Sono passati 9 anni. A tratti sembra passata una vita, a tratti sembra passato molto meno di 9 anni. Perchè la linea continua creata da Vince Gilligan con Breaking Bad e Better Call Saul ci ha permesso di vivere in questo meraviglioso universo immaginario che sembra davvero vita, e nella vita ti capita che 9 anni passino in un batter d’occhio senza che tu te ne accorga. Semplicemente un giorno ti svegli e ti rendi conto che sono passati. E che ne sono successe di cose.
Sono passati 9 anni da quando abbiamo salutato Walter White per l’ultima volta, da quando la sua storia si è chiusa, salvo poi ri-comparire saltellando qua e là nei flashback tra El Camino e, recentemente, Better Call Saul. Nove anni fa, quando abbiamo detto addio ad Heisenberg con tutto il carico emotivo e sentimentale che questo comportava, non ci saremmo mai immaginati che 9 anni dopo avremmo ri-provato le stesse sensazioni per un altro personaggio dell’universo Breaking Bad. Anzi, peggio. Perchè parliamoci chiaro: Walt è Walt, è l’origine del male, l’origine del nostro amore per questo microcosmo sensazionale, l’origine di tutto. Ma Saul Goodman, beh, è stato con noi per 12 anni. E ammettiamolo: ormai vogliamo più bene a lui che a chiunque altro. Non potrebbe essere altrimenti.
Non potrebbe perchè l’abbiamo conosciuto davvero a fondo, Saul Goodman. Abbiamo attraversato praticamente la sua intera vita in questi 12 anni in cui ci ha accompagnati, ha fatto parte delle nostre esistenze, si è infilato sostanzialmente nella nostra quotidianità. Ci ha fatto ridere, ci ha fatto commuovere, ci ha fatto incazzare. Soprattutto, ci ha fatto riflettere. Su quanto le maschere quasi sempre siano solo quello, maschere. E che anche un avvocato apparentemente cinico, irriverente, meschino e senza scrupoli, alla fine potrebbe essere soltanto un buono che non ce l’ha fatta a rimanere buono.
In questi anni abbiamo avuto la possibilità di smantellare avanti e indietro la Matrioska di personaggi contenuti nell’involucro che abbiamo conosciuto come Saul Goodman, e scoprire che dopo Saul c’è stato Gene, ma soprattutto che prima di Saul c’era Jimmy. E Jimmy era tutt’altra cosa rispetto all’uomo distrutto delle ultime fasi, quelle in bianco e nero, e anche rispetto a quello della sua teorica era d’oro, quel Saul Goodman pieno di colori sgargianti, eccessivi al punto tale da nascondere ovviamente altro. Jimmy era buono, volenteroso, ambizioso, appassionato. Credeva in se’ stesso e credeva nel prossimo. Amava, Jimmy. Amava Kim, amava il suo lavoro, amava i suoi clienti e amava anche suo fratello Chuck, nonostante quest’ultimo non amasse lui.
Amava anche le scorciatoie, però. Quelle purtroppo le ha sempre amate. Sin da quando era piccolo e rubava soldi dalla cassa del negozio del padre, sin da quando era ‘Slippin Jimmy, un soprannome che era manifesto programmatico del suo modo di fare, delle sue tendenze malsane. Un marchio che lo ha perseguitato e del quale non è mai riuscito del tutto a liberarsi. Fino a coinvolgere e inghiottire in questo modo di esistere anche l’amata Kim Wexler. Viktor e Giselle erano prima solo un gioco innocuo, poi un gioco più pericoloso, infine sono diventati la rovina delle loro vite. Soprattutto, della meravigliosa vita insieme che gli si prospettava.
Eppure ci aveva provato Jimmy, a liberarsene. Faticosamente aveva provato a ridurre, ridimensionare, finanche annullare quella parte di se’ che però voleva venire sempre prepotentemente fuori, che lo metteva nei guai ma che al contempo lo tirava fuori dai guai trasformandoli in vantaggi, montagna russa perenne, croce e delizia della sua personalità. Bastava solo canalizzare quell’infinità di energie in modo diverso e tutto avrebbe preso un’altra piega, assunto un’altra luce rispetto a quella fioca che sembrava dominare sempre la sua vita colorata ma allo stesso tempo così sbiadita e intimamente vuota dell’era Saul Goodman.
E oggi che siamo al passo d’addio, non possiamo che ripensare a tutto questo. E a quanto faccia male salutare un personaggio che ci ha dato così tanto e in maniera così delicata, insegnandoci a leggere lentamente tra le righe. Il suo addio sarà pesantissimo, e sarà molto diverso da quello di Walter White.
Walter White è passato nelle nostre vite come un uragano, Saul Goodman si è insinuato con calma ed è diventato parte di noi. Stavolta fa più male perchè è più vero. Se la storia di Walter White era una metafora reale dell’esistenza e di come possa prendere questa o quella via, dei rimpianti che si trasformano in possibilità e poi in errori irreparabili, ma rimaneva pur sempre una metafora, la storia di Saul Goodman è realtà a tutto tondo. Saul ci ha raccontato come un essere umano possa degenerare piano piano se non decide di dare la giusta direzione agli eventi e si fa sopraffare da essi in maniera impercettibile ma costante, scegliendo la via apparentemente più comoda per non soffrire. Quella di Walter White è una storia di mancanza di coraggio e di carattere tirato fuori solo alle strette, e scegliendo l’unica via rimasta per farlo: la via sbagliata. Quella di Saul invece è una progressione degenerativa, dove il male è diventato preponderante solo col tempo e non a causa di un unico evento scatenante. Una storia più quotidiana e reale, più somigliante a una realtà dove il riempirsi di colori negli abiti, nelle dimore e nei luoghi di lavoro è nient’altro che un’iper-compensazione di un grigiore interiore sempre più attanagliante e asfissiante.
Walter White è stato un personaggio straordinario, ma rispetto a Saul era anche un personaggio più fumettistico. E il suo stesso addio, poetico e meraviglioso, è stato un addio più da ‘personaggio’ che da persona.
Quello di Saul Goodman, un uomo più normale di cui abbiamo seguito un arco narrativo prettamente legato all’evoluzione e alla successiva degenerazione umana, sarà un addio più triste, sicuramente meno scoppiettante e leggendario. Non aspettiamoci un omologo dell’ultimo saluto di Walt, con lui che accarezza nostalgico le sue macchine con cui creava droga, con le sirene della polizia in sottofondo, la musica perfetta e lui che si accascia al suolo.
Quello di Saul sarà un addio diverso perchè è stato il suo approfondimento a essere diverso, rispetto a quello del più grande produttore di metanfetamina d’America. Non sappiamo ancora dire se Better Call Saul sia stata una serie migliore di Breaking Bad, su questo bisogna aspettare almeno un anno, aspettare di aver digerito questo capolavoro per poi valutarlo seriamente, con la mente fredda e il cuore un po’ meno caldo di adesso. A suo tempo facemmo un’analisi tecnica di confronto tra i due capolavori di Gilligan, analisi che andrà ri-attualizzata anche alla luce dell’ultima stagione. Quel che possiamo dire per certo è che Saul Goodman è un personaggio analizzato più in profondità rispetto a Walter White. E su questo, su come gli autori lo hanno analizzato e sviscerato in ogni sua sfaccettatura nel tempo, il personaggio di Saul Goodman ha ben pochi rivali nell’intero panorama seriale. E non solo per una questione di anni spesi a parlare di lui (12 in totale, 7 dei quali con la profondità che si richiede a una serie nel parlare del suo protagonista e nel farcelo conoscere).
Walter White aveva freneticamente creato e distrutto, distrutto e creato, esaltandoci e spaventandoci, spazzando semplicemente via tutto. Anche le nostre anime innamorate di quel che avevamo visto, di ogni suo simbolismo e significato intrinseco. Ci aveva lasciati lì disperati ma in un certo senso anche felici: quello che doveva fare l’aveva fatto: l’aveva fatto per la sua famiglia, l’aveva fatto per lui, ma in ogni caso seppur in modi ben poco ortodossi si era riscattato, facendo fuori i cattivi rimasti e lasciando in vita chi, come Jesse Pinkman, aveva ancora una speranza di redenzione.
Walt è morto, Saul difficilmente morirà. La stessa costruzione e lenta evoluzione del personaggio è fatta per lasciarci costantemente lì, in quell’eterna zona di grigio, anche dopo. Una morte risolutrice sarebbe troppo semplice, forse finanche sminuente per la profondità del suo personaggio e per l’ampiezza comunicativa che lo ha sempre contraddistinto. Ci lascerà ancora lì a pensare a cosa starà facendo, come starà vivendo, e una parte di noi sarà sempre latentemente in pena per lui. E continuerà a fare un male cane.