Attenzione: non continuate a leggere se volete evitare spoiler su Big Little Lies
Big Little Lies ci ha intrattenuti per due stagioni, regalandoci la visione di una serie importante. Ambientato nella ricchezza della borghesia di Monterey, il dramma ci racconta uno sprazzo di vita di cinque donne straordinarie, interpretate da altrettanto straordinarie attrici, che sono tali nella loro normalità, nell’apparente banalità delle loro vite. Cinque donne che si uniscono mano a mano che si procede con la storia, che sono all’inizio distanti tra loro come stelle nel cielo notturno per poi incontrarsi, delineare una stessa traccia, far combaciare i rispettivi angoli fino a smussarli.
La Monterey raccontata in Big Little Lies rappresenta uno standard di compiutezza a cui nessuno dei suoi abitanti sembra potersi sottrarre
Perché è di questo che Big Little Lies racconta, prima ancora di un omicidio e di una storia di abusi familiari: i registi Jean-Marc Vallée e Andrea Arnold portano sullo schermo non madri, non mogli, o meglio non solo. Ognuna di queste donne ha un trascorso ben delineato, un vissuto familiare e di relazioni interpersonali che le hanno condotte ad essere così come le vediamo all’inizio della prima stagione: la solitaria Jane, l’energica Madeline, l’eterea Celeste, l’artistica Bonnie e la caparbia Renata si scontrano e confrontano tra loro come schegge impazzite di uno specchio destinato a riformarsi. Perché è questo che si aspetta la società da loro, e nient’altro. Queste donne portano avanti le loro vite stancamente, tenendo ben salda la maschera della perfezione e senza un cedimento, né una debolezza. Tutto ciò che è rotto, incrinato (un matrimonio imperfetto, una violenza subita, un rapporto burrascoso con la propria figlia, un fallimento economico) mai deve apparire, solo essere sepolto assieme ad ogni frustrazione. E, nonostante questo arrancare negli impegni quotidiani, le stesse protagoniste rappresentano perfettamente gli ossimori e le discrepanze di un mondo che ci vuole sì femmine, ma non donne. Renata, interpretata da Laura Dern, è una splendida madre, che offre alla sua piccola Amabella una vita di ricchezza e comfort economico, ma questo non è sufficiente, perché le viene rimproverato di non accompagnare la figlia a scuola e lasciare che sia la tata a farlo per lei. Celeste è una moglie meravigliosa, paziente, profondamente innamorata di un marito che la venera ma al quale non può opporsi in alcun modo, perché lei è l’angelo del focolare ma quello è il suo posto, e nessun altro. Jane è emotivamente fragile, cresce un figlio da sola e convive con i fantasmi del suo passato, ma tutto ciò che vedono le persone attorno a lei è una giovane single con un bambino venuto da chissà dove e di cui non è in grado di occuparsi.
Queste e tante altre sono le cicatrici di una storia che molte donne condividono, e di cui non è facile portare il peso. Le protagoniste di Big Little Lies lo sanno, sanno che oltre all’amore per i propri figli e per i propri compagni quello per se stesse è andato perduto. Un desiderio che sì, di tanto in tanto riaffiora, ma solo nel suo aspetto più carnale e fisico, in quei rari momenti in cui si lasciano andare alle debolezze del corpo. Ma anche in questi casi è lo sguardo dei mariti, degli amici, degli uomini che le circondano a veicolare il potere dei loro corpi: è lo sguardo maschile a farle sentire connesse con il proprio io, e questo la serie lo racconta in modo esemplare, entrando nel dettaglio di ogni matrimonio e spiandone i più torbidi segreti.
La distinzione tra i ruoli nella prima parte di Big Little Lies è netta, ma ognuno di essi con il tempo si congiunge agli altri fino a crea una matassa indistinta di difetti, sogni infranti e traumi mai superati
Al principio della prima stagione, se alcune relazioni vengono da subito raccontate con trasparenza (come l’amicizia tra Jane, Maddie e Celeste), è difficile immaginare che persone così diverse tra loro, come anche Bonnie e Renata, potrebbero trovare un punto di incontro. L’unica cosa che hanno in comune, in fondo, è il ruolo che ricoprono: non per niente, si sono conosciute perché i loro figli frequentano la stessa classe elementare. Ma la trama si dirama, e tra le sue biforcazioni, tra i rami così distanti tra loro ma che provengono dalle stesse radici inizia a delimitarsi un contorno ben preciso tra le protagoniste e tutto il resto del mondo. Arriva come un proiettile nello stomaco dello spettatore, in quell‘episodio finale della prima stagione in cui tutto si risolve, complicandosi, in pochi istanti. Una sequenza nella quale non ci sono parole o grida, solo l’incalzante colonna sonora e la bravura delle interpreti, e che scioglie i nodi di un racconto che fino ad ora è sembrato dividere queste donne così diverse, così ordinarie, ma che adesso le riunisce sotto la trama di una stessa, macabra storia.
Perché in quel momento, quando il violento Perry, marito di Celeste, tenta di ferirla per l’ennesima volta, quando Jane capisce che è lui l’uomo che le ha fatto del male, tutto si fa chiaro. Un’epifania al quale tutte, comprese le più estranee ai fatti Renata e Bonnie, assistono per una fatale coincidenza; lo stesso destino che le ha viste così lontane fino ad ora, adesso le ha rese complici, coese contro la bestialità di un uomo che viene sconfitto solo perché attaccato dal gruppo. I lupi che si fanno branco per proteggere uno di loro, che attaccano il cacciatore silenzioso e fino ad allora nascosto nella purezza della neve. Nessuna si domanda se sia giusto o sbagliato, nessuna pensa a ciò che succederà alla sua famiglia, né a ciò che ne sarà di lei. Tutte reagiscono, si rivoltano contro il mostro e ciò che rappresenta, e saranno pronte a proteggersi le spalle per sempre le une con l’altre. Distanze di anni distrutte in un istante, un giuramento firmato con il sangue del carnefice e senza riflettere, solo perché loro sanno. Sanno cosa vuol dire soffrire in silenzio, cosa significa portare il peso della perfezione sulle proprie spalle, sanno che devono supportarsi tra loro perché nessun altro potrà farlo. Lo sanno in quanto donne, figlie di madri che a loro volta sapevano, e così a retrocedere fino all’alba dei tempi. Una canzone vecchia quanto la storia, a cui anche le loro figlie sono destinate – ma anche i figli, come nel caso di Max, che dimostra, seppur con l’innocenza di un bambino, la stessa indole violenta di suo padre. Non potranno mai proteggerli davvero, nonostante sia questo il loro più grande istinto, ciò che le ha apparentemente divise sin dall’inizio. Un ciclo che è destinato a ripetersi.
Celeste, Maddie, Bonnie, Renata e Jane non sanno come proteggersi da sole, ma ci provano con tutte le loro forze, costruendo un muro di certezze edificato negli anni. Certezze che si sgretolano tutto d’un tratto, abbassando le loro barriere perché ormai lontane dalla perfezione che sempre viene loro richiesta. Diventano fragili, maleducate, scomposte, cattive, lontane da loro stesse e forse più libere, se non fossero imprigionate dai sensi di colpa per aver fatto qualcosa che, di solito, le brave ragazze decisamente non fanno. Mettono perfino in dubbio i sentimenti per i loro mariti, compagni spesso incerti, macchiette di sfondo che puntano a far ridere lo spettatore o, al limite, a disgustarlo o ad averne paura. Gli uomini di Big Little Lies non si salvano, sotto nessun aspetto, e non perché siano mal scritti o poco approfonditi; sono piuttosto semplicemente di ostacolo per le loro compagne, chi più chi meno, arrivando perfino ad amarle a senso unico, pensando che il loro amore sia sufficiente per entrambi.
Ma la bellezza di Big Little Lies risiede non solo nella regia, o nell’accurata colonna sonora, o nelle -seppur magistrali- interpretazioni del cast di prima scelta. Big Little Lies trova la sua luce nel profondo delle sue protagoniste, donne mai idealizzate o rese come esseri perfetti, tutt’altro. Le cinque di Monterey sono labili nei loro equilibri, magistralmente disastrose su tanti fronti, spesso incomprensibili, ma reali. Divise su tutto, ma unite contro una società che, in modalità contradditoria, disprezzano ma che detta stilemi nel quale fanno di tutto per rientrare. E questo è un sentimento in cui chiunque, uomini e donne indistintamente, può riconoscersi. Tuttavia, la serie ci insegna che non tutto è perduto; che l’amore, quello profondo e sincero, verso il partner, i figli, gli amici, ma soprattutto noi stessi, è davvero la scialuppa di salvataggio in questo tempestoso mare di caos quotidiano. Che la straordinarietà delle nostre vite non dipende dalle ricchezze di cui ci circondiamo, si compone anzi di piccoli attimi felici, perfetti nella loro imperfezione, con la consapevolezza che magari non abbiamo tutto ciò che vorremmo ma tutto può bastarci. Che perfino una banale gita sulla spiaggia, con le persone giuste, può alleviare il dolore di uno schiaffo o la sofferenza di un tradimento e rendere quel giorno, nel suo piccolo, un giorno perfetto.