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Billions 6×11/6×12 – Perdere pur di vincere

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Attenzione: evitate la lettura se non volete imbattervi in spoiler sul finale della sesta stagione di Billions

Gioco. Set. Partita? Eh no, perché quel punto sarà sospeso per almeno un altro anno. E di veri vincitori, pure a questo giro, non ne abbiamo visto. Se non una, Dave, piacevole sorpresa della sesta stagione. Ma se si parla del duello rusticano tra Chuck e Mike, è andato a finire esattamente come andava a finire tra Rhoades e il vecchio Axe: uno viene sconfitto e l’altro perde lo stesso perché la vittoria è sempre molto più cara del dovuto. Insomma, tutti vinti tra un’infinità di se e ma. I soliti anche quando cambiano, nella logica perversa di Billions. E di una stagione, la prima orfana di Damian Lewis, che ha rischiato più volte di affondare ma che alla fine si è salvata con alcuni colpi di scena ben assestati e un esercizio in cui questa serie è maestra quanto pochissime altre: la scrittura dei season finale.

Stavolta, a dir la verità, si è trattato di fiammate e non di un fragoroso incendio. Ma viste le premesse, a esser buoni poco rosee, ci si può accontentare. Perché la sesta stagione di Billions sembrava esser nata per fallire e rovinare cinque anni meravigliosi con un sadico accanimento terapeutico, dettato da qualunque logica non riguardi la dimensione più strettamente narrativa, e così non è stato. La sesta stagione non è la migliore di Billions e con ogni probabilità è pure la peggiore, ma è riuscita a galleggiare senza rovinare niente, tenendosi su standard che nel panorama seriale attuale sono comunque al di sopra della media. Impresa non da poco, come non lo era rimpiazzare un protagonista dal carisma di Bobby Axelrod con un terzo incomodo, Mike Prince, che nella stagione d’esordio da primattore ha dimostrato di poter reggere benissimo il ruolo. Come certifica anche il duello finale con Chuck in Cold Storage, in cui ha mostrato fino in fondo tutto il suo potenziale.

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Com’era giusto che fosse, ci abbiamo messo un po’ a capirlo. Dopo averlo definito in vari modi e averlo visto indossare per oltre metà stagione la maschera del filantropo, al termine del decimo episodio si era finalmente rivelato per quello che era davvero: un egomaniaco, un megalomane tanto pieno di sé da voler segnare il proprio tempo con un marchio indelebile. Non esser solo parte della storia, ma scriverla in primissima persona. Tutto chiaro, ma mancava un tassello. Un tassello che, tuttavia, attraverso un semplice e persino banale collegamento dei punti sparsi qua e là nell’arco della stagione, era sempre stato davanti ai nostri occhi: Mike Prince non è solo un principe della finanza, è anche un politico. Oseremmo dire, soprattutto un politico. Ha cercato di far politica attraverso le metro e le Olimpiadi newyorkesi prima, poi col finanziamento di un ambiziosissimo e visionario reddito universale. Con un solo fine: la Presidenza degli Stati Uniti. A conti fatti, se si ripercorre a ritroso la stagione, diventa addirittura ovvio, ma la rivelazione ha comunque avuto un impatto significativo e ha un senso che va ben oltre l’inseguimento della cronaca del nostro tempo e la ricerca forzata di un colpo di scena che per alcuni ha il sapore amaro del salto dello squalo: piaccia o meno, Prince Presidente segna la virata definitiva della narrativa di Billions.

D’altronde, scindere la finanza dalla politica è ormai divenuto impossibile nella finzione seriale almeno quanto nella realtà, ma è altrettanto vero che Billions avesse sempre tenuto la prima in avanguardia per usare la seconda sullo sfondo. Ora no, non più: nel corso della sesta stagione, la narrazione ha capovolto gradualmente le prospettive fino a stravolgerle del tutto. Billions, oggi, parla di politica più di quanto parli di finanza. E l’evoluzione di Mike Prince incarna idealmente questo passaggio, pur senza snaturare in alcun modo una serie che ha sempre gestito in parallelo i due mondi. La rivelazione del miliardario è quindi funzionale a un approccio diverso, in cui non sarà più la finanza a servirsi della politica ma viceversa. Come andrà a finire questa storia non possiamo saperlo, ma quel che è certo è che lo scontro finale di Mike con Chuck ha svelato tutte le carte in tavola: Prince non è mai stato quel che aveva fatto pensare a tutti (ne avevamo parlato ampiamente nella recensione degli episodi precedenti), un’altra finanza (eticamente sostenibile) non è possibile e l’imprenditore è pronto a tutto pur di ottenere tutto quello che vuole. Tutto, persino frodare il fisco per cifre mai viste e perdere un terzo del suo patrimonio in una manciata di secondi.

Al di là del fatto che non si possa esser certi fino in fondo del fatto che i tre miliardi e mezzo di dollari in criptovalute siano davvero andati in fumo, è evidente che Mike sia disposto addirittura a perdere per vincere. Al pari di Chuck, in fondo tanto simile a lui. Lo scontro finale andato in scena nel dodicesimo episodio è stata una partita a poker dai tratti surreali, in cui entrambi bluffavano pur avendo qualcosa (o più di qualcosa) in mano. E in cui entrambi si sono mostrati allergici al compromesso, disposti a rovinarsi per prevalere sull’altro. Con la garanzia che a un passo dall’abisso l’uno avrebbe ceduto il passo all’altro, senza sapere che avrebbero finito col gettarsi in un burrone presi per mano. Succede allora che Chuck finisca in manette (per poco) in uno scenario giuridico non proprio chiaro (per usare un eufemismo), mentre Prince abbia pagato a carissimo prezzo la mano vincente. All’all-in del primo si è quindi contrapposto il folle azzardo del secondo e un pareggio in cui le sfumature tra la vittoria e la sconfitta sono davvero troppo sottili per essere in qualche modo sostanziali.

Un po’ come è successo per anni allo stesso Chuck con Axelrod, in un rimescolamento costante delle parti che porta dritti dal trionfo al fallimento in una manciata di mani. Vale per loro come vale per tutti i protagonisti di questa incredibile serie, persi sulla strada maestra della finanza tra i sogni di redenzione (Wendy), quelli di una gloria che allontana l’orizzonte un passo alla volta (Taylor) e le prospettive nefaste evocate più volte da Scooter che prima o poi si concretizzeranno in qualche modo. In questo, Billions è ancora la vera Billions. E anche se sembra ora più lontana la prospettiva che porta a un ritorno in scena di Axe, auspicata e teorizzata per almeno la metà degli episodi, attenderemo la settima stagione con rinnovata curiosità. Non con l’entusiasmo di un tempo, ma comunque consci di aver ancora a che fare con una serie che sa dare tantissimo anche quando dà il peggio di sé. Tra una campagna presidenziale tutta da scrivere, un uomo che vuole riscrivere la storia e uno che vuole ritrovare la propria, un’azienda da mandare avanti con prospettive del tutto nuove e comprimari che auspichiamo possano ritrovare la centralità e la brillantezza di un tempo, salutiamo così (per ora), Billions.

Ad maiora, possibilmente senza rimpianti.

Antonio Casu

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