Siamo nel 1990, il muro di Berlino è appena caduto, è iniziata l’era moderna ed è tanta la voglia di lasciarsi alle spalle il passato. C’è un nuovo mondo che aspetta i bambini che sono cresciuti con le tranquille famiglie borghesi delle sitcom. Ora sono ragazzi, hanno vent’anni e sono liberi, i primi della loro età a non doversi preoccupare di una guerra atomica. Non serve più il super agente Michael Knight e la super auto K.I.T.T o l’ingegno di MacGyver (di cui hanno però fatto un pessimo reboot). Non servono più gli eroi dell’A-Team che, in fuga dalla legge, salvano i più deboli né Thomas Magnum. Tutti ex soldati, personaggi ancora troppo legati al Vietnam e alla guerra. Serviva un fenomeno come Beverly Hills 90210.
Serviva l’illusione di un mondo dorato.
Serviva una serie, come è stata Beverly Hills 90210, che mostrasse ciò che in quel momento i giovani volevano vedere: se stessi. Una serie che affrontasse i problemi di normali ragazzi del liceo. Ma non con la morale paternalistica e bonacciona con cui Mike Seaver di Genitori in blue jeans sgridava il figlio Mike quando ne combinava una. Era necessaria una profondità drammatica e un contesto adeguato in cui sviluppare temi quali insicurezza giovanile e incomprensioni familiari, ma anche spingersi là dove nessuno era mai andato: sul terreno della droga, dell’AIDS, del sesso, dell’alcol.
Beverly Hills 90210 è pionieristica in questo senso: mai prima di quel momento qualcuno aveva pensato di costruire una trama così strettamente legata ad argomenti considerati tabù. Nelle vecchie sitcom i problemi erano filtrati dalla morale o al massimo da una risata. L’indomani della messa in onda italiana nel 1992, la giornalista de La Stampa Alessandra Comazzi scrisse: “In primo piano c’è una scuola americana come potrebbe essere, ci studiano giovani americani come potrebbero essere…”.
Aaron Spelling e Darren Star, i produttori, studiarono personaggi differenti per ceto sociale, cultura, passioni, così da dare a chiunque qualcuno in cui immedesimarsi, ma lasciando un filo conduttore, quello che la Comazzi descrive così: “Dispettosi come si conviene alla categoria studentesca, anche turbati dai problemi dell’età o della condizione sociale, ma pieni di speranza“.
Speranza e illusione, queste le catene che uniscono i ragazzi, inseriti nel contesto falsamente idilliaco della ricca e dorata Beverly Hills.
Ragazzi di oggi
C’è il bravo ragazzo, Brendon Walsh, quello che tutti i genitori vorrebbero come genero. Maturo, saggio, ottimo studente, intraprenderà la carriera di giornalista che lo porterà al Washington Post. Sua sorella Brenda è invece più problematica, ribelle, sempre in cerca di una fuga dai problemi e dalle responsabilità. I Walsh rappresentano la classica famiglia medio-borghese che si ritrova nell’alta società, ma non fa fatica a integrarsi grazie a un’innata classe, simpatia e voglia di impegnarsi.
Contrapposti ai medio borghesi ci sono i ragazzi ricchi, ma che nascondono insicurezza e problemi. Kelly Taylor, la più bella della scuola, contesa dai ragazzi e invidiata dalle ragazze, che nasconde una grande fragilità dovuta ai problemi di alcolismo e ai numerosi partner della madre. Accanto a lei, l’amica Donna Martin, svampita e succube di una madre dispotica e molto cattolica. Steve Sanders, stereotipo del classico ragazzo di Beverly Hills. Ricco, arrogante, figlio di una famosa attrice che sperpera denaro in attività imprenditoriali bizzarre e che dimostrano come i soldi non siano l’unico aspetto del successo. E poi David Silver, DJ e voce della radio della scuola. David è il più giovane e con una gran voglia di integrarsi.
Andrea Zuckerman è la “secchiona“, che a differenza delle altre immagini femminili della serie è caratterizzata da una grande intelligenza invece che da una bella presenza fisica. Direttrice del Blaze, il giornale del West Beverly, è membro dell’élite intellettuale e mostra una grande grinta nel desiderio di riscattare la sua modesta estrazione sociale.
Dylan McKay, novello James Dean
Mancava solo un personaggio, quello in cui tutti gli uomini si sarebbero immedesimati e che tutte le donne avrebbero amato. Lo era stato James Dean negli anni ’50 ma non c’era più e Fonzie era un bel ricordo. Serviva Dylan Mckay. A Luke Perry fu detto espressamente che il suo personaggio era stato creato sulle misure del divo di Gioventù bruciata, con quasi la stessa pettinatura, e lui fece un gran lavoro per sostituirlo come idolo delle nuove generazioni. Poi a Beverly Hills c’era già il bravo ragazzo, serviva necessariamente il bad boy da contrapporgli, così come anni dopo a Dawson Leery sarà affiancato Pacey Witter.
Dylan McKay è misterioso, ribelle e fascinoso. Pieno di problemi, vive da solo già a 16 anni grazie alla ricchezza che gli ha lasciato il padre, malavitoso, al momento della sua morte. Guida una Porsche, è appassionato di moto, ha problemi di alcol e droga. È un solitario, un sex symbol che attira subito le attenzioni delle protagoniste femminili, da cui sarà sempre conteso.
Beverly Hills centrò in pieno i suoi obiettivi e divenne il teen drama per eccellenza. Sulla sua scia si incamminarono Melrose Place, Dawson’s Creek, The O.C., One Tree Hill, Gossip Girl. Tutti successi mondiali importanti per la generazione che li ha vissuti ma che per motivi di congiunzione storica non hanno potuto essere quello spartiacque tra due mondi come lo sono stati loro: i ragazzi di Beverly Hills 90210.