Sfido chiunque a guardare Black Mirror riuscendo a rimanere indifferenti. Ogni episodio è un trauma, un pugno allo stomaco, un dopo sbronza allucinante. Dite che esagero? Pensateci un attimo. Il giorno dopo una sbronza, solitamente, si presenta con alcuni sintomi in particolare: mal di testa, spossatezza ma soprattutto sensi di colpa. Infatti ci chiediamo: “Ma come, ho quasi 30 anni, perché ho ancora bisogno di devastarmi? Che problemi ho?”. Oppure: “Sono proprio un idiota, adesso mi ci vorranno almeno due giorni per riprendermi!”
Black Mirror sortisce gli stessi effetti.
Sapevamo a cosa andavamo incontro tutte le volte che abbiamo iniziato un episodio, sapevamo che sarebbe stata una nuova pugnalata, ma non abbiamo comunque resistito: il bottone play lo abbiamo premuto lo stesso. Esattamente come quando beviamo quell’ennesimo bicchiere di un qualsiasi tipo di brodaglia alcolica. Sappiamo che sarà letale, perché sarà quello che ci farà stare malissimo, ma non ne vogliamo fare a meno. Perché è la nostra serata libera, vogliamo lasciarci andare.
Ricordo perfettamente di aver guardato ogni episodio di Black Mirror con lo stesso identico terrore. Cosa mi riserva questo episodio? Morti ammazzati, stupri, crocifissioni, Godzilla che distrugge il mondo intero? La maggior parte delle volte le mie paure erano fondate. Infatti dopo un’andatura abbastanza costante, negli ultimi dieci minuti la storia raccontata subiva un picco clamoroso e i colpi di scena si rivelavano mozzafiato. Oggi voglio parlare di quell’episodio che, a mio parere personale, ha surclassato tutti gli altri sul piano emotivo e personale. Oggi parliamo di un hangover paradossalmente delicato ma allo stesso tempo dilaniante.
Si tratta del primo episodio della seconda stagione, Be Right Back. I personaggi che sostengono la storia sono pochissimi, e lo fanno in maniera magistrale. I protagonisti Martha Powell e Ash Starmer sono due ragazzi sulla trentina prossimi a una convivenza. Ci viene presentata una coppia normalissima che potrebbe facilmente far parte della nostra società odierna.
C’è un particolare non scontato, però, che notiamo subito: i due indubbiamente si amano.
La canzone che cantano a squarciagola in macchina e la condivisione di Ash del suo ricordo d’infanzia sono segnali di un rapporto di affetto vero. Ed è proprio qui che Black Mirror ci bastona, rivelando immediatamente la sua anima pessimista e crudele. Non c’è scampo a ciò che sta per accadere, Ash muore. E tutto fa presagire che sia morto per via della sua ossessione: il cellulare. La sequenza in cui Martha si rende conto che è successo qualcosa di tragico, risulta fin troppo familiare a chi ha subito una perdita. E per lo stesso motivo anche la manifestazione del suo dolore ci piega in due.
Culminante è ciò che avviene al funerale di Ash: l’insistenza di un’amica di Martha nel proporle una soluzione ancora misteriosa che potrebbe aiutarla a farle superare il lutto, fa urlare di esasperazione la nostra protagonista. Ma allo stesso tempo si insinua comunque la curiosità verso ciò che le è stato appena proposto. La sua amica Sarah, invadente come pochi, iscrive Martha a una novità tecnologica che permette alle persone di poter parlare, attraverso la chat o telefonicamente, con i propri cari deceduti.
Martha ovviamente le urla addosso quanto questa soluzione non sia altro che un metodo malato e aberrante. Passa un po’ di tempo e la nostra protagonista scopre di essere incinta. La disperazione sale alle stelle, e noi soffriamo insieme a lei. Il dolore della perdita si unisce a quello di dover portare in grembo un figlio già destinato a non avere un padre. Martha sa che dovrà crescere un bambino che non potrà mai conoscere l’uomo che gli ha dato la vita.
Questa rappresenta la goccia che fa traboccare il vaso.
La protagonista cede e inizia a parlare al telefono con Ash, o perlomeno con una riproduzione della sua voce. Tutto ciò che dice è riprodotto grazie al mondo social che il ragazzo si era costruito attorno. Dopo qualche giorno, Martha si rende conto che non le basta più ascoltare la voce del suo amato perduto, e scopre che c’è la possibilità di ottenere una copia del corpo di Ash.
A questo punto vi chiederete, da cosa dovrebbero essere causati i sensi di colpa di cui parlavo in precedenza? Martha è stata e rimane una vittima dei casi della vita. Ovviamente non ha mai voluto la morte di Ash, non l’ha cercata e non meritava di venire privata dell’amore della sua vita. Ebbene, il senso di colpa della donna deriva dalla sua mancata accettazione della situazione. Non ha voluto tutto ciò che le accade, ma non riesce nemmeno ad attraversare il suo dolore fino a superarlo.
Chiunque può identificarsi con Martha, chiunque si comporterebbe esattamente come ha fatto lei.
Il finale non è scioccante, non ci lascia a bocca aperta (rispetto ai finali canonici a cui Black Mirror ci ha abituati) ma ci mette davanti a una realtà avvilente. Non siamo in grado di affrontare le situazioni irrisolte della nostra esistenza, quindi tutto ciò che sappiamo fare è confinare le nostre debolezze in soffitta. La nostra protagonista sceglie di mettere da parte il dolore per sopravvivere senza mai andare avanti. Anche se è perfettamente consapevole del fatto che un corpo sintetico non potrà mai sostituire il suo ragazzo, pregi e difetti inclusi, Martha non riesce a dirgli addio confinandolo quindi nel suo subconscio.
Black Mirror sa dove colpire e, quando lo fa, tocca emozioni e sensazioni che ci siamo abituati a evitare per sopravvivere. Questa serie, oltre a sferrare una forte critica nei confronti del dilagante progresso tecnologico, sa anche come metterci a nudo e farci sentire deboli e indifesi. Porta continuamente alla luce le nostre debolezze senza farsi scrupoli e senza mostrare nessuna pietà nei nostri confronti.