riscoperta della fede, lei attraverso il sesso e la materialità, quando invece la risposta era ed è sempre stata nell’altro.