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Black Mirror: perché San Junipero è una distopia

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La terza stagione di Black Mirror s’è conclusa da qualche mese lasciando critica e fan dell’ultima ora estremamente soddisfatti del rendimento dei sei episodi proposti.

Eppure chi, come il sottoscritto, s’è esaltato e ha incensato di lodi le prime due stagioni, non è rimasto del tutto convinto dalla nuova impronta data alla Serie. Per comprenderne le ragioni è necessario analizzare brevemente cosa rappresenta, o meglio ha rappresentato, Black Mirror nel recente palinsesto televisivo.

Black Mirror è innanzitutto una distopia: meditata, articolata e messa in scena come tale. E una distopia ha l’onere primario di stuzzicare le ferite aperte della società.

Come già evidenziato a proposito di Westworld, l’ambientazione futuristica nel genere distopico non è che un espediente per portare iperbolicamente all’estremo le dissonanze dell’attualità. Il futuro è modellato sui problemi del presente, sull’ingigantirsi delle irrisolte ipocrisie dell’oggi. Sui dibattiti mancati nelle pressanti questioni etiche. E da ultimo sull’uomo e sul suo Cuore di Tenebra. Ossia su quell’orrore primordiale che pare ineludibile nella natura umana (come appare nel goldinghiano Il signore delle mosche).

Black Mirror

Black Mirror nelle prime due stagioni s’è fatto carico di questo ruolo. Ci ha costretto a confrontarci con i pericoli di un mondo dominato da una crescente deriva tecnologica (Ricordi pericolosi; Torna da me); il reflusso dei populismi (Vota Waldo!); il potere dell’opinione pubblica (Messaggio al Primo Ministro); la morbosa ricerca di celebrità (15 milioni di celebrità).

E lo ha fatto attraverso interpreti sempre credibili e una scenografia impeccabile in cui ad ambienti spersonalizzanti si aggiungevano atmosfere noir e disturbanti.

Una scenografia che resiste senza cedimenti pure nella terza stagione.

Tuttavia Black Mirror, nel passaggio a Netflix, si è snaturato. Che sia dovuto a richieste di maggiore fruibilità e necessità di consenso del vasto pubblico è indimostrabile. E il ragionamento inevitabilmente fazioso. Fatto sta però che, a scambiarci uno sguardo dopo la visione dei sei episodi, non ci riconosciamo più pienamente nello specchio rotto di Black Mirror. Uno specchio che ora appare pericolosamente riparato e addobbato di lucine colorate “acchiappa-pubblico”.

La deliberata scelta di dare un taglio particolare a ogni episodio, richiamandosi ora al genere Survival Horror (3×02, Giochi pericolosi), ora al Kitchen-Sink Thriller (3×03, Zitto e balla), ora ai Gialli scandinavi (3×06, Odio universale) rende la terza stagione un ottimo prodotto di intrattenimento. Nello stesso tempo però annulla la profondità di un j’accuse che aveva fatto grande la Serie nelle precedenti stagioni.

A ben guardare infatti, a parte il generico e monotono scagliarsi contro la tecnologia, (3×01, Caduta libera) è difficile ravvisare il caratteristico elemento distopico (qual è il messaggio di Giochi pericolosi?) e l’accorta critica sociale.

San Junipero

A fronte di tre iniziali episodi del tutto sciatti che sanno di ‘già visto’ la seconda parte di stagione riserva comunque un rigurgito del Black Mirror vecchio stile pur sempre però macchiato irrimediabilmente da un tocco estraneo all’atmosfera straniante e stridente del passato.

Tra i tanti, la critica ha esaltato particolarmente San Junipero (una recensione dell’episodio in questo articolo) che per tematiche (sentimentalismo, diritti civili, omosessualità) risulta tanto caro alla piattaforma Netflix (come dimostrano titoli quali Grace and Frankie, You Me Her, RuPaul’s drag race). Tematiche di indubbia presa pubblica.

Praticamente unanime il giudizio su un episodio che parrebbe concludersi con un lieto fine decisamente poco distopico. Ma ne siamo proprio sicuri?

San Junipero racconta la storia di un mondo virtuale che rappresenta una fuga e un rifugio dalla realtà. Una paradisiaca eternità e una vittoria (apparente?) sulla morte. Un luogo in cui l’amore risulta inattaccabile e la malattia ne è esclusa.

In questa dimensione si incontrano e innamorano due ragazze. O almeno tali appaiono. Perché nella realtà sono due persone anziane, una di loro perfino tetraplegica. Quel mondo tutto irreale diviene allora tramite e scampo a una realtà avvilente.

Eppure, c’è un eppure, “la sigaretta non sa di niente”.

In San Junipero c’è un posto: si chiama Quagmire. Per capire di cosa si tratti bisogna ritornare con la mente alle parole di Kelly la notte del suo matrimonio con Yorki.

“Vuoi passare il resto dei tuoi giorni in un luogo in cui niente è realmente importante? E finire come […] tutti quegli inutili, fottuti, idioti al Quagmire che provano di tutto pur di sentire qualcosa?”.

San Junipero non è il mondo reale. È una scappatoia alle brutture della vita. È la distrazione di chi rinuncia a vivere. O di chi, come Yorki, non può farlo pienamente (perché paralizzata).

E non capisce che non può vivere davvero. Niente ha senso. Le sensazioni sono sbaditi riflessi delle emozioni dell’essere davvero vivi.

Non rimane che cercare disperatamente qualcosa di reale nello “sballo”, negli eccessi del Quagmire. Per rendersi disperatamente conto che non esiste nulla di concreto. Per arrendersi all’evidenza che la sigaretta non saprà mai e comunque di niente.

Eppure qualcosa cambia. Qualcosa accade. Kelly cambia idea e decide di consacrarsi a quella “life in plastic”. Tutto per amore. Quell’amore che sembra essere il trait d’union tra le due realtà. Il concreto e vivido sopravvivere dell’unica emozione, perché la più autentica. L’amore trasfuso in un guscio tecnologico (Westworld dice niente?).

Per comprendere a pieno il senso di questo amore forse occorrerebbe vedere Her. Ve lo consiglio vivamente. Molto semplicisticamente parla dell’amore di uno scrittore per un’intelligenza artificiale. Nel corso della narrazione questo amore si trasfonde in qualcosa che non è reale. Che non è fisico. E nella scoperta dell’infinita e immortale natura dell’amore, quell’entità immateriale e senza vita si anima e acquista coscienza di sé perché è “in questo spazio infinito tra le parole che sto trovando me stessa ora”.

Un amore che genera. Che dà vita.

San Junipero è immateriale e senza vita. Eppure in quell’amore reale sembra prender corpo e restituire la speranza di un’eternità.

Abbiamo già in mano i fazzoletti, gli occhi si gonfiano un po’. I titoli di coda prendono avvio con in testa i nomi dei produttori esecutivi. E mentre già stiamo spegnendo tutto sulla scia di Heaven Is A Place In Earth per andarci a comprare gli assorbenti ecco che appare un’immagine nuova.

San Junipero

Siamo nella sede della TCKR System e un robotico braccio meccanico inserisce un chip nel server centrale che riproduce il virtuale mondo di San Junipero. Siamo di fronte a un vero e proprio cimitero in cui sopravvivono le personalità di tutti coloro che hanno scelto di “trasferirsi” in San Junipero.

L’episodio non si chiude sulla gioiosa corsa in macchina delle due ragazze. No. Si chiude sull’immagine di un’immensa distesa di capsule che ci ricorda che alla fine, forse, non c’è altro che l’illusione.

È realmente la coscienza delle persone a essere racchiusa in quel corpo metallico? O non è piuttosto un riflesso computerizzato di quella coscienza? Una sua sbiadita copia?

Per avere un’idea più chiara dobbiamo tornare a quel meraviglioso episodio che è lo speciale di Natale (Bianco Natale): ricordate il cookie? Nel cookie si riproducono, impressi in una memoria artificiale, ricordi, gusti e abitudini del possessore.

Si crea un doppione artificiale di una persona: esso viene schiavizzato e costretto a gestire una ‘smart casa’ in tutte le funzioni domestiche. Dalla sveglia alla cottura dei cibi. Per l’eternità. Ma questa stessa coscienza espiantata è sfruttata anche per far confessare un colpevole. Dal momento che ne possiede tutti i ricordi e sensazioni la sua testimonianza vale quanto una confessione reale.

Nel disturbante e claustrofobico finale assistiamo alla punizione inflitta alla copia dell’uomo costretta ad ascoltare ininterrottamente I wish it could be Christmas everyday per millenni.

È tutto qui il senso di San Junipero e la distopia che porta con sé: siamo proprio sicuri che Kelly e Yorki non siano ormai semplici simulazioni di persone reali?

Black Mirror, il più autentico Black Mirror, non ci dà risposte. Apre solo a scomodi interrogativi. E ci incupisce un po’.

Riponiamo i fazzoletti. Sediamoci pensierosi. San Junipero è una distopia.

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