Perché Jimmy rifiuta il lavoro? Perché dopo aver ammaliato la folla con la sua irresistibile oratoria, dopo – insomma – aver ottenuto ciò che voleva, manda tutto alle ortiche? Non possiamo non esserci posti questa domanda. È il tarlo che ci tormenta per tutto il secondo episodio della quarta stagione di Better Call Saul. La risposta c’è e si trova anche (e ancora una volta) nella sigla. Ma cerchiamo di non essere precipitosi, andiamo con ordine. Riavvolgiamo tutto.
A occhio disattento o inesperto questo episodio potrebbe apparire come un intermezzo in vista di più corposi sviluppi.
Per certi versi lo è, per altri non proprio. Tutto si gioca su un’attentissima, come sempre, costruzione registica. Come già avvenuto nel primo episodio anche questo secondo appuntamento si apre con i protagonisti dell’azione in uno stato di incoscienza. Nella 4×01 era il caso di Gene, qui è Don Hector a giacere nel letto di ospedale. Per entrambi la posizione orizzontale sancisce un irreversibile stato di abbandono, una condizione dalla quale non si riprenderanno mai. Per il primo la paralisi sarà la sua condanna, per il secondo la perdita (già in atto) della sua identità da Saul Goodman.
Non solo: entrambe le scene sono seguite da un intermezzo notturno che anticipa futuri sviluppi, a cui segue la sigla (con chiari indizi) e di nuovo una scena in cui il personaggio inquadrato è incosciente. Si tratta per due volte di Kim, sorpresa dall’occhio della telecamera mentre dorme. C’è un’importante differenza, però. Nella 4×01 è affiancata da Jim, in questa seconda puntata è da sola.
Il compagno è già intento in quelle occupazioni di apparente routine quotidiana che ampio spazio avevano trovato nell’esordio di stagione. In quella quotidianità apparentemente semplice si nasconde in realtà un disagio che emerge nei dettagli. L’orario troppo mattiniero e una ripetitività morbosa di gesti che si accavallano convulsamente.
Una ripetitività che era già saltata all’occhio nella grottesca scena in cui Jim, incurante della morte di Chuck, prepara il caffè e dà da mangiare al suo pesciolino al cospetto di due esterrefatti Kim e Howard. Jimmy si affanna, si getta a capofitto in ogni cosa capiti a tiro. È il suo modo per distrarsi, per elaborare la morte di un fratello verso cui ha nutrito sentimenti contrastanti.
Così il nevrotico balletto di Jim si contrappone e viene messo in risalto dalla staticità di Kim che appare in posizione orizzontale nella sua prima e ultima scena.
L’immobilismo dei personaggi risulta, infatti, tanto nella loro fissità quanto in un movimento che sembra esser nient’altro che un giro a vuoto in cui nulla cambia e tutto rimane identico. Nella precedente puntata Kim e Jim sono apparsi seduti (e perfino sdraiati) nella stragrande maggioranza delle scene. Nella prima si trovano a letto, nella seconda su una panchina, nella terza si alternano sul divano, nella quarta sui banconi della chiesa, quindi in macchina, infine di nuovo sul divano.
Solo in due occasioni è avvenuto un cambiamento e in entrambi i casi Howard Hamlin è incolpevole protagonista. Il primo si svolge al telefono (Kim si alza, Jim resta seduto), nel secondo l’avvocato della HHM è presente di persona (Jim si alza, Kim rimane seduta, a formare così un chiasmo ricercatissimo).
Non è un caso allora che anche in questo episodio di Better Call Saul la scena che vede Kim in posizione eretta coincida di nuovo – e irrimediabilmente – con l’incontro con Howard. La splendida performance recitativa di Rhea Seehorn ci restituisce il senso di uno scontro in cui l’ingessato avvocato, per l’ennesima volta, appare sconfitto e impotente.
Kim, già compromessa nella sua morale per amore di Jim, si mostra sempre più come un guscio vuoto, immobile e avvolto su se stesso. In lei si agita solo un sentimento: la rabbia. La rabbia verso chi incolpa di aver reso Jim ciò che è. Di indirizzarlo sempre più verso quella trasformazione in Saul Goodman, avvocato-truffatore, che lei stessa vorrebbe evitare. Ma la Wexler in cuor suo sa che scegliendo Jim ha scelto Saul. Ha scelto di accettare il compromesso morale. L’esito è un immobilismo senza scampo.
La stessa assurda e labirintica inerzia domina Jim che nel suo affannarsi non fa altro che tornare al punto di partenza.
Si sabota, non vuole arrivare a una conclusione, a una soluzione. Perché? La risposta sta nella sua macchina. Già, proprio in quell’auto che rappresenta una costante della sua esistenza. E che però è destinata a far posto a una Cadillac, come ci ricorda l’intro di questo episodio di Better Call Saul. Una sigla, come già quella della 4×01, che accentua rispetto alle stagioni passate la preminenza del grigio a indicare il lento procedere di Jim verso il finale annichilimento in Gene.
In un articolo di recentissima pubblicazione ci siamo soffermati sull’analisi della Suzuki gialla e su quanto essa sia profondamente legata alla personalità di Jimmy. Simbolicamente ci troviamo di fronte a nient’altro che al posticcio oggetto transizionale di un uomo ancora proteso (in maniera effimera) verso una caparbia idea di onestà. Un’onestà che, di fatto, non ha mai fatto parte di lui. La rinuncia alla lussuosa auto aziendale della Davis & Main nella 2×06 di Better Call Saul aveva rappresentato il rifiuto di un mondo di regole imposte da altri.
Il legame con la sua rattoppata Suzuki in Better Call Saul trova un parallelismo con l’auto di Walter White, la familiare (e anch’essa rabberciata) Pontiak. Il passaggio di entrambi i personaggi a una nuova auto sancirà la loro irrimediabile trasformazione interiore. L’emergere di Heisenberg e di Saul Goodman.
La Cadillac sarà così visiva rappresentazione di quello stile pacchiano ed esasperato da bus-bench lawyer, teleimbonitore istrionico, magnetico e irresistibile.
Uno stile che già ora emerge con forza nell’incredibile prova virtuosistica a cui Jimmy si lascia andare durante il colloquio di lavoro. Là è la vera dinamicità del personaggio. L’azione che si contrappone alla staticità, all’inerzia di una figura che nel precedente episodio si era alzata in piedi solo in una circostanza. Là è l’essenza di Saul, la sua più profonda e irriducibile natura. Jimmy non accetta il lavoro semplicemente perché non può accettarlo. Non può stare sotto capo, non può rispondere a qualcuno se non a se stesso.
Così quella che pare una scena incomprensibile acquista finalmente senso.
Non è nell’ottenere il lavoro il fine ultimo di quell’incredibile prova retorica. No, sta nella capacità stessa di riuscire a manipolare, “vendere aria fritta” e affermarsi grazie al suo estro. Jimmy ora e una volta di più sa che quello che sa fare meglio è ingannare e raggirare. Ed è anche ciò che lo rende felice. È la sua più inesprimibile e incontrollabile natura. E il finale di episodio ce ne dà ennesima conferma. Saul è vicino e il guscio della Suzuki è pronto a schiudersi in una pacchiana, appariscente Cadillac.