La maggior parte di voi sta leggendo il presente articolo dal proprio smartphone. Questo oggetto, tanto piccolo quanto potente, ha indubbiamente cambiato il nostro modo di vivere. Il suo utilizzo ha infatti semplificato molti aspetti della vita quotidiana. Quanto è facile controllare gli orari del treno? Quanto è rapido inviare un’e-mail? Se da un lato il nostro stare al mondo è migliorato, dall’altro abbiamo sviluppato una certa tendenza a trattare questa semplicità di utilizzo con elevata ingenuità. La spensieratezza con cui l’uomo moderno si muove nei confronti della tecnologia viene ampliata dal fatto che spesso non vengono prese in considerazione le conseguenze delle proprie azioni. Black Mirror ci propone una riflessione intensa su questo argomento così attuale durante la visione di Odio universale.
L’episodio si presenta come un film poliziesco in cui una detective (Karin) e la sua stagista (Blue) devono risolvere dei misteriosi omicidi, le cui vittime sono persone odiate dal pubblico di massa. L’episodio segue le fasi tradizionali di un’indagine: la raccolta di prove, le interviste ai sospettati, le autopsie. Sono proprio quest’ultime a mostrare l’inevitabile verità nascosta: a compiere gli omicidi sono delle api robot e le vittime non sono casuali.
Sono due fatti realmente accaduti ad aver ispirato la scrittura di Odio universale: la triste vicenda che ha coinvolto Justine Sacco e la creazione delle RoboBee.
È il 20 dicembre 2013 e Justine Sacco, che si occupa di pubbliche relazioni alla InterActiveCorp, sta per prendere un aereo per il Sudafrica. Prima di partire scrive su Twitter: “Going to Africa. Hope I don’t get AIDS. Just kidding. I’m white!” (“Verso l’Africa. Spero di non prendere l’AIDS. Scherzo. Sono bianca!”). Durante le 11 ore di volo la Sacco ha tranquillamente dormito e al suo risveglio si è trovata in una bufera mediatica. Il suo tweet le è costato il posto di lavoro e scusarsi non è servito a nulla (secondo quanto dichiarato in seguito, l’intento era quello di ridicolizzare le persone che giocavano con i classici stereotipi sul Sudafrica). Il popolo di Twitter ha fatto sì che le sue parole diventassero il trending topic del momento, manifestando un odio universale nei suoi confronti.
Proprio come nell’episodio di Black Mirror, sono gli utenti dei social network a puntare il dito contro una persona e a chiedere che questa venga punita (nella serie ciò avviene attraverso l’hashtag #DeathTo). Odio universale, così facendo, pone la riflessione del pubblico su un tema attuale: l’umiliazione pubblica di utenti attraverso le nuove tecnologie come i social media, una pratica meglio conosciuta come online shaming. E le conseguenze, come abbiamo visto, sono letali.
Nello stesso anno alcuni ricercatori di Harvard hanno creato le RoboBee, dei robot di piccole dimensioni in grado di volare e di vedere attraverso dei sensori visivi. Lo scopo di queste piccole api robot è quello di impollinare artificialmente. Charlie Brooker ha trasformato questi strumenti in un’arma per la violenza online. Nel futuro di Black Mirror, infatti, dei droni a forma di ape vengono hackerati da Garrett Scholes: riesce a controllarli e a indirizzarli verso le persone più odiate su Twitter con l’intento di ucciderle. Attraverso il gioco creato da Scholes, gli utenti di Twitter riescono a soddisfare il bisogno di farsi giustizia da sé, distruggendo i soggetti per cui provano un profondo sentimento di odio in un mondo in cui i politici e la polizia non riescono a contenere i fenomeni descritti nell’episodio.
Il finale di Odio universale ritorce poi tutte queste azioni contro i carnefici stessi.
Le api meccanizzate attaccano tutti gli utenti che hanno contribuito alla diffusione dell’hashtag #DeathTo. I leoni da tastiera che si sono nascosti dietro un piccolo schermo sono le vere vittime del gioco. Il loro odio ha finito per ucciderli e ha dimostrato la loro ingenuità nei confronti delle nuove tecnologie. Le azioni di online shaming hanno delle conseguenze pesanti, che non colpiscono solo chi è sotto accusa.
Sono gli accusanti che finiscono per autodistruggersi, divorati dalle loro azioni senza la possibilità di tornare indietro.
La maschera del carnefice viene indossata anche da Garrett Scholes. Viene scoperto da Blue e l’ultimo frame che ci regala l’episodio vede la stagista seguire l’hacker senza che questo se ne accorga. Il pubblico non vede cosa accade dopo e forse ogni spettatore ha immaginato uno scenario diverso. Ciò che doveva emergere era, ancora una volta, la sconfitta di chi ha tentato ingenuamente di soffocare il proprio sentimento di odio.