Behind The Series è la rubrica di Hall of Series in cui vi raccontiamo tutto quel che c’è dietro le nostre serie tv preferite. Sul piano tecnico, registico, intimistico, talvolta filosofico. Oggi parliamo di Fleabag.
Psicologa: Perché crede che suo padre l’ha mandata qui?
Fleabag: Oh forse perché mia madre è morta e lui non riesce a parlarne. E per un anno non ho visto mia sorella perché lei credeva che volessi farmi suo marito. E perché ho usato il sesso per sfuggire al vuoto che sentivo nel mio cuore.
Così dice la nostra protagonista dal nome sconosciuto, che proprio per questo assurge al ruolo di archetipo di un’intera generazione perduta. Fleabag, sacco di pulci come la chiama affettuosamente suo padre, è l’emblema dei trentenni senza fondamenta solide, senza progetti definiti, senza risorse spendibili in un mondo complesso e che li svaluta e li prende in giro. Tuttavia, prima di qualsiasi dietrologia socio-economica, Fleabag è soprattutto una storia di solitudine: una solitudine mai sfacciata ma sempre presente sottoforma di azioni e conseguenze. Essa è come una malattia di cui osserviamo i sintomi nella protagonista e le reazioni nel mondo circostante.
Una solitudine, appunto malattia metamorfica, già presente in germe in Fleabag – e in tutti noi, se è per questo – che esplode fisicamente con la morte della sua migliore amica Boo e metaforicamente nell’utilizzo dell’escamotage della rottura della quarta parete, in cui noi spettatori diveniamo parte della malattia stessa come reazione simbolica di una condizione psicologica. Partiamo quindi con ordine e addentriamoci in quello che è a tutti gli effetti un vero e proprio trattato sul lutto. Soprattutto sul superamento di esso, attraverso la crudele accettazione che la morte e il dolore fanno parte della nostra vita.
Le sette fasi dell’elaborazione del lutto, una teoria
“La speranza è incorporata in ogni essere umano”
Dianne Gray, presidente della fondazione in onore della psichiatra Svizzera
Nel 1969 fu fatto un enorme passo avanti in quelli che proprio dopo questa data importantissima verranno chiamati i death studies, gli studi sulla morte. Il merito di questo enorme progresso va alla psichiatra svizzera Elisabeth Kübler Ross, considerata appunto la fondatrice della psicotanatologia. Derivata dal greco “morte” (θάνατος, thànatos) la tanatologia studia la morte dal punto di vista medico, ma anche antropologico, sociologico, filosofico e psicologico, con lo scopo di definire modelli comportamentali per i pazienti e per i familiari. Il modello a sette fasi di Kübler Ross risulta ancora oggi uno degli apparati cognitivo-comportamentali più importanti nell’elaborazione del lutto.
Nel suo libro pubblicato nel 1969 (On death and dying, La morte e il morire) la psichiatra sosteneva che davanti a una grande perdita le persone attraversavano generalmente tutte le stesse fasi: shock, negazione, rabbia, negoziazione, depressione, accettazione, speranza. Dopo uno stato di profondo shock, si tende quasi sempre a negare l’evento come meccanismo di difesa e rigetto della realtà. Solo successivamente si passa a uno stadio di ribellione, che si esplica con rabbia diretta verso tutto, persino famiglia, dio, se stessi. A questo segue il patteggiamento, il momento in cui la persona cerca di riprendere controllo attraverso la contrattazione: “Se faccio questa cosa starò meglio…”.
La fase della depressione è in realtà quella della consapevolezza, l’attimo in cui la sofferenza aumenta perché ci si è resi conto della situazione. Può essere di due tipi: reattiva, rendersi conto della perdita dei legami, della propria identità, di se stessi; preparatoria: la depressione vera e propria, il senso di sconfitta preliminare a ciò che si perderà. In ultimo, l’accettazione è la fase dell’elaborazione vera e propria. È una fase particolare, perché può contenere in sé tutti gli stadi precedenti ma si caratterizza da un sottofondo latente di accoglienza di ciò che accade.
La speranza è invece una fase che viene spesso accorpata a quella precedente, ma in realtà corrisponde al passo oltre il lutto. È la consapevolezza che la vita ma comunque oltre, in una forma o nell’altra, che la morte non è la fine.
Fleabag: fattori di complicazione e lutto patologico
Nel tempo diventò interessante per gli studiosi approfondire le possibilità dell’aspetto patologico del lutto, quando cioè alcuni fattori ne complicano l’elaborazione. Ovviamente il primo ad affrontare il tema del lutto nel 1917 fu Freud, che sulla rivista Zeitschitschrift für ärztliche Psychoanalyse (Rivista di psicoanalisi medica) dice:
“Ci troviamo di fronte a un rigetto della realtà e ad una stretta adesione all’oggetto attraverso il mezzo costituito dalla psicosi allucinatoria del desiderio. Di solito ha la meglio il rispetto per la realtà, ma solo un po’ alla volta, con grande dispendio di tempo e di energia, e nel frattempo viene prolungata psichicamente l’esistenza dell’oggetto perduto”.
Nel suo saggio “Lutto e Melanconia”, Freud la chiamerà psicosi illusoria, ossia un’allucinazione momentanea causata dal dolore del lutto che porta a vedere la persona scomparsa. Il rimedio, secondo Freud, è quello di lasciare andare le visioni e recidere i legami che tengono attaccati alla persona defunta. Questo momento, che coincide spesso con la fase di negazione del modello Kübler Ross è spesso molto presente nella cinematografia e nella serialità: basti pensare a Scrubs, dove sia il personaggio del Dottor Cox che quello di Carla Espinosa continuano a vedere i propri cari perché incapaci di accettare la loro morte. Un altro esempio interessante è il famoso Il Sesto Senso di M. Night Shyamalan che si delinea come lutto patologico in quanto passa molto tempo tra l’evento traumatico e l’accettazione di esso.
Il Sesto Senso e Fleabag sottolineano quest’aspetto in modo particolare: il primo sposta il focus dal soggetto della rimozione all’oggetto, mentre il secondo maschera l’allucinazione con la tecnica della “quarta parete”. Siamo noi spettatori la psicosi illusoria di Fleabag, una sorta di interlocutore ideale e invisibile a chiunque che lei utilizza per combattere la sua solitudine e continuare a rifiutarla come conseguenza della morte di Boo e di sua madre
L’aspetto patologico si sviluppa nelle situazioni in cui vi siano fattori di complicazione dell’elaborazione del lutto, per esempio nelle morti improvvise o nei suicidi. Non è un caso che tutti gli esempi riportati rientrino in queste due casistiche. La morte di Ben e Laverne in Scrubs sono improvvise, quella di Boo in Fleabag è sia suicidale che improvvisa, quella de Il Sesto senso è improvvisa. Entrambi i fattori caricano i viventi di ansie, impreparati a reagire all’evento improvviso, ma anche di senso di colpa e disturbo da stress post-traumatico. Quest’ultimo ha sempre la precedenza sul lutto e ne blocca la corretta elaborazione. Se poi la persona in vita è in parte responsabile dell’evento, la situazione si aggrava. In Fleabag, tutti questi fattori acuiscono lo stato patologico del lutto.
Psicanalisi in Fleabag: Rimozione e nevrosi compulsiva
Il caso de Il Sesto Senso è particolare perché mette in scena un altro elemento psicologico importante: la rimozione dell’evento traumatico. Ancora una voltaè possibile fare un parallelo con Fleabag, dal momento che il personaggio si trova in pieno diniego della realtà. La protagonista opera una rimozione vera e propria del suo trauma, di cui scopriremo i veri contorni solo alla fine della prima stagione. Come il dottor Malcom Crowe de Il Sesto Senso, Fleabag attua un meccanismo di difesa che tende a sprofondare nel subconscio tutto ciò che la coscienza percepisce come inaccettabile, vergognoso, intollerabile. Per il dottor Crowe è la vergogna di non essere riuscito a curare un suo paziente, mentre per Fleabag è la consapevolezza di essere il vero motivo della scelta di Boo. Un motivo che, tra l’altro, si collegherà a doppio filo con le nevrosi del personaggio.
In Psicopatologia della vita quotidiana, Freud afferma che il materiale rimosso nell’inconscio troverebbe la propria strada verso la superficie attraverso azioni e parole involontarie che tradirebbero i desideri inconsci. Questi, chiamati atti mancati o più popolarmente lapsus freudiani, sarebbero espressione indiretta della rimozione e farebbero parte delle nevrosi. In Fleabag potremmo vedere nei suoi comportamenti sessuali ripetuti e compulsivi un’espressione di questo, tanto è vero che queste azioni assumono le caratteristiche che Freud attribuiva alle nevrosi, ossia azioni con alla base un conflitto irrisolto riguardante la sfera sessuale: cronicità, incisione sul comportamento della persona nella sua sfera lavorativa, relazionale, sentimentale e fisiologica.
Fleabag sviluppa il conflitto quando vede la sua sessualità come causa della morte di Boo e la usa come nevrosi compulsiva per autopunirsi. La nevrosi può essere risolta con un intervento psicoterapeutico volto ad affrontare il conflitto inconscio alla base del disturbo. Sempre secondo Freud, in molti casi la rimozione può esplodere perché la mente associa un secondo evento simile e fa emergere quello inconscio. In Fleabag questo accade quando nell’ultima puntata della prima stagione la sorella la accusa di aver baciato suo marito. Questo fa emergere nella protagonista l’evento traumatico che aveva cercato di rimuovere.
Psicanalisi in Fleabag: la sublimazione
Alla fine della prima stagione abbiamo detto che la rimozione viene fatta emergere attraverso l’associazione con un evento secondario simile. Da questo momento in poi, Fleabag eviterà di replicare la nevrosi compulsiva che metteva in atto come lapsus freudiano ossia il sesso fine a se stesso. Freud parla di questa fase di “ritiro della libido” nell’ambito della sublimazione, un altro meccanismo psicanalitico con il quale si sposta la pulsione sessuale su una meta non sessuale.
“La pulsione sessuale mette enormi quantità di forze e ciò a causa della sua qualità assai spiccata di spostare la sua meta senza nessun’essenziale diminuzione dell’intensità. Chiamiamo facoltà di sublimazione questa proprietà di scambiare la meta originaria sessuale con un’altra, non più sessuale ma psichicamente affine alla prima”.
La sublimazione di Fleabag viene operata sul nuovo personaggio della seconda stagione, il prete, che viene sì reso oggetto sessuale ma è virtualmente incapace di assumere alla sua funzione e diventa oggetto delle frustrazioni sessuali non attualizzate della protagonista. Grazie a questo espediente, Fleabag riesce ad attraversare le successive fasi del lutto, passando dalla rabbia (soprattutto verso se stessa ma anche la sua famiglia, che non le ha permesso di elaborare il lutto per la madre) alla negoziazione (nei confronti del giovane prete che cerca di “convincere” a stare con lei, reiterando il comportamento compulsivo). La fase di depressione la rivede cadere nei vecchi schemi perché il nuovo rifiuto sentimentale la porta a rivedersi come non degna e colpevole dell’amore altrui.
L’ultima fase e il finale: la speranza
Il discorso finale del prete farà capire a Fleabag di aver superato lo scoglio finale, di aver inconsciamente elaborato il suo lutto sia per l’amica, di cui si sentiva in colpa, sia per sua madre. Non a caso, l’omelia parla di speranza che è anche l’ultima fase del percorso psicoanalitico.
L’amore è orribile! È orribile, doloroso, spaventoso. Ti fa dubitare di te stesso,ti rende egoista. […] È ciò che tutti vogliamo ed è un inferno quando l’abbiamo! Quindi, non è strano che non vogliamo affrontarlo da soli. Se nasciamo con l’amore, dobbiamo trovare il posto giusto in cui metterlo. Si parla tanto di quello che è giusto. È facile quando senti che è giusto e va bene. Ma non so se sia vero. Ci vuole forza per capire cosa sia giusto. E l’amore non è fatto per chi è debole. Per essere romantici serve un pel po’ di speranza. Credo significhi: che quando trovi la persona che ami, senti la speranza.
Fleabag capisce di amare per la prima volta, paragonando un sentimento vero alla nevrosi ossessiva che la caratterizzava. Così risolve il conflitto sessuale e psicologico di fondo: stare con il prete la porta a provare amore e soddisfazione sessuale insieme. Allo stesso tempo, però, capisce che l’amore è un dare e darsi totalmente, senza aspettare nulla in cambio. A differenza di quello che aveva sempre creduto (l’amore è sofferenza e basta), capisce che l’amore è qualcosa di positivo, sebbene abbia un risvolto amaro.
In un cerchio perfetto, la serie si conclude con la speranza, che Fleabag prova nel ricercare un amore puro e nobilitante come quello che prova per il prete. Abbandona la sua psicosi allucinatoria, noi, segno che ormai ha accettato quello che è accaduto. Ora è pronta ad andare avanti verso un radioso futuro, senza più rimuovere ma abbracciando totalmente la sua sofferenza. Sia nelle lacrime per l’amore romantico trovato e perduto sia per l’amore di sua madre, sempre con sé nell’immagine della statuina che si porta dietro nel finale. La canzone finale riassume tutto perfettamente e noi vediamo Fleabag andare via senza di noi, a vivere finalmente.
Ho continuato a sperare, ho continuato a sperare /
che il mio percorso diventasse chiaro /
Ho passato tutto questo tempo /
tentando di giocare pulito e di farmi strada /
Vedi, sto passando un momento proprio difficile /
Ma ci si sente così bene a sapere che mi sentirò bene /
Così ho continuato a sognare, sì, ho continuato a sognare /
Non era molto difficile /
Ho passato tutto questo tempo /
tentando di capire perché /
Nessuno fosse al mio fianco
This feeling – Alabama Shakes