Un certo potenziale concettuale Benvenuti a Eden lo aveva. Se l’idea fosse stata sviluppata da altri autori e showrunner, avrebbe potuto generare tensione e interrogativi molto più stimolanti: la meccanica alienante dell’esposizione autoriferita sui social, l’annebbiamento cognitivo che certo marketing innesca, la manipolazione e il controllo sull’individuo nel tempo dei dati.
Tutto questo però in Benvenuti a Eden, come in molte serie tv spagnole, si infragilisce. E sceneggiatura e visione decadono nel trash.
I giovani protagonisti spagnoli sono sempre carini ma la loro tenera bellezza non è sufficiente a reggere una storia debole, con un finale scontato e con quell’effetto cliffhanger che presuppone un ovvio sequel per la serie prodotta da Brutal Media per Netflix.
Senza moralismi, anzi con sguardo aperto proprio in virtù di una speranza riposta nell’incipit, abbiamo provato a intercettare le 10 citazioni più trash di Benvenuti a Eden.
1) Chiedimi se sono felice. Sei felice?
Che sui social vi sia infelicità diffusa è vero. Le solitudini metropolitane e gli hashtag a tema #disagio spopolano. A fronte di questo c’è l’ostentazione di una vita cool, healthy, piena di amici, viaggi, amori, degustazioni gourmet e visioni cosmopolite. Vite effimere e patinate che mettono in vetrina una fragilità ontologica, talvolta molto più infelice di chi esprime, nei propri post, un autentico disagio esistenziale.
Si apre così, all’insegna di sfavillanti account da influencer, il primo episodio di Benvenuti a Eden su Netflix: un chiaro, accelerato richiamo alla Gen Z. Alla protagonista Zoa (Amaia Aberasturi) arriva in direct un messaggio da tale Eden che, con una semplificazione che lascia subito interdetti, le pone una delle domande più complesse della vita su cui filosofi e pensatori di ogni epoca si interrogano: sei felice? Ci rendiamo subito conto che siamo dinanzi al sensazionalismo trash, colorato di azzurro, delle serie tv spagnole.
2) Mira el dron!
Ora, secondo voi, indipendentemente dall’età e dalle generazioni, si può disegnare la scena di tre teenager estranei che si trovano in un vicolo buio e bussano a una porta blindata di una fabbrica abbandonata inseguendo un fu**ing drone? Non chiamiamola avventura, né curiosità. Non sono i nostri amati sveglissimi protagonisti di Stranger Things. Siamo davanti a un tentativo di suspence sventurata che vorrebbe emulare l’inquietudine, cruda e disperata, il simbolismo di Squid Game, con estetiche desemantizzate e visivamente piatte. Un momento drammaturgico decisamente grottesco, una scena di una frivolezza inaudita.
3) Il pullman. Drink a caso, pepa y agua per la seca!
Che canzone super trash! Ritmo incalzante, ebbene sì, ammetto di averla ballata anche io in scanzonate notti estive, ma “Pepas”, la hit dance di Farruko, è un inutilissimo inno all’ecstasy. Senza voler essere retorici, diciamo che non si tratta della dimensione estatica di elevazione della mente, ma di una proposta di impasticcarsi in discoteca. Nel caso di Benvenuti a Eden, ancora peggio: su un pullman claustrofobico brandizzato dove, non si sa come, compaiono drink a caso e si improvvisano lap dance. Un montaggio velocissimo, una corsa sulle strade notturne fino all’alba, ammicca al target dei giovanissimi, cavallo di battaglia di Netflix, con una tensione accelerata tipica delle serie tv spagnole che porta… dove? Nessuno si chiede chi guidi questo pullman, chi sia questa gente col passamontagna e dove si stia andando.
4) La backstory di Zoa: più superficiale di così
L’idea sarebbe scovare e scavare nell’angoscia, mascherata da eccentrici selfie sul suo profilo, di un’adolescente costretta a vivere da sola, con genitori disfunzionali e assenti, prendendosi cura della sorella minore. Tuttavia questo retroscena di vita, ambientato in una modesta casa di Barcellona, crolla. Un padre che viene e va con sempre nuove fidanzate, una madre che entra ed esce dal rehab per disintossicarsi dall’eroina, drammi resi in modo troppo superficiale. Questa di Zoa è l’insignificante backstory personale che dà il via alla line principale e alla fuga verso un’isola e una millantata felicità.
Benvenuti a Eden promette, con termini biblici e attraverso un surreale adv, il viaggio della vita.
5) Controlli e contratti per salire su un battello verso un’isola che non c’è
Non sono le Eolie, non sono le Cicladi, non è Formentera, e non è la meravigliosa avventura di Peter Pan. Ma di che isola stiamo parlando?
Perché bisogna firmare un contratto, partire da soli – il permesso che viene concesso a Zoa di far passare anche l’amica è un buco di trama – per non si sa dove e senza pagare un euro? I controlli con i metal detector, la vacua incoscienza dei personaggi, la tranquillità di abbandonare il cellulare in un tempo in cui nessuno può farne a meno, rappresentano uno dei momenti più naïf della serie.
6) Blue Eden: la versione fluo dell’Assenzio
Tutti i toni della serie sono blu e azzurri. Acque cristalline, braccialetti, luci in spiaggia e la versione psicotropa di una bevanda a metà tra l’Angelo Azzurro del 2022 e l’Assenzio.
Per quanto votati al divertimento, trasgressivi e smisurati, si può bere una bottiglietta azzurro fluo a monosorso con un logo sconosciuto, senza una descrizione del prodotto, senza che sia stata messa in commercio, senza un’idea della composizione e di chi la somministri? O meglio, a somministrarla e a regalare l’illusione del paradiso terrestre è Astrid, che appare su uno schermo, durante la festa, come un ologramma dorato, celeste, sponsorizzando Blue Eden, la bevanda ignota che tutti i ragazzi berranno senza porsi domande. Una reminiscenza ignorante della Psicologia delle Folle di Gustave Le Bon.
7) Appartamenti modulari: tecnologia e natura finta
Piccole prigioni high-tech bianche, a vetri che si affacciano su “una natura senza formiche”, come direbbe Umberto Eco, dove non si sviluppa alcun percorso narrativo.
L’ordine minimalista, in stile giapponese, e gli spazi tecnologici contrastano con l’obbligo di non possedere cellulari e di non potersi connettere con il proprio mondo. I momenti comunitari new age, in cerchio sul prato, sono un’ulteriore citazione di decadimento della storia.
8) La cabina di regia: la virtualità cheap
Mayka, la DJ dal capello azzurro, è la tecnologa che monitora gli album digitali dei volti che scorrono sui social, i prossimi “cittadini del web” a essere selezionati per il viaggio della vita. Narcisisti, problematici, idonei. È colei che manda messaggi alle famiglie inspiegabilmente non preoccupate dall’assenza misteriosa dei figli. L’unico sviluppo che vediamo è quello della sorella di Zoa, che si interroga sulla scomparsa anomala della sorella e ne va alla ricerca. Tuttavia, lungi dall’intraprendere un percorso di indagine, il suo ruolo sarà solo funzionale per un finale di stagione decisamente prevedibile
9) Astrid e Mike: la Fondazione Eden tra ecologia e sciamanesimo naïf
Come in Élite spopolavano momenti cringe, Netflix, tra le serie tv spagnole, con Benvenuti a Eden ha proposto il survival drammatico più imbarazzante di sempre. Non si capisce quale sia la storia di Erik e Astrid, una coppia che dà vita alla Fondazione Eden, una versione piatta e stereotipata che ripropone topoi di rilevanza contemporanea: cambiamento climatico, cura e amore per sé, abbandono delle metropoli alla ricerca di luoghi incontaminati a contatto e nel rispetto della natura.
Tutti questi temi mancano di approfondimento e critica sociale.
Siamo lontani anni luce dall’immaginario perturbante di Squid Game così come dai survival apocalittici che raccontano futuri spaventosi in universi credibili e immersivi. Così come dal Sensei rock di Cobra Kai Johnny Lawrence, formatore ferreo di teenager vitali e appassionati.
In Benvenuti a Eden nulla è credibile, meno che mai la caratterizzazione dei personaggi, a partire dai due profeti di questo insulso paradiso isolano. Insensate sono le leggi e insensati sono i versetti laici ambientalisti letti, in forma di news, durante i pasti vegani cui gli adepti devono partecipare. La stessa comunità di ragazzi non porta avanti alcun valore politico, ma incarna solo versioni tipizzate di adolescenti senza visioni.
10) L’immancabile nota LGBT con un tocco di diversità
A rendere paradossale, oltre che retrogrado, l’aspetto LGBT che gran parte delle serie tv spagnole racconta è come venga esibita e felicemente accettata l’omosessualità femminile, con una delle protagoniste dichiaratamente lesbica; e come invece venga mascherato e secretato il rapporto tra due ragazzi gay. Una scelta di inspiegabile conservatorismo.
Le scene effusive di sesso sulla riva del mare di Zoa e Bel, e quelle nella stalla in mezzo al fieno e ai cavalli, di Orson ed Eloy – anche sordomuto – sono l’espressione di una scrittura anacronistica e di cliché desueti, di basso livello oltre che trash.
Benvenuti a Edén è un teen drama patetico, dalla sceneggiatura irrisolta che lascia F5… basiti! Apre interrogativi prolungati, preludio per una nuova stagione Netflix all’insegna del nonsense. E non perché umoristico, ma perché infelice.