Quando uscì la prima stagione di Black Mirror, nell’ormai lontano 2011, non sapevo praticamente nulla di Charlie Brooker: Channel 4 mi era nota solo per essere tv di stato inglese e da Black Mirror non avevo la minima idea di cosa aspettarmi. All’epoca facevo la lotta ai populismi guardandoli con sospetto e preoccupazione e intravedevo già i rischi che si sarebbero materializzati di lì a pochi anni. Per questo la prima stagione di Black Mirror fu una rivelazione e una boccata d’aria freschissima. Finalmente qualcuno capace di cogliere le ipocrisie del presente posponendole in un futuro prossimo ma fin troppo reale.
Ho amato Black Mirror, l’ho amato dal primo episodio, da quel Primo Ministro costretto a un atto osceno con un maiale. Mi sono infervorato davanti alla meravigliosa critica alla società dell’apparire, nel secondo episodio. Ho continuato ad esaltare Black Mirror e ad esaltarmi di anno in anno, con la seconda stagione, con lo psicotico, asfissiante episodio di Natale. Poi però, d’improvviso, senza alcuna avvisaglia (forse una sì, la cessione dei diritti della serie a Netflix) ho visto la terra sparire sotto i piedi. E allora la prima domanda che da fan preoccupato mi sono fatto davanti all’evoluzione di Black Mirror è stata una e una sola:
Com’è possibile?
No, davvero, caro Charlie, com’è possibile che un’opera così illuminante, pungente, geniale, puntuale sia iniziata ad evaporare così? Ero stordito e non potevo credere che Black Mirror calasse, scendesse di un gradino con un episodio che quasi sembrava prendersi gioco, nel titolo, dello stato della serie stessa. Caduta libera. È uno scherzo? Cos’è questo banale attacco alla tecnologia? Che riflessione dovrebbe indurmi? Ma no, ma no, solo una stagione un po’ al di sotto delle altre, niente di grave. E mentre fioccavano recensioni positive e San Junipero otteneva un grande successo di pubblico mi sentivo un pesce fuor d’acqua, finito forse in una delle distopie che Black Mirror aveva così convintamente messo in scena fino a quel momento. Possibile che fossi il solo a essere preoccupato? A quanto pareva, sì, io e una sparuta minoranza.
Ho provato a rintracciare il vecchio Black Mirror nel nuovo, anche in San Junipero che tutti vedevano come il trionfo dell’amore sulla morte e che a me solo, in quell’immagine finale affidata ai freddi, meccanici, inanimati server dell’azienda gridava, attraverso la voce di David Byrne dei Talking Heads, che “il paradiso, il paradiso è un luogo sulla Terra dove nulla, nulla accade mai“, dove “quando un bacio finisce, ricomincia di nuovo senza che sia mai diverso“. Il loop eterno e senza sapore di una coscienza prigioniera in una simulazione, come era stato in Bianco Natale. E mi dicevo che Black Mirror era ancora vivo, perché San Junipero è una distopia.
E poi è arrivata la quarta stagione e non ho potuto più negare a me stesso che Black Mirror si fosse fiondata in un vortice senza ritorno, che la crisi fosse reale, che quella serie punta-dito che mi aveva emozionato e fatto sentire capito aveva tradito. E la colpa, sì, la colpa era tua, caro Charlie, tutta tua, perché per me ti eri venduto. Come negare ora che le cose stessero esattamente così? E allora una cosa ti avrei chiesto, niente più di questo:
Come hai potuto tradire Black Mirror?
Che diamine di senso ha USS Callister? Quale diavolo sarebbe la critica, quale l’interrogativo etico? Quale il senso di questa roba da intrattenimento spicciolo? Esagero? Forse, ma ero arrabbiato, furioso, perché ormai appariva evidente cosa fosse avvenuto e ora anche la critica iniziava a storcere il naso. Possibile che Charlie avesse tradito così la sua creatura? A quanto pareva di dubbi ce n’erano davvero pochi. Mancava ormai qualsivoglia attacco sociale, quella assurda e meravigliosa capacità di esasperare il presente in un futuro vicinissimo per farci interrogare su noi stessi e sulla nostra società. Il sogno era finito ma non volevo arrendermi. Volevo trovare delle risposte, dei perché, delle giustificazioni. E sono riuscito a farlo, almeno per qualche tempo.
Dopo il rifiuto sdegnoso, ho iniziato a recensire tutti gli episodi della quarta stagione, perché è quello che faccio quando qualcosa non mi è chiaro: ne scrivo, viviseziono la cosa, ne cerco l’intelaiatura, il valore simbolico, il senso profondo. E alla fine il ragno dal buco sono riuscito a cavarlo: il taglio degli episodi era più commerciale, è vero, e già nella terza stagione si era richiamato a un genere preciso (Survival Horror in Giochi pericolosi, Kitchen-Sink Thriller in Zitto e balla, Gialli scandinavi per Odio universale e film anni ’80 con San Junipero). Ora in questa season 4 l’espediente era l’impostazione sci-fi ma pure forzando un po’ si poteva ravvisare di volta in volta un certo qual messaggio: USS Callister mette in scena la perversione dell’uomo frustrato, Hang the DJ (4×04) parla delle convenzioni sociali, Black Museum è il filo rosso di tutta la Serie Tv, sintesi e tributo a tutti gli episodi storici di Black Mirror.
Sono chiaramente, speranzosamente passato al compromesso: ben venga una trama che riprende generi molto apprezzati dal pubblico se riesce a veicolare messaggi di un certo tipo. Perché no? Perché farsi elitari quando è necessario, indispensabile arrivare a quante più persone possibili? In cuor mio, però, quello specchio incrinato non mi faceva più sussultare. Non mi lasciava a riflettere a margine dell’episodio, non metteva in crisi le mie certezze, non sollevava domande scomode. E questo non potevo negarlo neanche a me stesso. Tanto più a fronte dell’ennesima delusione, di una sempre più deprimente Black Mirror, nella sua quarta stagione. A questo punto, alla sconcertante depressione della quarta fase del lutto dovrebbe seguire l’accettazione e invece evidentemente non mi sono ancora rassegnato perché quest’ultima stagione mi ha fatto ripiombare alla seconda fase, quella della rabbia e, caro Charlie, voglio chiederti perciò:
Ci fai o ci sei?
Perché se ci fai sei un bel furbacchione davvero. Ci hai abituato progressivamente a un prodotto sempre più lontano da quello di partenza ma di contro gli hai lasciato il nome, il brand, perché quello sì, vende ancora ed è su quello che hai basato la tua fortuna. Ma ora che fai? Togli completamente la critica e trasformi tutta Black Mirror in un prodotto di mero intrattenimento senza arte né parte. No, seriamente: quale sarebbe la critica che traspare nel pur molto apprezzato episodio Demone 79? Perché non ne vedo mezza, né tecnologica, né umana, né nulla. Una storia dietro la quale alcuni hanno voluto cogliere la messa in scena di una malattia mentale, altri un racconto intrigante. Per me, semplicemente nulla a che vedere con Black Mirror. E Mazey Day? Ma seriamente i licantropi? E alla fine, caro Charlie, pensi di cavartela piazzandoci una sequenza in cui si scatta la foto al morto e farci credere che tutto l’episodio sia una critica alla morbosità dei media di fronte a fatti di cronaca nera? Non scherziamo.
Ma quello che più mi ha mandato in bestia è stato Loch Henry. Per carità, un bel raccontino, quasi avvincente ma che cosa dovrebbe avere a che fare con Black Mirror? La storia di due amici che finiscono per scoprire una verità sepolta da anni: sembra la trama di un buon thriller e difatti Loch Henry non è niente più di questo. Joan è terribile, la 6×01, ha almeno un barlume di autocritica, seppur totalmente sconclusionata: la forza di Black Mirror era stata quella di mettere in scena distopie credibili seppur esasperate volutamente. Qui non c’è nulla di credibile o di profondo nell’idea di vendere inconsapevolmente i diritti della propria vita a Netflix. Più che Black Mirror questa è la parodia di Black Mirror. E allora, Mr. Charlie Brooker, ho un’altra domanda per te:
Ma non hai nostalgia di quello che è stato Black Mirror?
Hai perso completamente quel gusto per sferzare la società attuale, per cavarne gli aspetti di più fastidiosa ipocrisia, per mettere alla berlina i difetti tutti moderni della cultura occidentale? Oppure dobbiamo pensare che la tua vena si sia esaurita? Che qualche geniale sceneggiatore che ti affiancava non ci sia più o… Che altro? Illazioni, certo, dubbi e confusione di un fan preoccupato e arrabbiato, che non si capacita di come sia possibile essere arrivati a questo punto, essere scesi a tanto, aver snaturato così un prodotto che rappresentava uno dei fiori all’occhiello della serialità.
L’errore forse è stato mio, nostro, nell’affidarci a una serie tv, nell’affidarci a qualcuno di cui non sapevamo quasi nulla e continuiamo a sapere poco. Ma forse ci avevi voluto avvisare, un indizio di come stanno realmente le cose ce lo hai dato, sì, qualche tempo fa. Lo hai inserito tra le pieghe del tuo successo più grande, di quel Black Mirror che forse sentivi scivolarti via dalle mani senza possibilità di tornare sui tuoi passi. Nella 5×02, Smithereens, quel Billy Bauer, uomo copertina di una società che non controlla più, che nel finire di episodio può solo chiudere gli occhi, rassegnato complice di un mondo che non riesce (e non vuole realmente) cambiare sembri tanto tu.
Forse è tutto qui, e ancora una volta le esigenze commerciali hanno avuto la meglio sul resto, rimasticando un prodotto di qualità a uso e consumo della massa. In fondo Black Mirror si mantiene un ottimo prodotto di intrattenimento, Netflix ne è ben lieta, l’autocritica in Joan è terribile fa buon gioco e Charlie Brooker ha solo visto migliorare il suo status e il successo, passando da una nicchia di appassionati che guardavano Channel 4 al pubblico globale che si gusta un episodio sgranocchiando pop corn. Che c’è di male? Forse nulla, ma ho un’ultima domanda per te, Charlie Brooker, creatore e sceneggiatore di Black Mirror:
Che ne dici di un ultimo ballo?
Che ne dici di non pensare più per un momento a quello che vuole il pubblico e tornare a essere il nerd che vedeva in Black Mirror l’occasione per mettere alla berlina la società? Proviamo a fare questo salto nel passato, a immergerci di nuovo negli anni d’oro della tua produzione geniale. Facci ricredere tutti. E al diavolo gli interessi commerciali, il vasto pubblico, le richieste della rete (quelle si possono sempre piegare se il prodotto funziona, come ha insegnato Zerocalcare). Torniamo al Black Mirror nudo e crudo, almeno per un episodio, per un attimo soltanto e poi via, se non funzionasse, che lo spettacolo vada avanti a sci-fi, gialli scandinavi e vintage.
Ma forse – forse! – l’ispirazione è ormai finita e quello che avevi da dire lo hai già detto. Si può scrivere un grande romanzo e poi semplicemente non avere più nulla da comunicare. Succede. Allora sì, meglio mungere la vacca finché fa il latte anche se rimane il nostalgico dispiacere per quello che Black Mirror è stato e non è più. Il passato, comunque, non si cancella e nessuno potrà toglierci quelle prime due straordinarie stagioni di una serie che ci ha fatto interrogare sulla società in cui viviamo e soprattutto su noi stessi. E per questo ti ringrazio, Charlie Brooker.