Anime combattute, disorientate ma vive. Contraddittorie e incerte espressioni della natura umana. Questo ci regala Better Call Saul. Nessun personaggio è granitico, nessun uomo è irreprensibile nella sua morale. Come già sottolineato il reato comune di Better Call Saul è il compromesso morale. Tutti, prima o poi, cedono e cadono. Scendono a patti con la vita, con i loro desideri, con il bisogno di affermazione.
Torna la cinica ma vivida visione del mondo di Vince Gilligan.
Torna in un episodio (‘Coushatta‘) paradossalmente comico. Ma sarebbe meglio dire “umoristico”, memori della differenza pirandelliana fra i due termini. Sì, perché sempre, dietro l’apparente comicità di Better Call Saul, si nasconde il dramma dell’uomo comune. Questo dramma è, appunto, il compromesso morale.
Quello in cui cade Kim che, facendo scorrere tra le mani il tappo dello Zafiro Añejo, guarda con viva nostalgia al tempo di Giselle. A quel raggiro (episodio 2×01) compiuto col suo Viktor che si riattualizza ora nell’inganno al sostituto procuratore. In entrambi i casi corre sotterraneo un senso di giustizia. Nella prima circostanza si trattava di dare una lezione al tronfio e narcisista Ken, un broker incontrato per caso. In quest’ultimo episodio è invece il desiderio di aiutare Huell a mettere in moto l’azione.
Ma c’è di più. C’è un perverso piacere, quel piacere che accomuna Kim a Jimmy. Il gusto di chi si afferma grazie alla furbizia. L’eccitazione di mettere in atto un piano perfettamente riuscito. Dove la Legge impone cavilli, vizi di forma, irregolarità per ottenere la vittoria, la morale di Saul contrappone il raggiro. Kim è blu. Incontrovertibilmente blu anche in questo episodio. Il colore, come più volte ripetuto, dei buoni. Il blu marino che la costumista di Better Call Saul rivela essere “il colore di coloro che sono al di qua della Legge”.
Kim ha provato a riabilitarsi tramite il pro bono. Ha provato a recuperare la sua integrità.
Se lo è quasi imposto. Ma non è quello che vuole. Kim è blu, è una persona “al di qua della Legge”. Eppurepercorre la sottilissima linea di demarcazione dell’illegalità. Lo fa insieme e grazie a Jim, strumento al servizio di una giustizia personale. E, inevitabilmente, di fronte alla resurrezione di Giselle, viene da chiedersi se dietro Saul non ci sia proprio lei. Se la maschera di Jimmy altro non sia che un prodotto del compromesso morale di entrambi i personaggi.
Presto per dirlo. Ma è sicuramente affascinante proiettarsi a immaginare una Kim figura dietro le quinte di Saul, perfino in Breaking Bad. “Facciamolo ancora”, afferma l’avvocatessa. Una frase che sa di dipendenza. Sembra quasi il bisogno fisiologico di chi ci ha preso gusto e ora non può più tornare indietro. Kim ha abbandonato definitivamente i legacci morali del passato, ha ucciso il suo Chuck interiore ed è pronta a lasciarsi andare a ciò che realmente desidera. A una giustizia fatta (anche) di raggiri.
Jimmy è trascinatore ma soprattutto trascinato in questa “liberazione” di Kim.
Una liberazione morale che si riflette nel vestiario del futuro Saul. Deposti gli abiti della truffa dei telefoni, adotta ora anche lui il blu dei “buoni”. Non agisce per denaro ma per voglia di giustizia. Per aiutare Huell. È tutta qui la differenza che lo rende, per un episodio almeno, blu. Non del tutto, però. Perché il maglioncino sempre mantiene un sottile bordino rosso. Il colore “di chi è al di là della Legge”. E, anzi, intorno al minuto 20.30 il filtro giallo-arancio che illumina la stanza impregna quell’abito rendendolo viola, la tonalità che già avevamo analizzato nella scorsa recensione. Il cromatismo di un uomo in bilico tra due opposte posizioni.
Sia Kim che Jim – anche se con intensità diversa – subiscono il riflesso della luce giallo-arancio quando sono insieme. Accade anche mentre sono stesi a letto. Quel letto era stato il luogo della separazione in ogni singolo episodio di questa quarta stagione di Better Call Saul . Quando uno dei due si trovava steso l’altro era in piedi, e viceversa. Ora invece, per la primissima volta, entrambi sostano per più di pochi secondi fianco a fianco.
Uniti, finalmente, da un compromesso morale condiviso.
La separazione alla fine arriva. Inevitabile. Kim si alza e Jim è di nuovo lì, solo. È l’esito che, nonostante tutto, non possiamo non ritenere inevitabile. Perfino ora che i due innamorati sono così uniti. Con la potenza delle immagini Gilligan accosta Kim e Jim all’acquario col pesce. Quell’acquario ha il blu marino di Kim e il pesce il colore giallo-arancio di Jim.
Come a dire che c’è compenetrazione, unione e sintesi nel loro incontro. Non avrebbe senso l’acquario senza pesce come non potrebbe vivere il pesce senza acquario. Jim non è più il pesce boccheggiante delle prime puntate. È sereno. Sicuro della linea morale che ha deciso di intraprendere. Tanto più ora che ha trovato un sicuro acquario in cui vivere. È un pesce “rosso” solo nel nome, giallo-arancio nei fatti, vittima e promotore del blu di Kim in cui non annega ma anzi inverdisce.
Sempre più rosso è invece Nacho che pare aver abbandonato il vecchio sé, vittima e strumento di poteri che l’hanno soggiogato.
Con l’ennesima magnifica simmetria, Better Call Saul ci chiede di mettere mano alla memoria. Nella 3×06 Krazy-8 consegna una somma di denaro troppo esigua e Hector obbliga Nacho a pestarlo come punizione. In quel momento il nostro Ignacio Varga decide di non voler più essere strumento al servizio dei Salamanca e medita una via di fuga.
Ora, con ironia raffinatissima, Nacho occupa il posto di Hector cedendo la precedente posizione proprio a Krazy-8. Siamo nello stesso locale. E stavolta è Krazy-8 a voler lasciare impunito uno spacciatore. Nacho invece lo colpisce duramente per la somma insufficiente.
Tutto è ribaltato. Nacho pensava di poter essere libero sbarazzandosi di Hector e invece è diventato vittima di Gus. Mal tollerava la durezza di Hector e ora è lui stesso a farsene promotore. Anche per lui il compromesso morale ha avuto la meglio. Non per un senso di giustizia ma per denaro. Lo notiamo in maniera evidente nella lussuosa dimora in cui abita (e nella pacchiana collana d’oro). Il suo colore ora, il colore della canotta che indossa, è inevitabilmente il rosso degli “altri, i truffatori e delinquenti”. Lo stesso rosso della fiche che ha in mano a inizio episodio.
Guarda con nostalgia i passaporti falsi che già aveva preparato per sé e per il padre.
Passaporti che ora giacciono inutilizzati. Kim tocca il tappo del liquore e rimane vittima dei suoi desideri più reconditi. Nacho resiste, prigioniero dei ricatti di Fring. Ingolosito da quei guadagni che già una prima volta l’avevano allontanato dal padre. E lo avevano reso un criminale.
Better Call Saul anche nella comicità di un episodio non perde l’umorismo tragico che lo contraddistingue. Mette in scena le fragilità e le apparenti incoerenze dell’animo umano. E ci restituisce figure vive. Reali. Dai mille volti e dalle violente incertezze. Sfaccettate, eppure – anzi proprio per questo – incredibilmente umane.
Curiosità sparse: a fine episodio compare Lalo, citato nella 2×08 di Breaking Bad da Saul, convinto che voglia ucciderlo. In quel caso l’avvocato dà la colpa a Ignacio, cioè Nacho. Facile immaginare che sorgeranno violenti contrasti tra i due. A proposito di Nacho, la canotta rossa che indossa è anche un rimando al personaggio di Vaas in Far Cry 3 interpretato proprio dal Varga di Better Call Saul (Micheal Mando).