I tratti angoscianti e tetri di un realtà tecnologica, sicuramente enfatizzata, ma prossima al nostro presente, si manifestano di nuovo con agghiacciante prepotenza in questo episodio di Black Mirror. Arkangel non è solo il nome della puntata, è un insieme di domande che l’episodio rivolge allo spettatore per tutta la sua durata. L’apparente sicurezza d’animo e la paura sono elementi portanti di una storia che mette al suo centro la naturale e primordiale protezione materna verso una figlia. Un’occasione che poteva brillare di luce propria ma che non è stata in grado di prendere una giusta forma, rendendo il prodotto sterile e fortemente ingombrante. Partiamo però dall’inizio.
Parliamo di una madre Marie e di sua figlia, Sara. All’età di tre anni, durante un piacevole pomeriggio al parco giochi, la bimba per inseguire un gatto randagio, sfuggirà agli occhi della madre. Marie impiegherà le ore successive a cercare Sara in preda a un’incontrollata disperazione e un innato terrore. A seguito di questo traumatico evento non si riprenderà più.
La paura di non poter controllare e tenere sotto controllo la figlia in qualsiasi momento la indurrà a prendere una delle scelte più angoscianti e fortemente sbagliate del racconto.
Arkangel è il nome di un programma sperimentale di una futuristica e indefinita azienda, attraverso il quale Marie può controllare i movimenti di sua figlia e monitorarli. Quest’ultima sarà quindi la cavia sperimentale del progetto, dall’età dei suoi tre anni fino alla sua adolescenza. Il programma però ha anche altre particolari funzioni che non si limitano a un singolo GPS dell’individuo. Tali funzioni permettono di vedere la realtà in tempo reale attraverso i suoi occhi. Come se ciò non bastasse, Arkangel è in grado anche di censurare le scene di violenza, di dolore o sofferenza che la bambina può vedere in qualsiasi momento della sua giornata.
Già il nome del programma “Arkangel” induce lessicalmente lo spettatore a pensare ad “archangel”. Ovvero a una protezione, una sicurezza, un’apparente tranquillità. Gli angeli sono creature positive che ci proteggono in qualsiasi momento a nostra insaputa. Sono sempre accanto a noi e spesso rappresentano persone a noi care che ci hanno amato.
Gli angeli sono ben diversi dai demoni.
Essi rappresentano delle figure negative, ovvero l’altra faccia della medaglia. Ma non sempre è stato così. Gli angeli e i demoni non sono mai stati due figure così nettamente distinte, fin dall’antichità. I demoni stessi prima del cristianesimo erano considerati come creature positive in molti culti pagani. Proprio come nella vita terrena anche nell’ultraterreno non esiste una netta distinzione, nello stesso cristianesimo i diavoli non sono altro che angeli caduti. Dov’è allora la linea di demarcazione tra angeli e demoni?
Ed è proprio su questa domanda che si erge il colosso narrativo dell’episodio. La paura quando si impossessa di noi può trasformarci in qualcosa di terribile che è in grado di renderci ciechi. In questo caso una madre nei confronti di sua figlia la quale, convinta di essere un angelo, agirà negativamente attraverso il più subdolo dei mali: l’irresponsabilità. Il programma Arkangel verrà chiuso e sarà dichiarato illegale in vari paesi, a causa del fatto che la sperimentazione non ha portato ad esiti positivi. Tale avvenimento accadrà quando Sara è ancora una bambina e la madre non si curerà minimamente dell’accaduto. Continuerà a usare questo terrificante programma solo perché non riesce davvero a essere una madre e l’unica cosa che governa le sue azioni è la paura.
“Il fatto è che io ho duemila anni e ricordo bene quando aprivamo la porta di casa e lasciavamo i bambini liberi”
Siamo ancora nei primi minuti di Arkangel ed il padre di Marie avverte oltre che noi, sua figlia, del pericolo di questa scelta. Dietro questa semplice frase si nasconde la preoccupazione e il sentore di un pericolo nei riguardi di un esperimento che distrugge la natura stessa delle cose. Un esperimento frutto del futuro e non del suo passato. Un passato pilotato dalle stesse leggi che hanno permesso di arrivare alla contemporaneità. Essenziale nella sua semplicità, il vero angelo di questa storia è proprio il padre di Marie che velatamente ci anticipa il nefasto epilogo di del racconto.
Siamo quindi arrivati al punto. Cosa esattamente non ha funzionato in Arkangel?
Un episodio che poteva essere davvero un’idea di grande successo se sfruttata con più ricercatezza e se realizzato con meno superficialità e più concretezza di trama. Di base poteva essere “il più Black Mirror” di tutta la quarta stagione, ma si è letteralmente perso per strada. Per tutta la sua durata non ci viene raccontato nulla che lo spettatore non capisca dai primi minuti della visione. Arkangel oltre ad essere tremendamente prevedibile non vuole assolutamente focalizzare il tema su questioni psicologiche più profonde. Questioni che avrebbero dato sicuramente più forma al contenuto. I personaggi sono trattati come vuoti contenitori che ben poco ci raccontano sulle motivazioni delle loro scelte. Parliamo quindi di personaggi semplici, che agiscono solo in base al concetto di azione/reazione senza porsi una domanda.
La censura in Arkangel è mostrata allo spettatore come un insieme di pixel su tutto ciò che crea agitazione nella bambina o preoccupazione nella madre. Sarà presente praticamente su ogni cosa, anche la più insignificante, come un semplice cane che abbia, rivelando così un’irresponsabilità inquietante della madre. Il problema non è davvero Arkangel e neanche i suoi effetti collaterali. Il problema vero che sorge agli occhi di chi guarda è la madre che agisce solo come una folle pilotata dalla paura, senza curarsi di fare nient’altro per la figlia o cercare di proteggerla in altri modi.
Lo scopo di demonizzare Arkangel è andato completamente in frantumi, distruggendo nei fatti solo Marie, sia agli occhi dello spettatore che della figlia stessa. Difatti verso la conclusione, Marie verrà picchiata a sangue dalla figlia ormai adolescente. Una figlia che non sopporta più di avere un controllo così maniacale e malato da parte di sua madre.
Una madre che di fatto le ha distrutto la vita.
Marie non è solo una figura semplice ma è dipinta anche come lo stereotipo del fallimento. Non accetta di esserlo e accusa gli altri della propria irresponsabilità e incapacità di essere una figura materna. In Arkangel sarà sempre colpa degli altri e mai sua. La colpa sarà del mondo cattivo e pericoloso il giorno in cui perderà di vista sua figlia. In seguito del fidanzato della figlia, il quale si prenderà con amore la sua verginità, una cosa normalissima per una ragazza adolescente.
Sempre colpa del fidanzato se Sara deciderà di utilizzare una droga, sebbene quest’ultimo fosse contrario. Sarà proprio la droga la causa finale che farà impazzire di rabbia Marie. A causa di ciò diverrà una furia con lo scapestrato ragazzo vietandogli di frequentare la figlia. Questo perché Sara non ha colpe, per sua madre è immacolata, innocente e pura, sono gli altri a deviarla nel suo cammino di vita.
In Arkangel non esistono colpi di scena, scorre tutto piatto e lineare.
Compreso il finale nel quale Sara fugge di casa, ferma un camion e si dirige verso una meta sconosciuta. Un finale aperto che in un prodotto ben riuscito poteva avere il suo effetto. In questo caso contribuisce a rendere l’episodio incompleto e privo di una reale riflessione. In conclusione la sceneggiatura, con ben poca caratterizzazione dei personaggi e la superficialità nell’affrontare il tema rendono l’episodio ingombrante e sterile. Una maledetta occasione sprecata in una quarta stagione con episodi nettamente migliori.