Big Little Lies, creata dal genio di David E. Kelley e basato sul romanzo di Liane Moriarty, è stata una delle migliori serie tv degli ultimi anni. Ma parlarne al passato sarebbe inesatto dato che è stata annunciata una terza stagione. Una notizia del tutto inaspettata. Dopo aver ricevuto, nel 2017, 5 Emmy Awards, tra cui quello come miglior miniserie, essendo inizialmente una miniserie, a fronte di 8 nomination, già la seconda stagione si è rivelata una sorpresa. Mal’aggiunta di Meryl Streep a un cast che già comprendeva Reese Witherspoon, Nicole Kidman, Laura Dern, Shailene Woodley e Zoë Kravitz e il ritorno di David E. Kelley, facevano ben sperare.
In onda in Italia su Sky Atlantic e prodotta dal colosso della HBO, i suoi 14 episodi avevano concluso, senza troppi malcontenti e insoddisfazioni, la storia delle Monterey five. La seconda stagione di Big Little Lies non ha infatti del tutto deluso i fan. E anche il cambio di regia si è potuta considerare un’ottima scelta. Si tratta comunque di 2 capitoli incomparabili tra loro, con il primo nettamente superiore al secondo. Oltre che più interessante. Ma una terza stagione, a più di 4 anni di distanza, con una parte di racconto già precedentemente esaustiva, non convince in partenza. Rischiando di non concludere nel migliore dei modi il viaggio di una piccola opera d’arte, come è stata Big Little Lies.
L’illusione di una vita perfetta in un vero angolo di Paradiso
Sullo sfondo di un’alta società ricca e indifferente si staglia la luminosa Monterey, un’oasi di pace, dove il lusso di ville sulla spiaggia e abiti firmati è un diritto quotidiano. Un’élite privilegiata e apparentemente incurante di chi vive oltre i confini della cittadina della California: la Monterey dove si infrangono le onde dell’Oceano Pacifico. Tra loro 5 donne, dove Jane è una nuova arrivata, giovane e single, accolta a braccia aperte da Madeline e Celeste. Dapprima forse solo desiderose di non apparire esclusive, dimostrandosi a favore delle pari opportunità e lottando per una società che sia più giusta. Ma la loro società è regolata da maschere: è una facciata di perfezione che non va oltre il primo sguardo distratto. Tra avvocati, imprenditori e donne in carriera, ci sono i loro figli, bambini dal futuro già scritto, anche loro eredi di un mondo dell’apparenza.
Ma Monterey è anche una prigione il cui luccichio delle sbarre non la rende meno opprimente.
E ognuna delle donne ha la propria inquietudine, fra torture e maltrattamenti, frustrazione e insoddisfazione. A cominciare da Celeste, mente, anima e corpo martoriati dai segni di un marito tanto affascinante quanto violento e aggressivo. Un segreto che Celeste non confida neanche alla migliore amica Madeline, divorziata e sposata in seconde nozze con Ed, ma ancora legata a quella famiglia che si era costruita con l’ex marito Nathan. A sua volta lui si è risposato con Bonnie, elemento distintivo di Monterey e per questo non ancora ben vista da quella comunità. A completare il quadro delle protagoniste ci sono la giovane madre Jane, vittima di una violenza dal quale è nato il suo unico figlio, e Renata, donna d’affari spesso in preda a scatti d’ira e momenti di stress esagerati.
Nel primo capitolo tutto parte dal figlio di Jane, Ziggy, che viene accusato da Amabella, figlia di Renata, di aver tentato di soffocarla. Un incipit che obbliga le 5 donne a distanziarsi da quella falsa e ipocrita stabilità, creando due schieramenti opposti, due ceti dirigenti, due high society in continua guerra tra loro. Mentre ognuna delle protagoniste continua a vivere la propria esistenza, tutto culmina con la morte di Perry, marito di Celeste.
Vedendolo, per la prima volte tutte insieme, e non solo Celeste, al massimo della sua ferocia, crudeltà, e incapacità di fermarsi.
È Bonnie a spingerlo, salvare Celeste e venire in aiuto alle altre ed è lei, che prima era solo una delle tante mamme, ad entrare ora in quel gruppo ristretto del quale non le è mai interessato far parte. Il secondo capitolo si concentra su Mary Louise, che in sé racchiude il senso, l’inizio e l’incidente scatenante della stagione. Madre di Perry e convinta che la morte del figlio non sia stata un incidente. Tra i segreti soprusi che Celeste subiva in silenzio e il mistero del figlio di Jane, Ziggy, nato dal tradimento di Perry anni prima, il che fa di Jane un’altra vittima dello stesso uomo, Mary Louise rompe un equilibrio e porta ognuna delle donne a rivivere il giorno della morte di Perry. E tutto ciò che lo ha preceduto.
Alla domanda se avevamo bisogno o no della terza stagione di Big Little Lies, la risposta è no. Ma non per questo non potrebbe ripetersi l’esperimento del secondo capitolo. Con esiti del tutto sorprendenti.
L’assodata risonanza di Big Little Lies
Tutto ciò che ha reso Big Little Lies uno show di successo, tra i maggiori prodotti di punta di HBO, è stato ampiamente trattato in precedenza. L’esteriorità era una combinazione di bugie e finzione, non a caso il titolo della serie. La realizzazione delle protagoniste e il loro trionfo come madri era stato misurato con la ferocia con la quale difendevano propri figli e attaccavano quelli degli altri. Ciò che Monterey sembrava imporre le aveva portate a nascondere i loro drammi interiori. E dalla dominante ricerca dell’eccellenza, dell’armonia e della completezza, nessuno ne era escluso.ch
Ognuno a suo modo, nell’etere chiusa e splendente di Monterey, doveva essere un modello di vita. Quest’insieme di fattori che Big Little Lies ha sapientemente legato tra loro, ha dato modo anche di entrare nelle case e nelle stanze più segrete delle vite private delle 5 donne. Esplorando in particolare il tema dell’abuso, della violenza domestica, del divorzio e della competizione. Che sia quest’ultima maschile o femminile, mostrandone gli esiti opposti.
Tutto ciò che ha allontanato le donne di Monterey, non ha più importanza quando si ritrovano unite da un segreto.
Tutte colpevoli, ma tutte innocenti. Tutte profondamente scosse, ma convinte che non ci fosse altro modo. Incapaci di dimenticare: unite, alleate, complici e non più in contrasto. Da qui la tematica della competizione, che nell’universo femminile, se si trasforma in solidarietà, non c’è nulla che la possa scalfire. Raccontandola e mettendola, con accortezza, a confronto con la mascolinità più tossica, con quello scontro tra uomini che non saprebbero mai coalizzarsi né firmare un patto.
Perché Big Little Lies, per quanto sia definibile una serie per tutti, è indubbiamente un prodotto al femminile, e che ne rappresenta la psicologia, l’intimità, l’animo e lo spirito più radicato, complesso, tortuoso e infinito. Non tralasciando il rapporto madre-figlio, tra cui la consapevolezza del personaggio di Mary Louise nei confronti della natura di Perry. E una ritrovata stabilità, che ha però forse bisogno di affrontare le conseguenze di una verità a tuttotondo.
C’era tutto questo in Big Little Lies, nei 14 episodi che, con il primo capitolo, hanno stupito, coinvolto, turbato ed entusiasmato.
E che con il secondo hanno nuovamente sorpreso e appassionato, con qualche compromesso nell’accettazione che ogni stagione è diversa dall’altra e che, di solito, la prima ha sempre quel qualcosa in più. Per quanto non tutti i prodotti seriali rientrino in questa regola, va precisato che Big Little Lies era nata come una miniserie. Ecco che la seconda stagione non sarebbe potuta essere gestita meglio.
Considerando inoltre anche un materiale di trama in parte esaurito. Per la terza però, del quale si sa ancora molto poco, sorge spontanea la domanda: c’è ancora qualcosa da raccontare? Premesso che c’è sempre qualcosa da raccontare, entrambi i 2 capitoli della serie tv si concentravano sia sulla sfera personale delle protagoniste che sulla morte del personaggio di Perry. Per la terza servirebbe un nuovo evento di grande impatto, un qualcosa che rompa del tutto l’equilibrio, già precario, che si è tentato di ricostruire. E il finale della seconda stagione non basta. Un finale che non aveva comunque convinto del tutto.
Una confessione che non deve essere a tutti i costi approfondita
Le 5 donne, alla fine della seconda stagione, vanno alla stazione di polizia, forse a confessare. Ma non è comunque detto che verrebbero incriminate. Bonnie ha agito per difendere Celeste e le altre coinvolte nel pestaggio da parte di Perry. È vero che hanno mentito, ma fare dell’ammissione dello svolgimento degli eventi il focus della terza stagione risulterebbe debole. Ci sarebbe la possibilità del processo, ma sarebbe un ripetersi della seconda stagione, trasformando la miniserie in un legal drama dove condannare il personaggio di Bonnie o le altre donne sarebbe poco verosimile.
Ma soprattutto se questo dovesse essere l’assetto narrativo, non ci sarebbe nulla di nuovo da scoprire. Si potrebbe pensare a un tribunale dove le donne vengono messe una contro l’altra, andando a cercare nella loro vita privata tutto ciò che potrebbe far perdere credibilità, ma ci sarebbe un’antagonista? Chi si accanirebbe così per la morte, accidentale, di Perry? Anche per questo, Mary Louise, nel ruolo di madre, aveva convinto. Così come ha funzionato il suo totale smarrimento e la drammatica incredulità nello scoprire di aver cresciuto un uomo che era diventato un marito violento, brutale e dalla furia incontrollabile.
Si può quindi sperare in un’altra vicenda che coinvolga le 5 di Monterey.
E sia il cast, che la scrittura, che tutta la tecnica, tra location, stile, intensità, emotività e immedesimazione, sono una speranza per la terza stagione. O forse un atto di fiducia, ricordando l’ottimo lavoro svolto con il secondo capitolo. La necessità di continuare probabilmente non c’era, perché la storia oltre ad avere una conclusione soddisfacente e credibile, aveva avuto il suo finale. La dinamica e le conseguenze della morte di Perry sono note, non finiranno lì, la polizia forse saprà la verità. Ma quanto dire come è avvenuto “l’omicidio” può realmente cambiare le cose? Confidiamo quindi in David E. Kelley e nella sua capacità di raccontare i personaggi. E, senza dubbio, confidiamo in HBO, che raramente sbaglia un colpo.