Behind The Series è la rubrica di Hall of Series in cui vi raccontiamo tutto quel che c’è dietro le nostre serie tv preferite. Sul piano tecnico, registico, intimistico, talvolta filosofico.
“In breve, è X-Files che incontra Route 66.”
È con questa definizione che si aprono gli appunti pubblicati da Erik Kripke in occasione della messa in onda del trecentesimo di Supernatural, serie tv di cui è stato creatore, produttore esecutivo e showrunner limitatamente alle prime cinque stagioni. Un incipit che dice molto su genesi e fisionomia di quello che all’epoca era un’idea ancora in nuce, ma che con il tempo si è dispiegato in un mastodontico progetto di 15 stagioni e 327 episodi totali.
Straordinariamente longevo, indubitabilmente iconico, Supernatural si è guadagnato un posto d’onore nella storia della serialità televisiva per ragioni che hanno molto a che vedere con l’utilizzo dei modelli da cui ha attinto.
Il debito contratto da Supernatural nei confronti della serialità posta tra la fine degli anni ’90 e l’inizio degli anni 2000 si dipana su una pluralità di livelli. Innanzitutto, quello della struttura narrativa. In “Le nuove forme della serialità televisiva – Storia, linguaggio e temi”, scritto a quattro mani con Veronica Innocenti, Gugliemo Pescatore ha individuato il periodo a cavallo tra i due secoli come quello in cui la serie, che procede per episodi autoconclusivi, e il serial, che è invece dotato di una narrazione continua e continuamente interrotta, si fondono in un ibrido caratterizzato da una commistione dei rispettivi elementi.
In questa tipologia, i singoli segmenti mantengono un alto grado di autonomia, c’è dunque sempre una storia centrale che si conclude nell’episodio (detta anthology plot), ma c’è anche una cornice che si prolunga per più episodi (il cosiddetto running plot). Viene così aggiunto un elemento di progressione temporale e di parziale apertura narrativa.
L’anthology plot è veicolato dalla formula del “mostro della settimana”, la stessa che ha scandito gli episodi stand-alone di X-Files così come quelli di Streghe e Buffy l’ammazzavampiri, due serie con cui Supernatural è imparentata per genere e caratteristiche. Malgrado si parli di filler in relazione alle puntate di questa tipologia, le creature soprannaturali con cui Sam e Dean hanno a che fare non rappresentano un semplice riempitivo, ma un elemento a cui Kripke ha attribuito un’importanza fondamentale in fase di progettazione, tanto da arrivare a definirlo “una sua personale ossessione”.
“Negli Stati Uniti (specialmente nel centro, che è la zona da cui provengo) abbiamo un patrimonio folkloristico, peculiarmente americano tanto quanto il baseball, ricco e variegato come ogni tradizione mitologica, e quasi nessuno lo conosce.”
In mezzo a demoni, fantasmi e streghe troviamo una miriade di soggetti più caratteristici e nettamente meno noti al grande pubblico. Kripke cita quello con cui Sam e Dean si scontrano nel secondo episodio della prima stagione, raccontandone la macabra origine.
“Robert Johnson ha venduto la sua anima al diavolo, presso un incrocio abbandonato del Mississippi, perché gli fosse concesso di diventare il più grande chitarrista del mondo. L’uomo morì di una morte violenta, avvelenato all’età di 26 anni, urlando qualcosa a proposito di segugi infernali mentre finiva soffocato dal suo stesso sangue. Nelle foreste ombrose del Nord in Minnesota, vive una creatura denominata Wendigo. Tradotto dal nativo americano, significa ‘diavolo che divora’. Si nutre di carne umana. Tutt’oggi, dozzine di testimoni sostengono che esista realmente.”
Le leggende provengono da quello che Kripke ha definito “il cuore pulsante dell’America”, ma non solo. Il materiale da cui Supernatural trae ispirazione è estremamente multietnico: il crocotta appartiene alla cultura indiana, lo shtriga alla mitologia albanese, il djinn alla tradizione islamica, il changeling a vari filoni del folklore europeo.
Mentre Sam e Dean accorrono presso il luogo ove si è palesato il mostro di turno per effettuare le loro indagini ed eliminare la minaccia, il running plot si dipana continuativamente lungo lo sfondo, fungendo da filo conduttore. Per le prime tre stagioni è essenzialmente una cornice che di rado straborda oltre il perimetro tracciato dagli eventi; solo a partire dalla quarta si trasforma in una impalcatura realmente pervasiva, che coinvolge i personaggi in modo attivo e costante.
È proprio la prima, grande storyline di ampio respiro portata avanti dalla serie che introduce una nuova mitologia e un nuovo modello di riferimento. Parliamo dell’arco narrativo dell’apocalisse e di quel compendio di figure bibliche che ha immesso nella storia in vista di quella che sarebbe dovuta essere la sua conclusione definitiva. Per strutturarlo Kripke si è rifatto a una precisa fonte, questa volta di natura letteraria.
Si tratta di Good Omens, romanzo umoristico firmato da Terry Pratchett e Neil Gaiman, con quest’ultimo che ha vestito i panni di ispiratore anche in altre circostanze. La tradizione cristiana è un serbatoio comune a una miriade di racconti, ma ciò di cui Kripke si appropria è la chiave in cui Good Omens ne rielabora i contenuti. Abbiamo un piano divino la cui realizzazione va a scontrarsi con la nozione di libero arbitrio, Inferno e Paradiso ritratti come fazioni alle quali interessa solo prevalere sull’altra, angeli e demoni che di umano possiedono le fattezze e non solo. Crowley, che dei Winchester è prima antagonista e poi alleato all’occorrenza, è dichiaratamente ispirato al demone di Good Omens di cui porta il nome.
Al di là di macro e microtrame, il fulcro indiscusso di Supernatural restano loro: Sam e Dean Winchester. Senza due protagonisti in grado di guadagnarsi l’affetto del pubblico, difficilmente la serie sarebbe riuscita a protrarsi per un numero di stagioni così al di sopra di quello della durata media. Cacciatori di mestiere come Buffy Summers, legati da un rapporto di consanguineità vincolante simile a quello delle sorelle Halliwell, partner complementari al pari di Mulder e Scully, Kripke ha rivelato di averli plasmati usando lo stampo di Sal Paradise e Dean Moriarty di On the Road, romanzo autobiografico scritto nel 1951 dallo statunitense Jack Kerouac.
D’altronde, non poteva essere una coincidenza quella per cui in Swan Song il primo proprietario dell’Impala, la storica automobile acquistata da John Winchester ed ereditata da Dean, si scopre essere un certo Sal Moriarty.
In On the Road non ci sono mostri da combattere, ma c’è una strada che simboleggia il viaggio, l’esplorazione, la ricerca di qualcosa che non si identifica necessariamente con una meta esterna e tangibile. Se si considera che “the road so far” è l’espressione utilizzata per designare le avventure vissute dai Winchester, nonché il titolo di uno dei pezzi originali di quell’episodio musical che ha racchiuso così bene l’essenza di Supernatural, è facile capire che questa stessa valenza sussiste anche per Sam e Dean, che proprio lungo le lingue d’asfalto percorse tra una caccia e l’altra hanno i loro confronti più significativi e le realizzazioni più importanti.
La struttura itinerante ci porta dritti all’altro modello citato da Kripke nel suo identikit autoredatto. Route 66, serie poliziesca andata in onda all’inizio degli anni ’60, segue le vicende di due giovani uomini che girano gli Stati Uniti su una Chevrolet Corvette decappottabile. Ancora una strada e, questa volta, non una qualunque. La Route 66, detta anche Strada Madre, è una delle prime autostrade federali ad aver attraversato il suolo americano. Aperta l’11 Novembre del 1926, è stata celebrata da scrittori, musicisti e artisti di vario genere, tanto da diventare un simbolo della cultura pop del ventesimo secolo.
Cultura pop di cui Supernatural ha dimostrato di saperne decisamente qualcosa.
Questa cultura rivive nelle identità fittizie di cui Sam e Dean si dotano, nelle battute che vengono ripetute a mo’ di citazioni, nelle strizzate d’occhio che solo i veri conoscitori di un certo sostrato sono in grado di cogliere (qui dieci che probabilmente vi sono sfuggite) e in tanti altri espedienti che inglobano nella storia quelli che non sono più soltanto paradigmi, ma parti integranti di un materiale narrativo che può essere setacciato, interpretato e rivisto alla luce dei contributi che racchiude.
Supernatural è un coacervo di influenze debitamente riconosciute, un lavoro sospeso tra imitazione e omaggio, una storia che ne contiene al suo interno infinite altre dalle quali ha preso senza mai depredare. Se il suo lungo passaggio è stato in grado di lasciare un segno così profondo, è stato anche grazie alla capacità di crearsi un’identità distintiva a partire da una molteplicità così ampia e diversificata.