Alla notizia della messa in pausa a tempo indeterminato di Mindhunter da parte di Netflix, una pausa che a noi pare purtroppo un eufemismo per “cancellazione“, tutti i fan della serie si sono raccolti in un’incredula protesta, chiedendosi come fosse possibile che uno dei migliori prodotti di sempre della piattaforma, ma, in generale degli ultimi tempi, fosse stato così abbandonato. Tra petizioni e tante speranze, tuttavia, il pubblico non ha mai smesso in cuor suo di sperare che l’appassionante crime dalle tinte da thriller psicologico di David Fincher narrante le origini del FBI e la profilazione degli assassini seriali potesse tornare un giorno sui nostri schermi. Eppure, anche se niente potrà mai colmare il vuoto lasciato da quella che parrebbe la fine della serie Netflix, vogliamo oggi presentarvi una serie tv che, in quanto a tematiche e atmosfere, nonché per quanto riguarda la qualità di scrittura e delle sue performance attoriali, potrebbe davvero stupirvi e catturarvi: stiamo parlando di Black Bird, miniserie originale di Apple Tv +.
Composta da sei episodi di circa 60 minuti l’uno, Black Bird è infatti una serie crime incentrata su alcune tra le tematiche cardine che avevano caratterizzato Mindhunter.
Le confessioni di un serial killer, gli approfondimenti psicologici dei suoi personaggi e la fascinazione mista a disgusto per la violenza… Ambientata agli inizi degli anni ’90, Black Bird, dichiaratamente ispirata a una vicenda realmente accaduta (come la serie stessa ci tiene a ribadire al termine di ogni opening), racconta la storia di Jimmy Keene Jr., uno spacciatore e trafficante di armi. A causa del suo grande carisma, l’uomo viene individuato dal FBI come perfetto candidato per una loro operazione e viene inviato in un carcere di massima sicurezza affinché spinga Larry Hall, presunto serial killer, a confessare dettagli sui crimini dei quali è stato accusato prima che venga prosciolto in caso di vittoria alle sentenze d’appello. Se Keen riuscirà a estorcere una confessione all’uomo (in particolare i luoghi dove ha seppellito le sue giovani vittime), la pena di Keen, consistente in dieci anni di carcere, verrà estinta completamente e l’uomo potrà dichiararsi libero.
Ma mentre si avvicina sempre più alla verità e alla distorta e oscura mente malata di Hall, Jimmy rischierà a sua volta di precipitare in un baratro senza fondo.
Un giovane brillante che fa suo unico scopo quello di cercare di penetrare una mente deviata, tentando di mantenere la propria sanità mentale e la propria compostezza pur di fronte a qualcosa che sa essere sbagliato con ogni cellula del proprio corpo. Per quanto diverso dal tormentato Holden Ford di Mindhunter, il Jimmy Keen di Taron Egerton si ritrova invischiato in una simile trappola. Dialoghi lunghi, a tratti asfissianti, ma così intensi e a loro modo disturbanti da non permettere allo spettatore di distogliere lo sguardo dallo schermo. E come fare altrimenti? Le incredibili performance attoriali dei due principali interpreti, davvero in stato di grazia, sono magnetiche, viscerali e realistiche.
Se Egerton brilla nel mettere a nudo un protagonista che pian piano cade nella disperazione pur cercando in tutti i modi di mantenere la propria maschera e di vestire i panni del perfetto confidente per un serial killer, la figura dell’attore Paul Walter Hauser, sparisce del tutto per portare in scena un realistico e spaventoso Larry Hall, tanto mentalmente debole quanto inquietante.
Hausen, che i più serializzati avranno riconosciuto per il ruolo di Stingray “Pastinaca” in Cobra Kai, si cala, infatti, così bene nei panni di Hall da rassomigliare esteticamente davvero molto alla controparte reale. Ma non solo fisicamente: gli sguardi, la gestualità e soprattutto il peculiare timbro di voce che l’attore riesce a portare in scena nella sua interpretazione hanno dell’incredibile e riescono a far raggelare il sangue nelle vene del pubblico della serie, instaurando in essi una notevole angoscia. Ciò che però rappresenta forse l’aspetto migliore di tutta la serie è la chimica intercorrente tra i due interpreti: nonostante l’ambientazione del carcere e la dinamica dell’infiltrato offra infatti vari spunti di narrazione che la serie raccoglie (senza particolare estro), tra ricatti e minacce, a rappresentare il nucleo portante della vicenda sono infatti le lunghe e insistenti conversazioni tra Hall e Keen.
Da questo punto di vista, infatti, il viscerale e stretto rapporto che si instaura tra i due uomini crea nello spettare un particolare senso di fascinazione mista a repulsione: i dialoghi, che via via esplorano il passato di entrambi, avvicinandoli inevitabilmente l’un l’altro, ma che portano anche a galla gli aspetti più disturbanti e le idee più folli e malate del serial killer, costituiscono momenti in cui la tensione sembra quasi poter essere tagliata con un coltello. Dinamiche che, di certo, non possono far altri che spingerci a pensare alle registrazioni delle conversazioni tra Holden Ford e i criminali seriali delle sue interviste, soprattutto per quanto riguarda il loquace serial killer Ed Kemper. Da questo punto di vista, il paragone tra Larry Hall e Ed Kemper pare quasi scontato, non solo dal punto di vista estetico ma anche per come essi decidono di porsi rispetto al protagonista della storia, un “amico” a cui si sentono di confidare anche i segreti più reconditi.
Giocando di contrasti, Black Bird, ispirandosi palesemente (e giustamente oseremmo dire) alla serie Netflix, infatti, punta i riflettori non solo sulla mente malata del killer e sulle sue oscure idee, ma sull’effetto che tali perversioni possono causare su coloro che entrano in stretto contatto empatico con uomini tanto malvagi. Se in Mindhunter la tanto famosa scena dell’abbraccio che Ed Kemper rivolgeva al protagonista ci aveva tanto disturbati quanto lasciati senza parole, anche Black Bird riesce a fare altrettanto in più occasioni, suscitando un mix di sensazioni contrastanti che ci portano ad avvicinarci al colpevole e al suo passato senza per questo indurci a provare compassione per essi o giustificarne in alcun modo le atrocità, in una narrazione tanto intensa quanto rispettosa nei confronti delle vittime.
Tra atmosfere cupe, scene intense e capaci di togliere il respiro e incutere nello spettatore ansia e paura, Black Bird sceglie di raccontare il peggio dell’animo umano senza però mai cadere di stile. Lontana da qualsiasi tipo di macabro voyerismo, la serie, infatti non sceglie quasi mai di mostrare su schermo la violenza dei racconti di Hall, le cui parole però, che non tacciono neppure il più infimo orrore perpetrato, lasciano così allo spettatore di immaginare quanto spiegato.
Anche se, sia a causa della sua breve durata, sia per la presenza di alcune sottotrame secondarie inerenti all’indagine all’esterno della prigione, la serie non arriva a toccare le vette che avevano caratterizzato la serie Netflix, Black Bird rimane un prodotto di alto livello ancora troppo poco conosciuto, a prova di quanto le produzioni di Apple Tv+ siano ancora sottovalutate dalla maggioranza del pubblico. Con la sua storia di umanità (e di disumanità), una sceneggiatura con pochissime sbavature, dialoghi capaci di calamitare l’attenzione come non mai, un cast eccezionale e una regia e fotografia pulite e intimiste, Black Bird è un piccolo gioiello della serialità moderna, adatto tanto agli amanti delle storie true crime quanto ai serializzati che desiderano solo immergersi in una storia coinvolgente e capace di tenere sulle spine fino all’ultimo secondo.