Attenzione: evitate la lettura se non volete imbattervi in spoiler sull’episodio “White Christmas” di Black Mirror.
Ah, il bianco. Il colore della purezza e dei nuovi da capitoli da scrivere. Ma anche delle incognite e del vuoto. Del buio che si traveste attraverso un’ingannevole luce accecante. Del Natale, sì. Ma in che senso? La neve e l’oblio, i sogni ancestrali di un bambino ma anche l’incubo della disillusione e del distacco dal mondo e dall’umanità stessa. Nel senso di Black Mirror, il bianco assume una nuova inquietante dimensione. E si disvela attraverso i lustrini del Natale per dipingere una storia orrorifica. All’interno di una delle migliori pagine delle serie tv negli ultimi dieci anni.
Il riferimento, ovviamente, è a White Christmas, episodio speciale di Black Mirror scritto da Charlie Brooker e andato in onda per la prima volta nel 2014 su Channel 4.
Un episodio spartiacque, da molti punti di vista. Arrivò, infatti, dopo un anno di silenzio della serie, a cui seguì un clamoroso trasloco. Dalla tv lineare britannica, infatti, Black Mirror si trasferì su Netflix, portando a un cambio di network che mutò a fondo la natura della serie stessa. Il passaggio arrivò dopo alcune divergenze tra Brooker, autore della serie, e l’emittente che aveva ospitato le prime due stagioni: secondo quanto raccontato dallo scrittore, i responsabili di Channel 4 avevano infatti respinto alcuni episodi scritti da Brooker per l’eventuale terza stagione, considerandoli non in linea col concept della serie.
Risultato? Black Mirror, dopo due cicli d’episodi epocali che hanno segnato a fondo la storia recente delle serie tv, salutò la tv tradizionale con uno special memorabile. Ritenuto, da molti critici, il migliore in assoluto della serie tv.
Da altri, tuttavia, è ritenuto anche l’ultimo “vero” episodio di Black Mirror, vista l’evoluzione radicale vissuta dalla serie antologica nelle annate successive. Un’evoluzione che molti ritengono in realtà un’involuzione, anche se ci sarebbe da discutere parecchio a riguardo.
Quel che è certo è che Black Mirror, da quel momento in poi, non sarebbe più stata la stessa. Il tempo, d’altronde, scorre per tutti, e la natura visionaria della serie, fortemente incentrata sulle derive dell’umanità connesse a un utilizzo tossico della tecnologia, si è scontrata con una realtà divenuta ancora più grottesca della fantasia. Una fantasia convertitasi in mera attualità, vanificando così ogni tentativo di leggere il presente con le chiavi di un futuro distopico: la distopia è adesso, spezzando il senso della narrazione stessa.
Al di là delle prospettive, una cosa è certa: piaccia o non piaccia la piega che ha preso Black Mirror dalla terza stagione in poi, sempre meno integrata al suo spirito originario e sempre più sfuggente alle catalogazioni più ortodosse dei fan della prima ora, un capitolo importante si è chiuso con White Christmas. Per molti versi, lo special è un canto del cigno della “vera” Black Mirror, lasciando in eredità una lucida e spietata analisi dell’evoluzione dell’uomo al tempo dei social media.
Ma di cosa parla, lo special natalizio sui generis di Black Mirror?
Sarebbe riduttivo (se non persino inutile) evocare nei dettagli la trama di una puntata che con ogni probabilità avete visto tutti voi. Inutile, allo stesso tempo, rimarcare le straordinarie interpretazioni di Jon Hamm e di un ispiratissimo cast, messosi al servizio con grandissima intensità di un racconto dalle sfumature uniche. Più importante, invece evocare i temi cardine della puntata, specie se lo facciamo a distanza di dieci anni dal suo avvento.
White Christmas, infatti, mette in scena con coinvolgente spietatezza la solitudine del genere umano, abbandonato alla mestizia dell’incomunicabilità nel paradosso peggiore dell’era dell’ultra-comunicazione.
Essere sempre connessi col prossimo ha finito per generare un corto circuito nel quale siamo diventati attori di una farsa rappresentata su uno scenario virtuale. Un riflesso di noi stessi, fatto a immagine e somiglianza per assecondare istinti vacui e una paura del prossimo dirompente. Black Mirror, attraverso White Christmas, ci presenta un mondo in disordine che porta alla deriva anche le anime più buone
Siamo nello scenario della post-verità, in cui è sempre più difficile e sempre meno importante (per i più) distinguere la realtà dalla fantasia. Una narrazione collettiva che sfocia in una recita drammatica, tra gli spettri di una crisi di coscienza globale, lo smarrimento del vero senso dell’essere umani e una ritualizzazione di interazioni sempre più asettiche. Viviamo in un loop: ogni variabile è annichilita dalla necessità di andare avanti in un posto sicuro che poi, sicuro, non è.
Ovviamente, si esagera. SI esagera, ma non troppo: compito di Black Mirror, d’altronde, è quello di deformare i tratti della realtà senza distorcerli. Portarli all’estremo per riportarci alla natura più grottesca del mondo in cui viviamo.
Si presenta, allora, un rapporto distopico con la tecnologia che si attualizza con la prospettiva odierna, capovolgendo l’ordine degli addendi per arrivare alla medesima deriva: dai social network che si appropriano degli stilemi del mondo reale si arriva a dinamiche reali ricalcate sui tratti dei social network. Le distanze tra gli uomini sono amplificate da rituali convenzionali e svuotate della loro essenza.
Il ghosting, allora, assume una dimensione concreta anche al di fuori delle piattaforme virtuali, al pari con la tendenza al blocking per gli indesiderati. In una sfera in cui si crea una barriera tra due soggetti, la comunicazione non è più la risposta. Una soluzione, a tossicità che rischiano di essere fortemente dannose. Ma anche un muro innalzato per tutelare e alimentare un senso di solitudine che trova nel silenzio l’unica risposta possibile: si disvela, così, uno scenario alienante che ci allontana da qualsivoglia senso di comunità.
Non è tutto: lo scenario distopico di White Christmas si riconosce nella realtà che stiamo vivendo oggi anche da altri punti di vista.
Per esempio, nei dibattiti etici e morali che accompagnano e accompagneranno il nostro rapporto con l’intelligenza artificiale. Mentre dieci anni fa sembrava sarcastica l’idea di “parlare con un tostapane”, oggi è parte della nostra quotidianità. E come tale andrà vissuta, tenendo sempre d’occhio quelle che potrebbero essere le conseguenze degenerative di uno strumento prezioso che rischierà sempre di finire nelle mani sbagliate.
Black Mirror mette in scena l’alienazione del genere umano con la massima espressione di White Christmas, dando il là alla subordinazione delle voci interiori in nome dell’efficienza e dell’ottimizzazione. Un’ottimizzazione che sfocia nell’automazione più brutale, spogliandoci di fronte al senso più profondo del posto che occupiamo.
Non solo è utile, di conseguenza, rileggere White Christmas a dieci anni dalla prima messa in onda: è persino indispensabile. Perché racconta con innata onestà chi siamo diventati e dove siamo arrivati.
Tutto ciò fa di questo special natalizio un passaggio irrinunciabile per gli appassionati di Black Mirror e in generale delle serie tv. E ne fa, parallelamente, il punto d’arrivo di un’opera che da lì in poi si è dovuta confrontare con una realtà che ha eguagliato e superato la fantasia, svilendone il potenziale distopico. Resta, così, un esempio lineare che ha fatto la storia. Ma anche il canto del cigno di un’opera che in qualche modo è divenuta obsoleta. Analizzare il futuro per interpretare la realtà non è più necessario, almeno con gli strumenti di Black Mirror. Che si ritrova, oggi, a “inseguire” la realtà con chiavi differenti, poggiando le basi su una narrativa alternativa e talvolta ancora valida (pure nella criticatissima sesta stagione).
Fino a ritrovarci immersi nel nero di uno specchio che riflette ancora le nostre storture, portandoci nel buio e nel vuoto di un’umanità deragliata dai binari maestri. Un nero che si unisce al bianco della neve, nel bel mezzo di una baia isolata dal resto del mondo. Laddove le parole non servono più, restano le azioni meccaniche e il vuoto. Una simulazione, tragica. E l’idea radicata che non si abbia più idea di come ripartire da qui. Dieci anni dopo, Black Mirror siamo diventati noi. Noi, come non mai.
Antonio Casu