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Better Call Saul – 4×09: alla disperata ricerca di un’uscita di emergenza

Better Call Saul
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Wiedersehen. Arrivederci. In tedesco, come in italiano, il termine esprime un saluto al cui interno è già insito il ritorno, il rivedersi. Il titolo di questo nono episodio è il simbolo di qualcosa. L’allusione a un’intima esigenza che coinvolge tutti i personaggi. Per comprenderla è necessario, come sempre in Better Call Saul, soffermarsi sui dettagli.

Ce n’è uno, in particolare, ricorrente. Una scritta che incombe ossessivamente sulla scena. È presente fin dalla prima stagione e si fa via via sempre più pressante fino a imporsi con forza all’occhio dell’osservatore. L’avevamo notata nei primi incontri di Kim e Jim, nelle aule di tribunale, ma soprattutto in un momento cruciale della terza stagione. Alla fine del quinto episodio Chuck, durante il processo, viene messo faccia a faccia con la natura psicologica della sua malattia. La telecamera indugia sul suo volto stravolto mentre un ronzio elettrico di sottofondo si accompagna a una scritta in primo piano. Exit.

L’insegna dell’uscita torna compulsivamente nelle scene di questo episodio.

La troviamo a inizio puntata, quando Kim si reca al municipio. All’interno della tavola calda in cui l’avvocatessa sosta insieme a Jim. Nella casa di cura di Hector. Nel corridoio del tribunale, e perfino riflessa sul tavolo della commissione di avvocati che valuta il reintegro di Jimmy. Exit. Ma che significato ha?

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Tutto l’episodio gioca volutamente col tema della fuga. Werner ne è l’interprete più esplicito ma non il solo. Ogni singolo protagonista che calca la scena cerca disperatamente una via di fuga. Kim scappa da se stessa. Dalla morale così volitivamente perseguita in passato. Viene meno alla rigida e inoppugnabile onestà della Legge. Lo fa tanto più e in maniera ancor più grave ora che inganna per tornaconto. Per far ottenere cubature maggiori alla filiale della Mesa Verde.

Cade, quindi, la giustificazione morale, quell’idea di “usare il nostro potere per fare il bene” che Kim espone poco convintamente. “In cosa avremmo usato quel potere a fin di bene?”, sottolinea candidamente Jim. L’avvocatessa non può più aggrapparsi a un principio ideologico. Deve riconoscere a se stessa che agisce perché prova piacere a farlo. “Quando ti annoi un pochino della tua vita scendi dal tuo piedistallo e ti intrattieni con la feccia”. Non è solo questo, però. È il suo modo per connettersi a Jimmy. Scendere al suo livello significa stabilire un rapporto autentico con l’amato.

Solo nei raggiri, nelle trovate a effetto Kim e Jim sono l’una a fianco dell’altro.

Solo vestiti i panni di Giselle e Viktor i due superano il divario che li aveva tenuti separati fino al sesto episodio di questa stagione. Il prezzo da pagare è l’integrità. Per Chuck l’uscita d’emergenza dalla sua condizione era stata una e una sola. La morte. La fuga dal mondo aveva coronato la sua esistenza fragile e arida. Kim non vuole compiere lo stesso errore. Non vuole rinunciare all’amore per la Legge. È disposta a perdere se stessa, per amore. Riuscirà a farlo davvero?

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In fuga, in cerca di un’uscita di emergenza, è anche Jimmy. La sua vita è sospesa in un limbo dal quale sembra non essere in grado di sottrarsi. Solo la riammissione nell’albo potrebbe permettergli di tornare a essere se stesso e fare quello che più ama. La scritta Exit si riflette in un vivo color rosso sul tavolo della commissione di avvocati quando Jimmy si crogiola nella speranza di tornare a svolgere la professione. Ma quella stessa insegna si spegne drammaticamente nel corridoio, una volta che il futuro Saul viene informato che la sua richiesta è stata respinta. Non c’è uscita, non c’è speranza.

È la natura stessa di Jimmy ad averlo tradito. Ha costruito un discorso impeccabile davanti agli avvocati ma non è bastato. “Signor McGill, quale valore ha per Lei la Legge?”. La Legge. “La Legge è sacra”, avrebbe risposto Chuck. Ma Jimmy non è Chuck. Non può fingere di esserlo o volerlo essere. Non può spingersi così oltre. Con tragica ironia Chuck riesce anche dalla tomba a negargli quello che più desidera. La mancata menzione del fratello svela alla commissione l’ipocrita finzione del suo accorato discorso.

Anche Nacho per ben due volte è incorniciato dal segnale luminoso.

Anche se per lui la fuga è sempre più difficoltosa. Galleggia in balia di padroni opposti, incapace e ormai poco desideroso di intraprendere un’altra strada. La fuga, quella scappatoia ben esemplificata nello scorso episodio dalle false identità che tiene in cassaforte, è ancora possibile. La luce è ancora accesa. Ma nello stesso tempo appare quasi irraggiungibile.

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Una fuga più concreta è quella di Werner. Altro, ennesimo “peccatore” di Better Call Saul. Buono rinnegato al male. Molto di lui rispecchia un altro noto eroe perduto, Walter White. Lo abbiamo sottolineato in una illuminante suggestione (la trovate qui) del nostro Antonio Casu che ha saputo evidenziarne tutti gli incredibili parallelismi. Dalla scritta in giallo, al nome proprio (lo stesso del fisico Heisenberg), fino ai dettagli della sigaretta e del malore. A questo articolo rimando per gli approfondimenti.

Tutti sono oppressi, ingabbiati. Tutti vivono il dramma di un incubo dal quale non riescono a uscire. Inseguono una via di fuga che forse non troveranno mai, se non nella morte. Tutti sono scesi a patti con se stessi, hanno volontariamente percorso la strada della perdizione. E ora c’è solo il buio di chi non trova più la via. Di chi ha perso la propria identità. E insegue disperatamente, a tentoni, un’uscita d’emergenza. Una scappatoia al suo malessere.

Non solo fuga, però. Questo episodio di Better Call Saul è anche martellato di riflessi.

Il riverbero di Kim nella parete del Municipio, quello di Jimmy a fine episodio. Il riflesso di entrambi nello specchio e nella vetrata della tavola calda. Gilligan dirige questo episodio con incredibile maestria. Lascia metà schermo a questi incerti e cupi riflessi. Non è un caso. Esprimono un doppio-negativo, un dualismo nella personalità dei personaggi. Due dimensioni parallele, affiancate ma opposte. Come il blu e il rosso che tornano, nuovamente, con prepotenza anche in questa 4×09.

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I colori sono accostati, appaiono appaiati nei neon esterni della tavola calda, nelle pareti in sequenza all’interno del municipio, nella maglietta (blu) e nella catenina degli occhiali (rossa) di Jimmy durante la truffa. Come più volte ripetuto nelle scorse recensioni (a cui rimando per approfondimenti), “Gli individui che si ritengono dal ‘lato giusto della legge’ hanno colori militari quali il blu marino e il verde. Gli altri, i truffatori e delinquenti, il rosso, l’arancione e il colore del deserto del New Mexico. Saul cavalca le due sponde” (Jennifer Bryan, costumista di Better Call Saul). E ora anche Kim cavalca i due estremi.

Il dualismo investe tutta la serie. La Legge integerrima (Chuck, Howard) si contrappone all’illegalità più estrema (Hector, Gus). Il compromesso del bene (Kim, Jimmy) a quello del male (Mike, Nacho). Ognuno ha due volti. Ognuno ha due anime e vive due dimensioni. Tutti sono in balia dei propri sbagli e delle scelte compiute. Tutti alla disperata, cieca ricerca di un’uscita di emergenza per poter salutare il buio che li circonda. Per poter dire, una volta per tutte, wiedersehen.

Un saluto agli amici di Better Call Saul – Italia

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