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Il grande rimpianto di Benvenuti a Eden

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Proseguendo sulla scia delle serie di successo come Élite e La Casa di Carta, Netflix ha deciso di proporre l’ennesimo prodotto spagnolo per adolescenti. Questa volta, nel thriller Benvenuti a Eden, ci ha portati in viaggio su un’isola misteriosa. Un paradiso di spiaggia e paesaggio vulcanico in cui sembra regnare l’armonia, ma dove non tutto è come sembra. Le splendide Isole Canarie sono l’ambientazione principale di questa nuova produzione ricca di oscuri misteri.

Attenzione: nella lettura potreste imbattervi in spoiler su Benvenuti a Eden.

Invitati a un evento esclusivo pensato per promuovere alcune bevande energetiche, un gruppo di giovani influencer, arriva su questa apparente isola da sogno. Quello che non sanno è che alcuni di loro sono stati scelti per restare lì e diventare ospiti della strana comunità che gestisce l’isola, l’Eden Foundation, guidata da Astrid (Amaia Salamanca) ed Erick (Guillermo Pfening). Entrambi insegnano uno stile di vita peculiare che a prima vista può sembrare molto attraente poiché accoglie coloro che non hanno un posto dove andare. Ma non è così carino come sembra poiché le cattive intenzioni sono ben presto evidenti.

Benvenuti a Eden è: Utopia o Distopia?

L’invito iniziale all’Eden è iniziato con un messaggio sui social media, chiedendo ai personaggi: “Sei felice?” a cui la risposta è ovviamente e inevitabilmente scontata. Peccato però che per l’evento, gli invitati non possono avere i cellulari, quindi zero comunicazione; non possono dire a nessuno della festa e devono pure indossare degli strani braccialetti gps. Ma per loro è tutto normale. Quali eventi fanno diversamente? Durante la festa viene comunicato che cinque persone fortunate saranno selezionate per provare la bevanda che avrebbero lanciato. Dei cento invitati, cinque sono i prescelti: Zoa, Aldo, Charly, Ibón e África. Sorseggiano a ritmo di musica, il Blue Eden, una bevanda che li sballa portandoli in uno stato allucinatorio. Al risveglio del mattino seguente, si rendono subito conto di essere gli unici rimasti e che dietro le belle apparenze della comunità si nascondono in realtà strani atteggiamenti. Cercano di convincerli che ciò che c’è fuori è male e sull’isola possono trovare una via di fuga da tutto ciò. In poche parole, sono intrappolati. Il tutto nella più totale ambiguità, visto che le vittime del rapimento sembrano per lo più infastidite dalla loro situazione piuttosto che spaventate.

La cosa più strana di Benvenuti a Eden è che in realtà non viene fornita una vera e propria ragione per cui la comunità sia così misteriosa e malvagia. Fanno letteralmente di tutto per reclutare nuovi membri e farla crescere, qualcosa che sembra che potrebbe essere facilmente fatto senza drogare e rapire le persone, né tanto meno uccidere coloro che cercano di andarsene. Una comunità autosufficiente gestita da persone attraenti in abiti blu che sono una sorta di liberali ecocompatibili che cercano di stabilire un’utopia che possa prosperare quando il resto del mondo va all’inferno.

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Oltre al personaggio di Zoa, che risulta essere la personalità più brillante, è sicuramente da apprezzare il personaggio di Astrid, la leader dell’Eden.

ll modo in cui la donna passa da dura e spietata a premurosa e compassionevole in un istante mentre mette in atto il suo piano misterioso, è davvero notevole; e tra l’altro, indovinare quali membri della sua inquietante comunità stanno per ingannare i nuovi arrivati e quali sono sinceri è sicuramente un elemento importante oltre che molto coinvolgente.

La serie per molti aspetti richiama immediatamente alla mente The Beach, il film di Danny Boyle con Leonardo DiCaprio nei panni di Richard, un viaggiatore che si imbatte in una comunità tropicale schiava di una carismatica leader femminile. Benvenuti a Eden prende in prestito la luminescenza stravagante di quel film per sottolineare la malattia del mondo moderno.

Gli elementi horror non funzionano, gli elementi drammatici nemmeno. Non ci sono letteralmente elementi comici poiché Benvenuti a Eden si prende estremamente sul serio. Sembra quasi che qualcuno abbia trasformato il concetto di un reality show in un dramma seriale semplicemente aggiungendo alcuni mistero e qualche omicidio qua e là.

I creatori della serie, Joaquín Górriz e Guillermo López Sánchez hanno optato per la novità, ma l’hanno raggiunta solo in parte. Va bene la distopia, l’utopia, l’angoscia e il romanticismo proibito, ma almeno potevano essere presentate e gestite molto meglio. L’idea iniziale non è male ed è supportata soprattutto dai colpi di scena che ogni fine dell’episodio ci ha lasciato, poiché non possiamo negare che ci abbia tenuto incollati e fatto riflettere su ciò che avevamo appena visto. Nonostante sia stata a tratti prevedibile, possiamo dire che è una serie che ha riservato delle sorprese.

Purtroppo non c’è stato nemmeno abbastanza spazio per raccontare in profondità la storia di ognuno e di conseguenza ci restano semplicemente piccoli dettagli che non bastano per entrare in empatia con i personaggi. La maggior parte non ottiene una sufficiente attenzione al proprio passato per chiarire chi sono e, quindi, perché vale la pena prendersi cura di loro. Di conseguenza, le storie dei protagonisti sono sottosviluppate ed inevitabilmente finiscono per risultare piatte.

La serie è riuscita addirittura a scalare le classifiche di Netflix per settimane, facendosi apprezzare in tutto il mondo proprio per le sue premesse innovative. Ma non basta.

Il merito delle cose positive è anche di un buonissimo cast che nel complesso ha fatto un altrettanto buon lavoro; spiccano su tutti sicuramente Amaia Aberasturi (Zoa), la modella Amaia Salamanca (Astrid) e la cantautrice Belinda (África). Da segnalare anche la presenza della cantante Ana Mena nel ruolo di Judith. Ma se la prima stagione non ha fatto altro che creare confusione con tante domande e misteri irrisolti, la seconda non è riuscita a fare chissà quanto meglio, arrivando ad ottenere una cancellazione inaspettata che non permette di chiudere il cerchio con un vero e degno finale. Forse il rimpianto più grande, oltre le potenzialità non sfruttate. È un classico esempio di serie incentrata su un concetto elevato, su una premessa molto suggestiva, ma che è incapace di offrire anche un accenno di autenticità e credibilità.

Tutto sommato se ti siedi e non ci pensi troppo, Benvenuti a Eden è il classico materiale da abbuffata. L’intero show ha un’atmosfera sognante, ipnotica e inquietante, che rende facile divorare un episodio dopo l’altro fino a tarda notte. Senza troppo impegno e con basse aspettative.