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Black-ish è molto più dell’eredità dei Robinson e Tutto in Famiglia

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Tra poche settimane chiuderà i battenti una delle più importanti sitcom statunitensi dell’ultimo decennio se non di tutti i tempi, uno di quei prodotti che arrivati ormai all’ultima stagione continuano a collezionare una pioggia incessante di candidature ai più importanti premi televisivi e che tuttavia non ha mai goduto di un grande successo commerciale al di fuori dei confini nazionali.

Stiamo parlando di black-ish, prima creazione originale del geniale autore e produttore afroamericano Kenya Barris (del cui talento vi abbiamo parlato qui), un’opera prima che fin dalla sua messa in onda ha guadagnato l’approvazione di pubblico e critica, tanto da dare origine a ben due spin-off: il teen drama grown-ish e la comedy ambientata negli anni ottanta mixed-ish. La serie, incentrata intorno alla famiglia Johnson e narrata dal padre e marito Dre, si inserisce nel filone della sitcom familiare e in particolare in quello che vede per protagoniste le famiglie nere, che ha come capostipite I Robinson e come nobili esponenti I Jefferson e Tutto in Famiglia. Eppure, per quanto black-ish venga associata inevitabilmente a queste importanti produzioni che hanno segnato il mondo della comicità seriale, l’opera di Barris prende le distanze in modo netto dalle sitcom familiari nere che l’hanno preceduta e lo fa in modo plateale, evidenziando una frattura netta fin dal suo titolo.

black-ish

Vagamente ispirata alla biografia dello stesso Barris, prima di essere ordinata e prodotta da ABC black-ish è stata presentata dal suo creatore a diverse case di produzione ed è stata rifiutata molteplici volte, in quanto il punto di vista profondamente anti-convenzionale in cui il progetto di Kenya Barris intendeva presentare l’esperienza di una famiglia nera negli Stati Uniti contemporanei era erroneamente considerato troppo radicale per gli standard del format della sit-com, troppo distante dalla tradizione di lunga data e grande successo inaugurata da “I Robinson”. La stessa ABC, una volta approvata l’idea, ha fortemente insistito perché Barris chiamasse la serie The Johnsons, ricalcando il legame con la canonica sitcom familiare nera che metteva al centro proprio la famiglia fin dal titolo: I Robinson, I Jefferson, My Wife and Kids (l’originale di Tutto in Famiglia) sono tutti esempi di un filone seriale che vuole essere facilmente riconoscibile e immediato fin dal momento in cui viene nominato.

Barris tuttavia sapeva di voler proporre qualcosa di differente, qualcosa che ricalcasse la sua esperienza di padre afroamericano che cresciuto nelle periferie povere di Los Angeles è riuscito ad arricchirsi, a mettere su una famiglia numerosa con una moglie altrettanto di successo (e di nome Rainbow, proprio come la protagonista della serie) ed ecco allora che black-ish devia dalla tradizione che la vorrebbe vedere a riempire le fila delle sitcom eredi dei Robinson e si presenta come una serie profondamente politica, personale, didascalica e autoironica. Black-ish non è la storia della famiglia nera, ma è il racconto di una famiglia nera che deve fare i conti continuamente con questa identità e con le contraddizioni che ritrovano non soltanto nella società americana, ma anche nella loro stessa esperienza di persone estremamente benestanti, colte, membri a pieno titolo di una borghesia a cui le generazioni precedenti di afroamericani non potevano nemmeno sognare di avere accesso.

Non è un caso che ogni puntata di black-ish si apra con una riflessione di Dre sulla società statunitense, sulla cultura nera o ancora sull’esperienza della genitorialità e del rapporto con l’altro in generale, una riflessione che spesso assume di proposito i toni didascalici della lezione e che verrà affrontata in qualche modo durante l’episodio. Dre Johnson non è affatto il tipico padre di famiglia che siamo abituati a vedere rappresentato nelle comedy ma è un vero e proprio alter ego di Barris, un personaggio nel quale il creatore della serie riversa le sua convinzioni e alcune esperienze di vita, ma soprattutto i suoi difetti con una vena marcatamente autoironica. Ecco allora che Dre è rappresentato come viziato, alle volte supponente, superficiale, sempre pronto a elargire lezioni di vita non richieste, un padre tutto sommato presente e affettuoso ma non esente dall’avere evidenti preferenze tra i suoi figli. Impariamo ad amare Dre Johnson perché vediamo il mondo attraverso i suoi occhi, perché comprendiamo cosa prova e le sue scelte, ma anche perché la sua supponenza e il suo bisogno patologico di impartire sempre una lezione di vita a chiunque lo circondi portano spesso a situazioni esilaranti in cui il punto di vista del protagonista viene ribaltato o comunque contestualizzato e, paradossalmente, come spettatori impariamo realmente qualcosa di importante sul mondo in cui viviamo.

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L’identità di “black-ish” è ibrida, perché pur focalizzandosi sulle esperienze di vita quotidiane di tutti i membri della famiglia Johnson, è una serie profondamente politica, che mette costantemente in discussione lo status quo, nonché i punti di vista e le convinzioni dei suoi spettatori, senza smettere per questo di far ridere delle assurdità della realtà così come affrontata dai suoi protagonisti. Vediamo tre diverse generazioni di Johnson rapportarsi con il mondo e questo risulta particolarmente importante qualora la serie decida di dedicare episodi interi a temi politici e sociali che sono spesso al centro di scontri generazionali, come il rapportarsi con l’attivismo, con l’identità razziale, il mondo del lavoro e la famiglia. Una prospettiva multigenerazionale che viene compresa ancora meglio quando si considerano anche gli spin-off di black-ish, incentrati sulla vita al college della figlia maggiore di Dre e Bow Zoey (grown-ish, disponibile su Disney+) e sull’esperienza di crescere in una famiglia interraziale vissuta dalla stessa Bow (mixed-ish), a cui è da aggiungersi il progetto in fase di sviluppo con protagonisti i genitori di Dre Ruby e Pops (old-ish).

Black-ish è una serie che ha sempre avuto chiaro cosa voleva portare in scena, quali erano i riferimenti del genere prima della sua comparsa e come rapportarsi con questi in modo innovativo, consapevole sia del debito nei loro confronti che delle possibilità di stravolgerne la struttura e renderla contemporanea, attraverso l’uso di un umorismo fresco e diretto, che tuttavia si appoggia a una rete di personaggi, interazioni e situazioni che escono dai canoni della sitcom familiare e si impongono per la loro rilevanza politica e sociale. Se questo suo essere profondamente inserita nello scenario degli Stati Uniti contemporanei è stato un limite per il successo di black-ish fuori dai confini nazionali, non si può non sottolineare come sia proprio questo preciso quadro di riferimento a permettere alla serie di essere così incisiva e così apprezzata dalla critica e dal pubblico, che pur rilassandosi guardando una sitcom si trova comunque davanti a un prodotto di grande qualità e nel quale trovano terreno fertile numerosi spunti di riflessione. Black-ish sta per concludersi, ma l’impatto che ha avuto nel rivoluzionare i sitcom della fiction familiare (nera e non solo) non scomparirà dopo la sua fine e questo è forse il più grande risultato raggiunto dalla creazione di Kenya Barris, che lascia alle sue spalle un panorama televisivo che è mutato così tanto anche grazie al suo contributo.

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