Attenzione: L’articolo contiene spoiler su Beef.
Negli ultimi giorni si sta parlando molto di Beef, la nuova serie tv originale Netflix, co-prodotta da A24 e creata da Lee Sung Jin. Una scossa a ciel sereno che sta irradiando il catalogo della piattaforma streaming e che si sta lentamente diffondendo a macchia, proprio come si estende l’incandescente emotività dei due protagonisti. I volti di Beef sono Steven Yeun e Ali Wong, nei panni rispettivamente di Danny Cho e Amy Lau, due individui dal background differente ma estremamente simili nel presente. Nonostante ciascuno sia connotato dalla propria diversa realtà, entrambi sono inconsapevolmente accomunati da una frustrazione fermentata e pronta a esplodere.
L’incontro tra Danny e Amy è casuale, ma sembra prodotto da forze maggiori. Al posto giusto nel momento giusto o, piuttosto, al posto sbagliato nel momento sbagliato (e viceversa): la coincidenza temporale di Beef porta i due a scontrarsi ancora prima di guardarsi in faccia e conoscere la propria identità.
Già emotivamente saturi all’inizio del racconto, i due protagonisti si coinvolgono a vicenda in uno scontro automobilistico adrenalinico. Nella rabbia espressa nella beffarda rincorsa l’uno contro l’altro in uno dei quartieri più benestanti di Los Angeles, Amy e Danny indentificano reciprocamente l’uno nell’altra la propria, prossima, valvola di sfogo. Un capro espiatorio a cui ammollare le colpe del recente stress. Nessuno dei due è pronto a fronteggiarsi, a sviscerare autonomamente le proprie insoddisfazioni. Il pretesto tragicomico dell’incidente automobilistico diviene lo snodo narrativo da cui buona parte delle dinamiche di Beef avrà origine. La serie tv Netflix è fatta di molte sequenze nelle dieci puntate totali, ciascuna sembra semplice, quasi superflua, eppure è essenziale, inevitabile per il proseguire del racconto e per lo scatenarsi di tutti quei micro-eventi che coinvolgeranno anche gli individui che circondano i protagonisti. Perchè Beef è un racconto, con derive intelligentemente assurde, costruito lentamente con tanti piccoli tasselli che ri-compongono il viaggio di due persone legate dal filo rosso della furia che li accomuna e che esplode cambiandone per sempre le sorti. Le azioni di Amy e Danny diventano sempre più irrazionali e impulsive, guidate proprio dalla rabbia che li acceca spesso, finendo per compiere scelte anche sconsiderate, tradendo la fiducia di chi hanno attorno, ferendoli e ferendosi tragicomicamente. Beef è assurda, folle, esagerata, complessa, estremamente drammatica, scomoda e viscerale. Arriva dritta allo stomaco come la rabbia dei protagonisti che agiscono di pancia.
Beef racconta il legame tra Amy e Danny, tra due persone. Una connessione di cui essi stessi sono ignari. Non sono capaci di decifrare ciò che sta accadendo e, proprio per questo, continuano a farsi la guerra, come se fossero guidati da delle forze particolarmente infami nei loro confronti. Episodio dopo episodio, i personaggi di Steven Yeun e Ali Wong continuano a favorire la scissione, nonostante sia ben chiaro che ogni forza cerchi di unirli e farli riscoprire più simili di quanto possano augurarsi. Beef è una serie tv fatta di scontri, perchè i due protagonisti non sembrano capaci di incontrarsi (e aiutarsi) in altro modo.
Al centro di Beef c’è la rabbia, in particolare c’è la quotidiana repressione delle emozioni che ribolle e scoppia nelle piccole situazioni di tutti i giorni.
Dal momento di avvio, Amy e Danny sono alle prese con la loro solitudine più intima e con la propria rabbia più repressa che non può più essere trattenuta. Contrariamente a quanto accade nelle commedie romantiche più calde, l’incidente tra i due non dà addito all’inizio di una piacevole conoscenza, ma a un racconto dramedy (che ibrida anche elementi thriller) che pone al centro proprio la rabbia come frutto di circostanze e alimento di altrettante. Come anticipato, Amy e Danny sono personaggi che non potrebbero essere più diversi per ragioni connesse alla propria condizione sociale: lei è un’imprenditrice benestante immersa nel mondo lussurioso, vuoto, dell’arte e delle piante con una famiglia apparentemente perfetta; lui vive in condizioni più umili, precarie, assieme al fratello con cui condivide una connessione speciale, e non è disposto a chiedere l’aiuto di nessuno. Eppure, complici background, contesti e paure, il punto di contatto tra i due è proprio quella rabbia spesso messa da parte e che non può più essere ignorata. E’ una rabbia di cui sanno poco, che non riescono a spiegarsi, ma che è presente e cresce insistentemente dentro di loro, fino a diventare un mezzo per capire molte cose di sè stessi. Una rabbia talmente repressa a lungo da rinunciare a tutto pur di spingerla fuori.
Beef si tiene ben alla larga da una rappresentazione idealizzata e scintillante, per proporre una storia con personaggi complessi, degli asian-american contemporanei, adulti e frustrati. Dei quarantenni la cui rabbia ha radici profonde. Beef si diverte a esplorare tale sentimento con stile eccentrico e drammatico, giocando con le connessioni che si instaurano tra ogni individuo, anche quelle più intime e sottili. Partendo da una storia quotidiana che sembra indagare le conseguenze (soprattutto emotive) di un incidente stradale, le criptiche title card all’inizio di ogni episodio rivelano poco a poco una messa in scena più complessa, uno studio approfondito, antropologico, sulla frustrazione, sulla rabbia, sulle relazioni e sulle connessioni che avvicinano e allontanano gli individui.
Amy e Danny sono autodistruttivi nel tentativo di affossarsi a vicenda. Due nemici veri che non mollano nel momento in cui hanno finalmente trovato il modo per scuotere la propria staticità e sentirsi vivi. Nello scontro l’uno contro l’altro, i due individuano implicitamente un nuovo motivo per andare avanti, per ignorare i propri problemi e soffocarli nello sfogo quotidiano contro l’altro. Sono l’uno l’alter-ego dell’altro: si sfidano, si provocano, si incasinano, credono di avere il controllo per poi cadere ancora, inesorabilmente, vittime di sè stesse. Ed è così che la rabbia dei protagonisti di Beef diviene un obiettivo più che un mezzo, diventa una valvola di sfogo attraverso la quale riconoscersi vivi in un contesto anestetizzante e reprimente. E’ l’unico stato capace di farli sentire in controllo di qualcosa in una società occidentale in cui non hanno alcun potere.
Grazie al loro turbolento, esagerato, e a tratti comico, scontro, Amy e Danny esaminano inconsciamente la propria frustrazione repressa. Solo alla fine, in una situazione di forzata vicinanza e necessità, i due saranno pronti a riconoscersi e a incontrarsi abbassando poco a poco le difese (complici anche delle bacche non commestibili). Disperati, a un passo dal perdere la vita e spaventati sia dal futuro che dalla morte, Amy e Danny si liberano. Mettono a parole, non necessariamente gridate, i sentimenti, le pressioni e le paure fagocitate per anni. Si riconoscono, finalmente, consapevolmente. Si riconoscono simili nel momento in cui non hanno più ragione o forza di scontrarsi. Ed è proprio nella sincera condivisione che Amy e Danny diventano un unico individuo. Dialogano tra loro ma è come se parlassero con sè stessi in un’atmosfera onirica tra la vita e la morte. Si vedono, si guardano veramente per la prima volta con empatia e scorgendo il proprio riflesso nello sguardo dell’altro.
Una fuga dalla realtà sia fisica che psichica che, nell’ultima metà del decimo episodio, consente ai protagonisti di Beef di prendere consapevolezza di sè, dell’altro e del legame che hanno cercato per tutto questo tempo di ignorare, ma che è il vero fulcro del racconto. Un racconto intimo, profondo, provocatorio, sull’emotività di una comunità in generale e dell’essere umano nel dettaglio. Disarmante, ironica, spregiudicata, Beef è una serie tv Netflix a cui lasciarsi andare. Un turbinio di eventi, anche colossali, che scaturiscono dalla più banale delle situazioni quotidiane. Un’incomprensione a cui spesso diamo poco peso, che cerchiamo di far scorrere nel fluire della quotidianità, ma a cui Danny e Amy hanno deciso di non sottrarsi, fatalmente finendo per incontrare la propria parte complementare più oscura.