Quanto spesso vi capita, oggi come oggi, di attendere con vera trepidazione la nuova stagione di una serie tv? Sembrerà strano, dato che in questo preciso istante sono qui proprio a scrivere di serialità, ma a me succede molto raramente. Rettifico, troppo raramente. Intendiamoci, con questo non sto dicendo che non ci siano serie tv che mi appassionano, che non vedo l’ora di rivedere e delle quali aspetto i nuovi sviluppi. Quello che intendo dire è che troppo spesso lo faccio con un interesse che non è una vera e propria emozione. Non che io pretenda di sentirmi sempre come una bambina a Natale. Eppure, di provare qualcosa di simile a quello che ho già provato con le serie della mia infanzia e gioventù quello sì, lo pretendo. Per fortuna però ci sono eccezioni che confermano questa regola, e una di queste è Black Mirror.
Come per buona parte delle serie tv che mi sono entrate nel cuore senza più uscirne, io con Black Mirror sono arrivata tremendamente in ritardo. Mi è successo con The Walking Dead, con Glee e poi ancora con Stranger Things e con Fleabag, solo per ricordare gli esempi più illustri. Niente di nuovo, dirà chi mi conosce. Ma in questo caso essere arrivata in ritardo significa anche essermi persa un pezzettino della preziosa inconsapevolezza provata dagli spettatori della prima ora. Io ho cominciato a guardarla nel 2019, con quattro stagioni all’attivo e la quinta in uscita. E, tra l’altro, con più voci che mi urlavano: “Ma come è possibile che tu non l’abbia ancora guardata?”. Queste voci avevano ragione, ma ormai per affrontare la scena del primo Ministro e del maiale senza averne un’idea era troppo tardi. Per molte altre emozioni forti, per fortuna, no.
Black Mirror ha dalla sua parte elementi che fusi insieme possono dare vita a un vero capolavoro.
Innanzitutto, e forse anche questo potrà sembrare strano, il fatto che sia una serie antologica secondo me è un grande punto a suo favore. Con ogni episodio indipendente dall’altro, Black Mirror è una serie fruibile seguendo i personalissimi tempi dello spettatore, diventando quindi per ognuno la risposta ai propri bisogni. Vivo di binge watching e non mi sento soddisfatto se non finisco una stagione in massimo 48 ore? Posso guardare tutti i nuovi episodi in un giorno. Ho bisogno dei miei tempi per metabolizzare ciò che guardo? Posso fruire di un episodio alla volta. Non ho tempo neanche per guardarmi allo specchio la mattina? Posso scegliere un episodio all’anno senza dovermi preoccupare di perdere il filo della narrazione.
E poi – situazione bonus – sono uno spettatore attento, preciso e magari del segno della Vergine? Trovare connessioni tra gli episodi come quelle di cui è impregnato Black Museum, l’episodio 4×06, dà una soddisfazione che nemmeno sto qui a descrivere, perché non ci riuscirei. Ma essere la risposta a ogni tipo di bisogno nell’ambito della fruizione seriale non è abbastanza. Perché se è vero che poter guardare una serie quando e come preferisco è quasi garanzia matematica del fatto che prima o poi comincerò a guardarla, nulla da questo punto di vista mi impone di andare oltre il primo episodio. La fruizione è importante, ma è il contenuto a fare la differenza. Sono le tematiche e il modo in cui queste vengono trattate a determinare il successo quello vero. E il contenuto in questione non ha nulla da invidiare a quello dei grandi capolavori della serialità.
Black Mirror sa guardare al domani per raccontare l’oggi.
Scegliere di raccontare il progresso tecnologico e tutte le degenerazioni che possono ipoteticamente (e realisticamente) conseguirne è un’arma a doppio taglio. Un’arma che però la serie prende decisamente dal manico, senza mai ferirsi almeno per buona parte delle stagioni. La questione è semplice. Se da un lato si tratta di un argomento di estremo interesse e dalle infinite possibilità, dall’altro bisogna considerare che tante cose sono già state fatte, dette e scritte a riguardo. Si parla talmente tanto del ruolo della tecnologia nelle nostre vite, di quanto siamo assuefatti al suo utilizzo e di quanto il progresso possa essere per noi anche nocivo da rendere difficile creare una narrazione a riguardo che non sia banale.
Non è scontato riuscire a raccontare storie che ci diano davvero qualcosa in più, che ci permettano di riflettere su aspetti nuovi di qualcosa che ci è già stato detto. L’uso dei social, la conquista dello spazio, la clonazione e la vita dopo la morte, l’uso degli strumenti punitivi, la spettacolarizzazione della politica sono solo alcuni degli argomenti che la serie ha scelto di trattare, e dei quali ha parlato senza (quasi) mai cadere nello scontato, nel già sentito e nel già visto.
Come? Riuscendo a guardare al futuro e a intercettare le esigenze (e finte tali) del presente in un momento specifico: quello in cui se ne è già parlato ma non ancora troppo, e in cui le si guarda ancora in modo futuribile. Sono le esigenze che non ci hanno ancora saturato e che ancora ci preoccupano. Sono quelle che ci portano a pensare che la degenerazione in questione possa davvero accadere. E anche, forse, che dovremmo temerla.
Il tempismo che la serie ha avuto è stato spesso surreale.
Perennemente munita di un binocolo dalle lenti deformate, Black Mirror ha in più di un’occasione raccontato esattamente ciò che avevamo bisogno (e paura) di ascoltare. Ci ha messo di fronte a mondi inquietanti nati solo sulla base delle nostre reali o per lo meno realistiche scelte, ce li ha fatti vivere dall’interno. E ognuna di queste puntate si è rivelata una sorta di sogno a occhi aperti dal quale per fortuna ci siamo svegliati, ma che non è detto non possa mai realizzarsi. Questo, però, nella maggior parte dei casi ma non sempre. Perché anche una serie come questa, capace di anticipare se stessa al momento giusto, ha preso le sue belle cadute, e si è fatta anche piuttosto male. Emblematica da questo punto di vista è stata la quinta stagione, senza ombra di dubbio la più criticata delle sei attualmente prodotte.
Tre episodi che hanno guardato al presente e al futuro in modo frettoloso, tralasciando il realismo e l’esigenza narrativa che prima mai erano mancati. Striking Vipers, Smithereens e Rachel, Jack e Ashley Too sono i tre episodi che forse nell’intera serie hanno convinto meno, privi di un vero centro e della già citata capacità di trattare gli argomenti dicendo qualcosa in più. Sono i tre episodi che ci hanno fatto seriamente pensare che Black Mirror fosse definitivamente finita. Nessuna sorpresa, nessuna sana ansietta, niente più “Oddio, è tutto assurdo ma nemmeno poi così tanto”. Eppure la serie è riuscita almeno in parte a rinascere dalle sue ceneri, con una sesta stagione per la quale abbiamo atteso troppi anni ma che ci ha anche permesso di tirare un sospiro di sollievo.
E adesso? Adesso viene il bello.
In un mondo in cui la tecnologia, lo sviluppo e il progresso vanno molto più veloci di quanto riusciamo a metabolizzare, la nuova stagione di Black Mirror è attesa più che mai. Ed è così sia per capire se la serie sta davvero vivendo un trend ascendente simile a quello delle origini, sia per scoprire dove la genialità degli autori ci porterà. Io scommetterei su qualcosa di connesso alla quotidianità di utilizzo dell’intelligenza artificiale, ma chissà. Di certo si sa che ci saranno sei nuove puntate, sei nuove storie delle quali una è – per la prima volta nella serie – il sequel di un episodio della quarta stagione.
Ansia ne abbiamo? Certo che sì. Ma abbiamo anche la consapevolezza che se c’è una serie che può farcela a recuperare il terreno perso, questa serie è Black Mirror. Con la semplicità, la genialità e il tempismo che abbiamo già visto e che la serie ha tutte le carte in regola per mostrarci ancora. Camminando verso il futuro senza correre, perché tanto a farlo ci pensa già la realtà.