Il seguente articolo contiene spoiler sulle prime due puntate della sesta stagione di Better Call Saul, ma non delle tre puntate successive
Dopo quello che è sembrato un tempo interminabile, l’ultimo prodotto targato Vince Gilligan ha finalmente fatto il suo ritorno su Netflix con i primi due episodi della sesta stagione. Abbiamo passato veramente tanto ad aspettare questo “inizio della fine” di Better Call Saul ed effettivamente siamo rimasti come sempre strabiliati dai primi due episodi. La serie che un tempo nacque come un semplice spinoff, negli anni si è consolidata come un prodotto da brividi anche a sé stante e la qualità è l’ultimo dei problemi della serie.
Perché effettivamente un problema in questi due episodi lo abbiamo trovato – o meglio – provato. Problema non sarebbe neanche il termine giusto se ci fermiamo a ragionare, perché non è un difetto né del prodotto, né della distribuzione. È che dal primo momento in cui sono iniziati i nuovi episodi abbiamo sentito un enorme peso nel petto, come un’ombra tetra che ci ha oscurato l’anima. Non siamo riusciti a comprendere sin da subito l’entità di questo malessere, di questa enorme stanchezza che rendeva ogni secondo delle puntate bellissimo e allo stesso tempo incredibilmente distruttivo.
Poi, l’illuminazione
No, non quella che Gilligan continua a tagliare dal budget regalandoci episodi notturni, cupi e con filtri in pieno stile Messico – ovviamente scherziamo – ma a mente fredda abbiamo capito cosa fosse quel gigantesco macigno che sentivamo sulle nostre spalle: è la fine di Vince Gilligan. Dopo più di quattordici anni, quest’ultima stagione di Better Call Saul concluderà l’incredibile universo narrativo intorno ad Albuquerque. Da Breaking Bad, passando per El Camino, fino ai giorni nostri; quello che abbiamo vissuto in quest’ultimo decennio è indescrivibile. La potenza dei personaggi, delle scene, delle inquadrature e delle storie raccontate intorno a Walter, Jesse, Hank e Saul stanno per veder terminare la loro lunghissima e dettagliatissima narrazione.
Una conclusione non solo per la serie di Better Call Saul, principalmente prequel di tutti gli eventi della serie madre, ma anche una conclusione a posteriori in quanto scopriremo quale sarà il destino di Saul Goodman nel futuro. Tutta questa responsabilità del prodotto iniziamo a sentirla anche noi spettatori: dovremo essere in grado di gustarci la fine di questa storia, vogliamo viverla nelle più piccole sfaccettature e con le più impercettibili sensazioni e per farlo necessitiamo di una soglia dell’attenzione mai così alta.
Better Call Saul non è mai stata una serie leggera
È nata come una drama, proprio dalle ceneri ancora brillanti e ardenti di Breaking Bad, ma non si può negare che avesse un suo umorismo evidente nelle primissime stagioni. Quello che in America definirebbero Black Comedy per la cattiveria e le scorrettezze dietro alle situazioni ilari, era un sottogenere utile non tanto nella definizione, quanto piuttosto nella messa in atto. La strana comicità di Better Call Saul, incentrata su un personaggio estremo come Saul Goodman, forniva un tono più acceso a molte delle puntate della serie. Con il passare del tempo – però – questo è pian piano diminuito. Stagione dopo stagione la serie tv è maturata non solo nella qualità, ma anche nella consapevolezza della sua importanza.
Man mano che abbiamo iniziato ad avvicinarci agli eventi del tempo di Walter White, Better Call Saul ha virato in modo metodico, ma deciso, verso toni più pesanti e difficili da trattare. I personaggi della serie hanno iniziato ad annerirsi, cadendo tutti lungo questa montagna che scende fino all’inferno, travolgendosi l’un l’altro nella discesa. Quelle briciole di felicità rappresentate dal leggero miglioramento di Chuck, dal buon cuore di Kim o dal padre di Nacho sono spariti ognuno in maniera diversa e le puntate alle quali abbiamo appena assistito non usano mezzi termini per descrivere la situazione attuale.
Non vi è più un singolo momento di pausa
Non importa se tu ti stia nascondendo in una bettola per un paio di giorni, se tu stia cercando di infiltrarti in un golf club o di fare la cosa giusta in un mondo marcio, il peso del momento è incessante su tutti i protagonisti. Se anche un uomo freddo come Gus Fring comincia ad avere dubbi, se anche Saul Goodman è stupito dalle scelte della compagna, se anche i cugini Salamanca cambiano espressione di fronte a questi avvenimenti, forse non ci stiamo accorgendo di quanto l’universo di Breaking Bad stia cambiando in modo inesorabile.
Un po’ è anche per il fatto di sapere tutto, o quasi. Better Call Saul è il prequel di una serie che abbiamo imparato ad amare o quantomeno rispettare con tutti noi stessi. Sappiamo perfettamente in che situazione si trovavano i personaggi la prima volta che li abbiamo incontrati e sappiamo come gran parte di questi concluderanno il proprio ciclo vitale nello spin-off. Forse è questo senso di già visto che ci ha ingannati così tanto nel corso degli anni, facendoci credere che ovviamente saremmo rimasti incollati al televisore, ma anche se ci fossimo persi qualcosa sapevamo come sarebbero finite gran parte delle cose.
Ebbene, non è più così: questi ultimi due episodi ci hanno dimostrato quanto poco fossimo pronti a vedere le ultime gesta dei personaggi che abbiamo conosciuto ed amato o temuto per cinque o dieci stagioni prima di questa. Potremmo anche sapere come ripartiranno Saul, Gus, Mike e Hank in Breaking Bad, ma moriamo dalla voglia di sapere che fine faranno tutti gli altri. E soprattutto in che modo le loro storie ci daranno nuovi punti di vista su quegli assiomi fissi nella nostra testa.
Non è una cosa inaspettata, anzi
In un certo senso sapevamo che l’interesse per Lalo, Nacho, Kim e i personaggi originali sarebbe stato più alto del dovuto, ma Vince Gilligan ha deciso di ricordarcelo facendoci provare tutto il peso che premeva sulle sue mani mentre scriveva il finale di questa epopea. E quel “problema” nominato prima è solo il modo più banale di rappresentare la nostra impotenza davanti a tutti questi sentimenti e sensazioni messe insieme. Siamo dei semplici abitanti in un mondo più grande e potente di noi, come i cittadini di Albuquerque che – ignari di tutto – erano a pochi metri da uno dei giri di potere e soldi più impressionanti di sempre.
Noi possiamo assistervi, siamo degni di assistervi, ma non per questo siamo più preparati a quello che ci viene e verrà mostrato. Per poco meno di due ore siamo stati esposti a cotanta grandezza e ne siamo usciti tanto estasiati quanto distrutti. Ora l’esposizione sarà minima, un’episodio a settimana, per permetterci di elaborare e prepararci il più possibile a un finale che non vogliamo nemmeno provare a concepire. Perché con Better Call Saul non si chiuderà solamente quello che è probabilmente il migliori spin-off mai fatto nella storia delle serie tv. Con la sua conclusione si chiuderà un’epoca intera che ha rivoluzionato il piccolo schermo.
Se la fine degli anni ’90, tra I Soprano, The West Wing e Oz aveva gettato incredibili basi per il futuro del settore, Vince Gilligan ha raccolto ogni possibile spunto per creare un racconto che rasenta la perfezione. Una storia di vita, di potere e di sensazioni. Le stesse sensazioni che, tutte insieme, stiamo iniziando a provare a ridosso del gran finale. Forse ora più che mai stiamo per capire quanto siano stati importanti gli ultimi quattordici anni per le serie tv e per noi.