Behind The Series è la rubrica di Hall of Series in cui vi raccontiamo tutto quel che c’è dietro le nostre serie tv preferite. Sul piano tecnico, registico, intimistico, talvolta filosofico.
Quando HBO annunciò nel 2014 l’inizio della produzione di Westworld, uscita poi nel 2016, il mondo si è diviso in due: da un lato c’era chi, conoscendo il film del 1973 Il Mondo dei Robot, aveva già in mente di cosa avrebbe parlato la serie e chi invece, ignorando il materiale di origine, ha aspettato con trepidazione di scoprire questo mondo fantascientifico.
Entrambe le fazioni però si sono trovate a dover fare i conti con un prodotto completamente innovativo nonostante i chiari richiami alla matrice originaria, alla filosofia, alla letteratura e alla mitologia.
Molto del successo di Westworld deriva, infatti, dalla capacità di analizzare temi che da sempre affascinano l’umanità e a cui, per ora, non sembra possibile dare risposta. Il libero arbitrio, l’identità, la coscienza umana, sono tutte parole astratte che vengono portate sullo schermo attraverso i gesti e le scelte dei personaggi. Non c’è da stupirsi dunque se la serie è immediatamente diventata un cult (ed è stata rinnovata per una quarta stagione).
Quando però si adatta un film così importante per la storia del cinema, cosa si decide di cambiare? Cosa invece rimane? E queste decisioni cosa ci dicono del messaggio che Westworld vuole passare ai suoi spettatori?
ATTENZIONE: Nonostante questo articolo si soffermerà principalmente sugli eventi della prima e seconda stagione, saranno presenti anche spoiler sulla terza.
Westworld il film come punto di partenza (non solo per la serie)
Michael Crichton, ideatore e regista di Westworld (in italia uscito col titolo Il mondo dei robot) aveva in mente un’idea ben precisa: due amici, Peter Martin e John Blaine, decidono di visitare il parco di divertimento della compagnia Delos per vivere un’avventura fuori dal normale. Ciò che avviene nei tre parchi a tema – rispettivamente sul Western, sul Medioevo e sulla Roma Imperiale – consiste in un’esperienza di lusso in cui gli ospiti possono vivere storie di violenza e romanticismo.
La storia però raggiunge il proprio apice di drammaticità nel momento in cui i robot, per un virus che ne corrompe le menti, diventano pericolosi per l’uomo e iniziano a uccidere senza pietà.
Questa storia – un parco a tema dove l’uomo perde il controllo di ciò che ha creato, stessa premessa del film cult Jurassic Park, anche questo ripreso da un’opera di Crichton – rappresenta il modello che ha ispirato nel cinema un importante tema fantascientifico ripreso nel tempo da film cult come Blade Runner, Terminator e blockbuster più recenti come Avengers: Age of Ultron.
Ciò che rende questa storia così attuale e affascinante a distanza di oltre 40 anni dalla sua uscita è la semplicità con cui affronta un fatale vizio umano: la tracotanza. Ne Il mondo dei robot il dilemma morale riguarda la sete di potere e conoscenza di Delos che lavora con una tecnologia che non conosce fino in fondo per ottenere successo e potere.
Il punto di vista del film, però, è pienamente rivolto verso i suoi protagonisti umani.
Le premesse del film e della serie tv possono sembrare apparentemente le stesse: entrambi ambientati in un futuro non molto lontano, i parchi a tema accolgono al proprio interno degli ospiti. I robot o host, che assomigliano in tutto e per tutto agli umani, sono presenti per aiutare i visitatori a divertirsi senza freni inibitori. Questa trama permette di analizzare tramite l’aiuto di un mondo immaginario il bisogno molto attuale di gratificazione istantanea che ormai sembra non bastare più ora che ogni desiderio è realizzabile. Ciò che cambia sono le aggiunte che i creatori della serie, Jonathan Nolan e Lisa Joy, hanno portato nel processo di adattamento, lasciando invece intatti alcuni meccanismi della trama.
Com’è stata arricchita la serie: filosofia
La grande differenza tra Il mondo dei robot e Westworld sta nelle possibilità che esplorano: se è vero che in 90 minuti Michael Crichton non avrebbe potuto inserite tutto ciò che trovamo nella serie, possiamo considerare lo show una riattualizzazione degli stessi temi e un ampliamento verso indagini sull’animo umano più graffianti e critiche. Prima grande differenza sta nell’approccio più filosofico della trama.
Una delle moltissime conversazioni filosofiche spiega bene il nocciolo della serie e avviene tra Ford, il personaggio interpretato da Anthony Hopkins, e il suo assistente Bernard. Durante questo dialogo viene citato il filosofo Julian Jaynes che trovò la fama con il libro Il crollo della mente bicamerale e l’origine della coscienza (1976). Egli affermava che la mente umana fosse stata divisa in due parti: la prima guidava l’uomo nelle sue azioni mentre la seconda gli permetteva di agire senza pensare. In questo modo l’uomo antico non aveva una coscienza, ma semplicemente agiva. Nel momento in cui questa differenza tra le due parti del cervello umano è venuta a mancare, ecco che è nato l’uomo moderno, dotato di coscienza di sè e degli altri, capace di decidere e agire tramite l’utilizzo del pensiero.
E’ palese come Ford utilizzi questa teoria come modello di costruzione dei suoi host – Bernard in primis, costruito sulla copia del suo enigmatico ex-collaboratore Arnold (uno dei colpi di scena più assurdi) – e ci anticipa ciò che è il suo piano: permettere ai robot di acquisire autocoscienza e ribellarsi alle volontà dell’uomo, far crollare la separazione tra le due parti della mente degli androidi.
Questo perchè il parco a tema di Westworld si presenta, all’inizio della serie, come una realtà in cui la morale è sospesa: per quanto concerne i creatori del parco, non esiste un modo giusto o sbagliato di vivere la propria avvenutra nel parco perchè l’importante è l’autenticità dell’esperienza offerta (per cui richiedono cifre esorbitanti). Gli ospiti possono uccidere, menomare, diventare di volta in volta gli eroi o i cattivi della storia senza conseguenze, senza ripercussioni.
Ecco dunque che la serie esplora in due modi lo stesso oggetto: la mente umana. Da un lato, tramite l’artificio degli host, Westworld sviscera ciò che ci rende umani. Dall’altro lato, invece, esplora la parte più oscura del desiderio umano: sono le conseguenze che determinate azioni avrebbero all’interno della nostra società l’unico deterrente che ci porta a non compierle? E la possibilità offerta da questo parco ci avvicina a ciò che costituisce la nostra umanità – ovvero la voglia di potere, controllo e dolore – o invece rappresenta l’alienazione che l’uomo affronta sempre più spesso grazie alla tecnologia e alla possibilità di soddisfare subito ogni desiderio e piacere?
Westworld non propone una sola risposta a questi quesiti, ma li solleva ripetutamente all’interno della narrazione. La caratteristica fantascientifica della presenza degli androidi e della loro programmazione, poi, permette di presentare chiaramente il concetto di libero arbitrio e determinismo.
Il determinismo indica in filosofia la concezione secondo cui ciò che avviene nel mondo e nella natura non è dettato dal caso, ma vi è una precisa concatenzione di cause ed effetti che rendono le azioni e le scelte dell’uomo come necessarie, abolendo così la possibilità di libertà. Questa concezione potrebbe sembrare in contraddizione con l’evoluzione della storia, ma piccoli dettagli invece ci dicono che non è così.
La protagonista che nella prima stagione sembra raggiungere uno stato più acuto di autocoscienza è Dolores: il personaggio esce dal proprio loop narrativo, sembra acquisire un senso di identità e decide di prendere la storia nelle proprie mani uccidendo Ford e avviando la ribellione degli host contro gli umani. Ciò, che apparentemente potrebbe sembrare libero arbitrio, altro non è che la precisa volontà di Ford che l’ha programmata alla ribellione. Solo grazie a questo instradamento il suo personaggio potrà, sempre secondo il volere di Ford, autogestirsi diventando così autonoma: nelle successive stagioni Dolores scopre che la voce che la guida non è più quella di Ford, bensì la sua.
Col progredire della storia, però, il concetto di determinismo viene accostato da un altro, più moderato: il compatibilismo. Così il libero arbitrio dell’uomo ha la possibilità di coincidere con alcune accezioni del determinismo poichè viene data all’uomo – e in questo caso agli host – la facoltà, se non di decidere cosa volere, di fare ciò che vuole.
Esempio di ciò è Maeve: alla fine della prima stagione il suo personaggio, per volontà di Ford, sarebbe dovuto fuggire da Westworld, ma all’ultimo decide di non rimanere sul treno che l’avrebbe portata via dal parco divertimenti. Questa decisione avviene in lei dopo aver notato una madre con la propria figlia. L’immagine scatena l’irrefrenabile volontà di ritrovare la propria bambina e, nonostante sia cosciente del fatto che il rapporto tra loro due sia puramente narrativo e falso, sceglie di attraversare gli altri parchi a tema spinta da questo volere e dalla forza dei propri ricordi.
Com’è stata arricchita la serie: letteratura e mitologia
Westworld non sarebbe la serie cult che molti di noi amano senza le innumerevoli citazioni letterarie da cui è composta. Oltre a mantenere i piccoli accenni già presenti nel film – a partire dal nome dell’azienda creatrice dei parchi, Delos – si sono aggiunti nuovi riferimenti più o meno espliciti.
Molto del materiale originario deriva dalla matrice della mitologia greca: Delos si riferisce all’isola galleggiante luogo di nascita del Dio del Sole Apollo e della Dea della Luna Artemide, entrambi figli di Latona, mentre il Labirinto che così disperatamente cerca William è un chiaro richiamo al mito di Teseo e di Arianna, dove il filo della ragazza permette all’eroe di ritrovare la strada per uccidere il Minotauro e uscire vincitore.
Interessante il parallelismo tra William – conosciuto anche come Uomo in Nero – e Teseo, soprattutto con uno sguardo agli eventi delle stagioni successive alla prima: nel libro di Plutarco “Vite Parallele” l’autore presenta il paradosso della Nave di Teseo, importantissima chiave di lettura per capire l’evoluzione del suo personaggio. Viene esplorata nella serie la questione dell’effettiva persistenza dell’identità originaria in un’entità le cui componenti cambiano col tempo: la sostituzione delle parti danneggiate permette alla Nave di continuare a esistere, ma nel momento in cui tutte le sue parti non sono più quelle originarie, bensì sono le aggiunte secondarie, la Nave di Teseo è e allo stesso tempo non è più l’originale.
Allo stesso modo l’Uomo in Nero, che già nella prima stagione si scopre essere una versione più vecchia e senza scrupoli del personaggio positivo di Billy, nel finale della terza stagione viene ucciso proprio da una copia che la Delos aveva fatto non solo del suo corpo, ma anche della sua identità. Questo tipo di presagio rende Westworld una storia moderna, ma che contiene in sè il fatalismo tipico delle tragedie greche e shakespeariane.
Altro nucleo tematico che si ripresenta spesso nella serie riguarda il mondo di Shakespeare. Una delle citazioni che più volte viene ripetuta nella serie deriva dalla tragedia di Romeo e Giulietta:
Queste gioie violente hanno violenta fine
Soprattutto nella prima stagione è molto forte infatti il tema dell’amore impossibile: Billy e Dolores sembrano essere legati da un sentimento autentico e sincero, ma non possono essere davvero assieme perchè la differenza sostanziale tra essere umano e host non permetterebbe alla loro storia di vivere al di fuori del parco a tema. Questa storia finisce quindi in tragedia: mentre Dolores continua per decenni a vivere il proprio loop temporale non ricordando chi sia Billy, l’altro si trasforma in un vero e proprio cattivo uccidendo così la propria controparte giovanile.
Questa frase però non deve essere sfuggita a Ford che la sceglie come codice per “risvegliare” Dolores. Sono proprio la “violenza” e il dolore che permettono alla protagonista di ribellarsi. Altra citazione all’opera è sicuramente il nome di Maeve che in Romeo e Giulietta corrisponde a quello della Regina delle Fate: secondo il folklore irlandese, infatti, questa Regina è conosciuta per aver convinto un esercito a combattere per lei, stesso destino che nella seconda stagione porta il suo personaggio a legarsi ad altri host pur di ritrovare sua figlia.
Oltre a queste citazioni vi sono anche innumerevoli richiami alla Bibbia, in particolare la Genesi e l’Esodo: la creazione di Adamo – il cui particolare dell’affresco di Michelangelo compare in una puntata di Westworld – ricalca fedelmente la nascita sia di Bernard che di Dolores da parte di Ford. Entrambi si ribellano a lui e per questo soffrono innumerevoli perdite, sconfitte e dolori. Ma Dolores è anche Mosè che libera gli schiavi d’Egitto: anche lei salva gli host liberandoli dai loro backup e ponendo le acque tra lei e gli umani nel finale della seconda stagione.
Infine una delle più importanti citazioni tematiche sta nella ripresa, tipica del genere fantascientifico, del Frankenstein di Mary Shelley: ecco dunque che il tema già presente ne Il mondo dei robot viene ripreso e ampliato.
I pericoli che la creatura – in questo caso gli androidi – pone nei confronti del suo creatore sono esplorati anche nel film: la differenza sta nel livello di immedesimazione che Crichton ci permette di avere nei confronti dei due schieramenti. Nel suo Westworld, infatti, l’autore caratterizza gli umani come vittime della ribellione, mentre dipinge gli androidi come pericolosi e difficilmente gestibili. Nolan e Joy, invece, rimangono più fedeli a Shelley: prendono il potenziale narrativo del parco pieno di androidi, ma ne cambiano il focus. Le vittime ora non sono più solo gli umani, ma anche gli host recuperando così l’elemento sovversivo di empatia che i lettori nutrono nei confronti del mostro all’interno del romanzo di Mary Shelley.
Questa operazione è voluta dagli autori di Westworld per analizzare il rapporto tra umani, che nel passato come oggi, tende a diventare selettivo e sembra lasciar spazio sempre più spesso all’alienazione. La facilità con cui gli ospiti del parco sospendono la propria empatia e godono nell’infliggere dolore e violenza rispecchia ciò che per molto tempo è successo – e tutt’ora succede – nella sopraffazione degli altri.
Un commento brutale, realistico, che ci lascia un monito non indifferente: giocare a fare Dio, pensare di poter avere il totale controllo sugli altri è pericoloso perchè anche le sue creature si sono ribellate e – in un atto nietzschiano – lo hanno ucciso. La tracotanza che guida i personaggi di Westworld è uno specchio chiaro e metafora di ciò che vediamo, nel nostro piccolo, attorno a noi. E’ sempre nella nostra realtà, però, che dobbiamo compiere piccoli atti di ribellione, affermando sempre di più la nostra libertà, la nostra identità e soprattutto la nostra fragilità, la caratteristica che ci rende davvero umani.