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Better Call Saul 6×07 – Bruciare in fretta per non spegnersi lentamente

Better Call Saul
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Una fiammella ondeggia, si ferma, torna a ondeggiare. Una piccola luce, un insignificante lumicino scosso da venti incontrollabili. Nel deserto di Better Call Saul, è raro vedere fiori blu e fiammelle luminose ma non impossibile. A volte, qualcosa, qualcuno, decide di sottrarsi al deserto, decide di bruciare nella speranza di infiammare e distruggerlo, quel deserto.

Una vana speranza, una pia illusione, perché il deserto nella sua aridità non può ardere e allora quella fragile fiammella rischia di spegnersi prima di quanto si credesse. Basta un soffio, la semplicità di una folata d’aria per recidere per sempre una vita. Per distruggere in un istante una morale che provava ad emergere.

Howard ci aveva provato davvero.

Aveva provato a ricostruire il suo matrimonio, a preservare la sua reputazione, a contrastare la folle, orgiastica vitalità di Jimmy e Kim. Ma era solo una fiammella. Per anni è stato visto come il pugile Max Schmeling a cui lo paragona Jimmy. La colpa di Schmeling era quella di essere tedesco, di esserlo durante il regime nazista. Quando il 22 giugno del 1937 venne sonoramente sconfitto in un epico incontro, a Chicago, la folla era in tripudio. Schmeling ricorda il viaggio in ospedale, tumefatto per i colpi ricevuti, stordito ma ancora in grado di percepire le scene di giubilo per le strade. Il nazista era stato sconfitto.

Howard Hamlin

Poco importa che il pugile tedesco avesse rifiutato ricche onorificenze da Hitler e si fosse detto sempre contrario alla teoria della razza ariana. Per tutti era il nazista. Howard, per tutti, è il nazista. Non importa chi è davvero, non importano la sua depressione sempre celata, il matrimonio in pezzi e i debiti contratti. Howard è sempre apparso come il “figlio di papà”, il damerino imbellettato, incapace di sporcarsi le scarpe tirate a lucido.

Dietro quella cura minuziosa dei dettagli, quell’ordine maniacale nel preparare la sala per l’incontro di mediazione, c’è tutta la fragilità di una fiammella scossa da troppi venti. C’è la stessa cura che aveva messo nel preparare la colazione a una moglie disinteressata durante lo scorso episodio. Nel curare i dettagli materiali (lucidare le scarpe, ordinare le suppellettili) Howard esteriorizza il suo bisogno di un ordine emotivo, familiare e di affetti. È una fiammella che continua a dirsi “I will land on my feet“, me la caverò, cadrò in piedi. Supererò anche questa. Ma le nubi si addensano e le forze del deserto sono troppo superiori per preoccuparsi di una piccola fiammella. Basta un soffio e il deserto si tinge di sangue come ci accorgiamo nel rapido frame finale, quando gli schizzi raggiungono quel quadro in casa di Jimmy, quel quadro che mostra le dune placide e insensibili del New Mexico.

BCS

Howard non è un santo, è smaliziato e astuto quando si trova nella terra della legalità.

Mostra di conoscere alla perfezione le preferenze della sua cliente (“Una tazza di camomilla con del miele: ti piace così, giusto?“) ma solo per garantirsi i suoi favori. Allo stesso tempo infatti, come già aveva fatto Chuck, sbaglia, senza preoccuparsene, il nome di un praticante dello studio legale, un signor nessuno, chiamandolo Gary invece di Cary. Porta all’incontro di mediazione la tenera ma vispa Irene su una sedia a rotelle di cui la donna non ha minimamente bisogno solo per indirizzare emotivamente il mediatore suscitando compassione. È un avvocato rampante e rapace, un nazista dell’avvocatura che infiamma il tribunale e porta sempre a casa il risultato.

Howard gira la lattina, evita alla perfezione che il mondo gli esploda in faccia. Nel mondo della Legge, nel suo mondo, lui è una fiamma viva e indomabile. Gira la lattina e si appropria di un gesto che era già di Chuck, quel gesto che probabilmente quest’ultimo compiva in maniera istintiva temprato dai tanti scherzi che il fratello doveva avergli imposto. Si era ormai abituato a prevedere l’imprevedibile, a prevedere Slippin’ Jimmy.

Better Call Saul

Howard gira la lattina, allenta la pressione e sembra cadere ancora in piedi. Sembra anzi aver maturato una consapevolezza in più rispetto a Chuck. La consapevolezza che “Forse ci sono cose più importanti” che aspirare a essere il futuro Chuck McGill, come afferma guardando il quadro del compianto amico e fondatore della HHM. Allora alimenta la sua fiamma interiore, la fiamma della moralità, dei sentimenti, del vero sé.

Attorno a lui, però, trova solo deserto.

Lo trova nella sua famiglia, assente e indifferente, e lo trova soprattutto in Jimmy e Kim. Se Howard non si sporca mai i pregiati mocassini, Jimmy non ha avuto problemi a togliersi le scarpe finto-Gucci quando nella prima stagione, unico fra tanti, era riuscito a ritrovare i Kettelman nascosti col malloppo. Ora anche Kim sfila le scarpe, lasciandole lì sul prato, “shoes in the shot“, nell’inquadratura, ormai relitto della Kim che fu. Non è più l’avvocatessa impeccabile di un tempo, nel suo abito blu lustrato e negli eleganti tacchi. Kim abbandona il suo passato per correre verso l’inganno.

Kim Wexler

Howard finalmente lo capisce, si infiamma nell’invettiva contro Kim, coglie nel vivo, con una rivelazione scottante: “Pensavo che l’aveste fatto per i soldi ma adesso è tutto chiaro. Al diavolo i soldi. L’avete fatto per divertimento. Ci godete. Siete come Leopold e Loeb, due sociopatici“. È proprio così: la fiamma dell’inganno eccita entrambi. Lo sa bene Kim, che pur di tenere a sé Jimmy ha sterzato dalla rotta della giustizia. Quella fiamma si alimenta vicendevolmente e non è un caso che un raro momento di unione fisica tra Kim e Jim si manifesti a margine del riuscito raggiro. Già nella scorsa stagione di Better Call Saul la Wexler aveva attirato di nuovo a sé il marito iniziando a progettare, su di giri e incontenibile, possibili raggiri ai danni di Howard con quel “Oppure… oppure…” tanto bambinesco quanto malizioso.

Come per i due insensibili borghesi Leopold e Loeb, autori dell’efferato omicidio di un ragazzo “per noia“, anche Kim e Jim si infiammano in comportamenti sempre più sociopatici, spingendosi nella terra dell’inganno per il semplice gusto di farlo, per rimarcare che chi si trincera nella Legge con loro avrà sempre la peggio. La vera colpa di Howard per loro è questa: l’apparente ipocrisia dell’ingannare solo nei limiti dell’aula di tribunale non avendo il coraggio di spingersi oltre, di spingersi nel deserto di chi abbandona ogni reticenza morale.

Loro lo hanno fatto, da scaraggi del deserto hanno abbracciato quel deserto.

Hanno trovato, in quel deserto, il terreno fertile per alimentare il loro amore, l’unico reale terreno in cui riescono a ravvivarne la fiamma. Lalo vede uno scarafaggio (minuto 40 circa) e pensa subito a loro due, pensa a Jimmy e Kim, i suoi avvocati, i piccoli, insignificanti ma resistenti abitanti del deserto che sopravvivono sapendo quando è necessario nascondersi e abbassare la testa. Howard non sa farlo e non vuole farlo: per lui, come già era stato per Nacho, c’è tempo di un ultimo acuto, di un’arringa finale che brucia e consuma l’aria prima che la sua fiammella sia spenta per sempre con la semplicità di un soffio.

Better Call Saul

Per i criminali che infestano l’arido mondo di Better Call Saul, infatti, la levatura morale non conta nulla. La conversione, la consapevolezza finale di Howard e Nacho sembrano anzi sancire la loro incompatibilità con quel luogo e quindi la loro drammatica fine. La fiamma traballa davanti alla forza della violenza e si spegne lasciando solo tracce di un vivo sangue che ancora una volta macchia la sabbia consumata dal sole. Si spegne Howard, si spegne l’ultimo personaggio che aveva osato avvicinarsi al deserto preservando la sua integrità. Si estingue il suo ardore scosso da un ultimo, semplicissimo soffio.

Lalo non deve neanche impegnarsi in quel soffio, per lui è la routine, un gesto banale, scontato, insignificante. Eduardo Salamanca diventa così la proiezione estrema di Kim e Jimmy, il vento che tutto scuote al suo passaggio. Per lui non c’è mai stata morale laddove per i coniugi Wexler c’è ancora (e ci sarà sempre) quello scrupolo per la vita umana che impedisce loro di abbracciare il crimine vero e proprio, relegati a scarafaggi che si crogiolano nei loro inganni minori resi “accettabili” perché sorretti da costanti, seppur traballanti, autogiustificazioni.

È questa l’umanità spesso disumana che ci restituisce Better Call Saul.

Una realtà che apparentemente contrasta con l’affermazione esistenzialista di Alexander Pope che Kim e Jimmy ascoltano in tv: “Lo studio appropriato all’uomo è l’umanità“. Ma come per Pope, per Pascal e per l’oracolo delfico anche per i magnifici autori di Better Call Saul conoscere l’uomo, conoscere se stessi, significa in primo luogo conoscere i propri limiti. Rendersi conto delle infinite sfumature di un’umanità che può raggiungere le vette più elevate come gli abissi più profondi, gli odi più radicati e la solidarietà più disinteressata. Ferocia e mansuetudine, lupo e pecora. Questo è l’uomo, spesso tutte queste cose assieme, infinita contraddizione, fiammella fugace che un vento leggero può spegnere in un istante. Non dio, neppure diavolo, ma fuoco vivo che a volte preferisce bruciare in fretta piuttosto che spegnersi lentamente.

Dedicato ai miei studenti, perché sia solo un arrivederci, non un addio. Bruciate sempre.

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