È un tacchettìo lento quello che accompagna i passi di Long John Silver in Black Sails. Un rumore sordo, meccanico, insidioso. L’incedere incerto di chi per restare aggrappato a questa terra ha bisogno di una gamba di legno. Perché poi, la differenza tra Silver e gli altri sta proprio lì: nel vuoto che va colmato, nei pezzi mancanti che vanno riempiti con qualcos’altro.
In ogni rimbombo del legno sulla terra, dentro ogni passo più lungo e cadenzato degli altri, risuona l’eco di questo assunto: che esistono uomini cui la vita ha amputato delle parti e che sono costretti a costruire sui frammenti di quel che resta.
La prima immagine che Black Sails ci offre di Long John Silver è quella di un qualsiasi vigliacco che fugge per salvarsi la pelle. Un codardo per sua stessa ammissione.
Un marinaio che trema sottocoperta per evitare di combattere.
È così che ci viene presentato uno dei personaggi più emblematici di una delle più belle serie tv che siano mai state prodotte.
Chi è in realtà John Silver nessuno lo sa e, probabilmente, nessuno lo saprà mai, dato che i riferimenti al suo passato vengono costantemente lasciati in ombra (come anche nella sua altra versione). Ma per lui l’avventura con la Walrus inizia, quasi per fatalità, nello stesso momento in cui la sua vecchia vita gli viene strappata dalle mani e una scelta fatale da compiere gli si presenta davanti: annegare o reinventarsi.
Il mio nome è John Silver e si dà il caso che io sia un cuoco eccellente!
Questo è ciò che dice a Gates, il quartiermastro del temibile capitano Flint, quando viene scoperto accanto al cadavere di un uomo più grosso e meno scaltro di lui.
Ma il sorriso accorto e sottile che accompagna queste parole racconta tutta un’altra storia. Una storia che pian piano, dalle torbide acque di una Nassau sempre in guerra, porterà a galla la leggenda.
Da John “il cuoco di bordo” a Long John “il terrore dei pirati”, in effetti, il passo non è affatto breve. Al contrario, è un sentiero lunghissimo e John lo attraversa con la stessa difficoltà di uno storpio. Superando tutta la sofferenza, il travaglio, gli affanni e tutte le cicatrici che, alla fine, lo hanno reso ciò che è.
E, di certo, il ladruncolo che nella prima stagione sottrae la rotta della famigerata Urca de Lima col solo scopo di riempirsi le tasche d’oro, neppure lo avrebbe immaginato che, un giorno, tutto si sarebbe capovolto. Che da un furfante dallo sguardo sagace quale era sarebbe diventato uno degli uomini più temuti di tutti i mari. Che da egoista squattrinato con la risposta sempre pronta sarebbe diventato il punto di riferimento di un intero equipaggio.
Nelle prime stagioni di Black Sails lo vediamo costantemente in lotta per cercare di sopravvivere in un mondo di fuorilegge, ladri e assassini.
La stima che prova nei confronti delle persone che lo circondano è pari a zero, il suo unico obiettivo è quello di manipolare il prossimo per potersi arricchire e per poter sopravvivere. L’equipaggio lo considera un reietto e un codardo, e l’unico amico che Silver sembra avere è un vecchio con qualche rotella fuori posto.
Non sente legami con quella gente, non prova affetto per Flint, non gli interessano i suoi sogni utopistici. Eppure, col passare del tempo, qualcosa si rompe nella visione individualistica di Silver. Col passare del tempo, qualcosa fa breccia dentro di lui. Le sue parole arrivano a toccare gli uomini e gli uomini, alla fine, arrivano a toccare lui. Lo scuotono dalla spensieratezza disinvolta del cuoco imbroglione e gli mostrano l’essenza della vita da pirata. Tutte le cose che prima non sentiva, i legami, la fratellanza, il vincolo di sangue, all’improvviso fanno capolinea nella vuota esistenza di John Silver. E il “riscatto” gli piomba addosso nell’istante stesso in cui gli tagliano via la gamba, tra atroci sofferenze.
In mezzo al sangue, al sudore, alle urla e ai brandelli di carne che si staccano dal corpo, nasce Long John Silver. Un uomo che ha perso una gamba, ma ha trovato un posto nel mondo.
Il suo rapporto con il capitano Flint, sempre così ambiguo e confuso, tenuto costantemente in bilico tra luce e oscurità, è uno dei tratti più sorprendenti e meglio riusciti in Black Sails.
La loro amicizia è un viaggio meraviglioso negli anfratti più reconditi della coscienza umana. Esplora le tenebre che si addensano nel passato – sempre così presente quello di Flint, sempre così sfuggente quello di Silver – e sonda il limite massimo oltre il quale non ci si può più spingere.
Sempre uno accanto all’altro, sempre uno contro l’altro. Sembra bizzarro, eppure è il principio attorno a cui ruota l’identità stessa di Black Sails, la lotta intestina tra due anime più intime e antitetiche. Ma mentre il capitano Flint è un instancabile sognatore disposto a sacrificare tutto in nome di un’utopia, Silver ci appare più umano, più terreno. Mentre i sogni di Flint trovano posto in alto, da qualche parte nel cielo sopra la testa e nel cielo che si porta dentro, i sogni di Silver sanno invece di terra, di uomini e di carne. E anelano la pace, quella stessa pace che sembrava aver trovato solo con Madi.
Il capitano Flint è nato da una tragedia, come lo stesso Silver ci racconta nel capitolo finale della serie. Long John è nato da un arto amputato e da un vuoto colmato.
Lui che, marinaio imbroglione e truffaldino, non poteva essere nessuno nel mondo, è diventato qualcuno tra i pirati. E il tacchettìo meccanico della gamba di legno sul pavimento, quel tic tac sinistro e cupo che rimbomba nel buio, sta lì a ricordarci al prezzo di quali sofferenze.
Leggi anche – Lettera del Capitano Flint a John Silver