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La grammatica dell’episodio 6×05 di Better Call Saul

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L’episodio 6×05 di Better Call Saul potremmo definirlo interlocutorio, di preparazione al finale di metà stagione, ma non c’è nulla di negativo in tutto questo. Ogni serie tv che si rispetti annovera questo tipo di episodi che fanno da anticamera a un evento spartiacque, che cambierà completamente le sorti dello show. Episodi interlocutori sono ad esempio il controverso episodio della Mosca in Breaking Bad, oppure L’Ultima Notte prima della Lunga Notte, forse la più bella puntata dell’ultima stagione di Game of Thrones.

La classica quiete prima della tempesta, in cui tutti i personaggi si muovono su quel pericolosissimo e sottile equilibrio prima che gli eventi precipitino del tutto. Proprio per questo ‘Black and Blu‘ è un episodio che, da un lato, per quanto ci siamo detti finora, ci permette di fare un bel respiro prima del midseason finale; dall’altro il respiro ce lo toglie, poiché i nodi stanno per arrivare al pettine e ogni dialogo, ogni azione dei personaggi, anche la più banale è permeata da una tensione palpabile. Siamo pur sempre in equilibrio su quel filo, sappiamo già che quel filo si spezzerà e pensiamo possa accadere da un momento all’altro.

Al di là degli sviluppi di trama, un’altra caratteristica degli episodi interlocutori è che sono contraddistinti da un clima di profonda introspezione. Sono attimi profondamente conscious, che ci danno il tempo di capire perché, col senno di poi, quegli eventi a cui assisteremo precipiteranno. Dato che parliamo di Better Call Saul, e di un universo narrativo, quello creato da Vince Gilligan e Peter Gould, tra i più importanti nella storia del piccolo schermo, vien da sé che questi flussi di coscienza dei personaggi siano accompagnati da una regia, un montaggio, una fotografia che possano metterne in risalto gli aspetti drammatici. Allo stesso modo di come una figura retorica dà spessore a una poesia, così la macchina da presa veicola il messaggio dell’episodio, partendo da un tema portante e diventando, così, la grammatica dell’episodio stesso.

Il tema della 6×05 è lo specchio, inteso come qualsiasi superficie riflettente in cui ogni personaggio principale, prima o poi, verrà inquadrato. C’è un rimando carrolliano in tutto questo: come Alice si chiede cosa ci potrà mai essere dall’altra parte dello specchio, così i personaggi di Better Call Saul provano a ridefinire se stessi e gli altri in quel riflesso che sublima, inevitabilmente, la loro essenza. E che si declina in maniera diversa a seconda del personaggio.

Saul gonna be Saul

Partiamo da Jimmy McGill, pardon…Saul Goodman. La sua epifania, se così possiamo chiamarla, c’è già stata. È nel deserto del New Mexico che ha scelto definitivamente che tipo di avvocato diventare e quali clienti difendere. In quello specchio in cui prova a truccarsi per nascondere le botte di Howard, Saul ha visto il futuro. Ha visto il suo futuro e se lo è preso con forza, bando a qualsiasi tipo di apparenza.

Lo specchio, per Saul, è una macchina del tempo. È stata ancora una volta Kim a raffigurare la sua coscienza, invitandolo a non nascondersi dietro una maschera e di trasformare quelle ferite in un punto di forza, in un claim. “Sono Saul Goodman e combatto per voi“. Dove l’avevamo già sentito?.,

Fring attraverso lo specchio

Gustavo Fring e lo specchio sono una costante. Davanti allo specchio, gioca con la duplice valenza semantica del verbo riflettere: riflesso e riflessione. Riflette, nel momento in cui non può fare a meno di perpetrare i suoi rituali ossessivi, come sistemarsi la cravatta o nascondere la pistola nella cavigliera. Riflette nel momento in cui sta per indursi a vomitare il veleno dello Zefiro Anejo che ha appena rifilato a Don Eladio. Riflette nel momento in cui copre il proprio abito per non macchiarsi del sangue di Victor (che gli stesso sgozzerà di lì a poco). Riflette ogni qual volta sta per agire e, nella 6×05, è proprio allo specchio che ordina a Mike dove portarlo. Quel laboratorio, un altro non luogo, che sarà causa della sua ascesa e del suo declino.

Kim: yin e yang

In 2001: Odissea nello Spazio, Stanley Kubrick adotta una tecnica registica rivoluzionaria (non soltanto una, a dire il vero) che verrà poi ripresa in seguito in molte altre pellicole o serie, come I Soprano: il ribaltamento del POV, che segna il passaggio dalla realtà al sogno. Il personaggio di Bowman avverte un richiamo off screen e il suo punto di vista si sovrappone a quello dello spettatore, mostrandoci un altro Bowman diverso dal precedente. Così via fino a che non si imbatte nel famoso monolite.

In Better Call Saul, l’anima di Kim Wexler è scissa in due parti. In questo momento è il personaggio più tormentato di tutta la serie, combattuta tra il bene (le cause pro bono) e il male (l’amore, di conseguenza la complicità con Saul). In questo episodio è quasi sempre sotto osservazione da un punto di vista esterno. Il banco della tavola calda, o Viola che la vede sfumata tra le vetrine dello stesso locale.

Siamo al culmine del suo conflitto interiore. È in quella tavola calda per estorcere con l’inganno il nome di un giudice a Viola, affinché lei e Saul possano proseguire con il piano contro Howard, ma al tempo stesso è proprio Viola ad assurgerla ad esempio di rettitudine morale. Il ribaltamento del POV – e quindi la sublimazione dell’altra sé – avviene in una tazzina da caffè, che la mostra capovolta al centro di quello che sembra quasi il simbolo del Tao. Bianco e nero, yin e yang. Anche Kim è alla ricerca del suo monolite: la scelta definitiva di una strada in quel bivio morale è ormai un tarlo sempre più pressante.

Lalo: simmetria

In matematica, la simmetria è quell’operazione che muove, o trasforma un oggetto lasciandone inalterato l’aspetto. Se per Kim abbiamo parlato di anima frammentata, per Lalo è più corretto parlare di identità frammentata. Una volta è, appunto, Lalo, un’altra è Jorge De Guzman. Un’altra ancora è Ben, affascinante uomo d’affari statunitense. Ciò nonostante, le diverse identità assunte non ne modificano il carattere, non cambia il modus agendi. Lalo si trasforma anagraficamente, cambia leggermente look, ma resta sempre lo stesso geniale, freddo, eclettico assassino della famiglia Salamanca. Non a caso questa inquadratura simmetrica, il mio “specchio” preferito di questo episodio, finisce per ricongiungere l’uomo e il suo riflesso nell’unica, devastante variabile impazzita di Better Call Saul.

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