Poche settimane fa è apparso su Netflix il primo film di Black Mirror: Bandersnatch. L’episodio – lo si può chiamare così perché è in linea con la serie e ne è parte integrante – ha la particolarità di essere interattivo, quindi consente agli spettatori di guidare le scelte del protagonista. Nonostante questo aspetto innovativo non ha avuto il successo sperato: c’è chi si aspettava qualcosa in più; chi è stato deluso dalla trama e ci sono poi quelli che sono rimasti scontenti a causa della ripetitività dei finali.
Ma come si può rimanere delusi da un film che mostra un ragazzo che viene manipolato da qualcuno, quando questa condizione la stiamo vivendo sulla nostra pelle?
Non serve una laurea in Marketing per sapere che le pubblicità sono pensate per manipolarci, per indirizzarci ad acquistare determinati prodotti. Prima, però, gli spot erano relegati alle riviste o alla tv. Oggi la pubblicità è ovunque, anche dove non ce ne accorgiamo. Pensiamo che una cosa non ci piaccia, ma dopo un po’ veniamo bombardati da così tanti stimoli audiovisivi che, guarda caso, la acquistiamo. Ci viene in mente il leopardato, grande trend di quest’anno, indossato da chi fino a pochi mesi prima affermava di odiarlo. Non accade per ipocrisia, ma siamo totalmente immersi in un tipo di società che pian piano cambiamo idea spontaneamente.
Black Mirror da molti punti di vista rappresenta tutto questo: la perdita del giudizio e dell’indipendenza dell’essere umano (anche senza che se ne renda conto). La serie è uscita nel 2011 e da subito è stata un successo. Con le sue atmosfere inquietanti e le analisi psicologiche di personaggi spesso disturbati, ha spezzato il fiato in gola a tutti i suoi spettatori più e più volte. Questa serie è la perfetta incarnazione del perturbante freudiano, che lo psicanalista chiamava Unheimliche. Il perturbante è un particolare tipo di paura che si sviluppa quando qualcosa (o una persona, un fatto, una situazione) viene percepita come familiare ed estranea allo stesso tempo, causando un’angoscia apparentemente immotivata e una spiacevole sensazione di confusione.
Chi non riconosce Black Mirror in questa definizione?
La serie porta sullo schermo situazioni ambientate in un futuro distopico dove l’essere umano è schiavo della tecnologia, non schiavo come nei film in cui gli androidi decidono di sottomettere la razza umana, ma in quanto dipendente da internet, PC e smartphone. Perché tutto questo ci inquieta così tanto? Perché nel 2019 siamo tutti sulla strada giusta per fare questa fine. Le situazioni, i personaggi, i risvolti catastrofici ci sembrano familiari, e per questo perturbanti, in quanto li riconosciamo nella nostra vita di tutti i giorni.
Nell’episodio Caduta Libera, forse il più vicino a noi, la felicità di Lacie, e il suo stile di vita, deriva dal giudizio degli altri. Quanto siamo lontani da questo stato delle cose? Spesso la nostra autostima dipende dai like. Inoltre, se pensiamo che in base alla nostra popolarità alcuni brand potrebbero inviarci prodotti da sponsorizzare (e quindi portarci a guadagni economici), possiamo affermare che ci stiamo avvicinando alla vita ritratta dal suddetto episodio. Dal numero di seguaci dipende il successo di determinate categorie di persone. Alcuni ci hanno addirittura costruito un mestiere. Riflettendoci è assurdo: come dimostra la 3×01 di Black Mirror, la popolarità è come il vento e può invertire la rotta così com’è arrivata.
Pensiamo anche ad Arkangel, episodio non molto amato ma significativo: quanto poco ci manca dal voler schermare i nostri figli da tutti i mali del mondo? Già possiamo seguire i fidanzati con il GPS del telefono… figuriamoci. Quanto manca dunque per essere sotto controllo 24 ore su 24? Molto poco.
Ed è questo che fa paura di Black Mirror: è uno specchio che riflette gli abissi della società contemporanea.
Come abbiamo visto episodio dopo episodio la tecnologia non è demonizzata: ci sono tanti aspetti positivi (pensiamo al medico in Black Museum che aveva la capacità di alleviare le sofferenze dei malati grazie a un ricevitore impiantato nel cervello) ma, come in tutte le cose, è l’eccesso che porta al fallimento del progresso. Se progredire dal punto di vista meccanico o elettronico porta a una regressione della moralità e dell’etica, bisogna chiedersi se siamo davvero pronti a correre questo rischio.
I personaggi di Black Mirror lo sono, e noi ne osserviamo le conseguenze. Per questo inorridiamo di fronte al protagonista di White Christmas, “bloccato” in modo permanente a causa del suo stato di molestatore. Quanti di noi hanno bloccato qualcuno sui social? Lo avreste reso invisibile nel mondo reale? Di certo non sarebbe facile come farlo online.
Il ragionamento dietro questa serie è un po’ come quel gioco in cui ci si domanda: se per 24 ore si potesse uccidere senza alcuna conseguenza legale, chi uccideresti?
A primo impatto ci verrebbero in mente molti nomi, o sbaglio? Però non è solo la paura di essere arrestati che ci ferma dal compiere un crimine. Ci sono le ripercussioni psicologiche che non sono di poco conto. Black Mirror ci mostra tutto questo: l’uomo che perde il controllo di sé, aiutato dalla tecnologia e che diventa qualcos’altro di meno umano ma più mostruoso.
Perché non si può fare binge-watch di questa serie? Perché è come un pasto completo: va digerita.
Black Mirror ci inquieta e ci intriga allo stesso tempo per un motivo semplice: unisce delle prospettive ignote, che ci fanno paura, a qualcosa di familiare.
Sta a noi tenere gli occhi aperti e riconoscere i segnali dell’inizio della fine.