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Blocco 181, la recensione dei primi due episodi della nuova serie targata Sky

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La giornata di ieri ha visto il debutto di una delle serie più attese della stagione, la produzione originale Sky Blocco 181. La serie, che vede la partecipazione del rapper Salmo, punta a rivolgersi ad un pubblico ben preciso, con la volontà di portare on screen una realtà ricercata, raccontandola ai giovani, principale target di riferimento, visti gli interpreti e l’impronta artistica, e proponendola come possibile sorpresa agli occhi del resto del pubblico, quello più datato, sicuramente più lontano da questo tipo di cultura pop che unisce la serialità italiana (auto referenziale e non) degli ultimi tempi al baluardo costante della musica rap, che ormai da anni domina le classifiche italiane ispirando continuamente (sempre per rimanere in tema) commistioni di genere con altri artisti. Noi di Hall of Series abbiamo visto i primi due episodi e ne siamo rimasti piacevolmente colpiti. La nostra recensione.

Blocco 181 parte da basi solide e promettenti

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Partiamo subito da un “mito” da sfatare. Una delle ipotesi (azzardate) che si sono diffuse intorno a questa serie, per come è stata sponsorizzata, riguarda la possibilità che si volesse disegnare una Milano anomala, quasi surreale, giusto per portare un po’ di crime per le strade della serialità italiana, nel tentativo di internazionalizzarla, lasciando per una volta da parte lo specifico racconto di storie di mafia, camorra e quant’altro.

Ma non è così. Blocco 181 non vuole dipingere cose non vere giusto per cavalcare l’onda del successo di chi si fomenta nel vedere due sparatorie in tv.

Non si tratta di disegnare Milano come il far west che non è ma che potrebbe diventare. La serie si pone l’obiettivo di raccontare una realtà esistente e ben nascosta, di cui forse ci si preoccupa meno perché non tanto rumorosa, quella della cocaina nella Milano bene, insieme alla condizione delle minoranze multiculturali della metropoli italiana, aspetto assolutamente reale e che in Blocco 181 trova una voce, una possibilità d’espressione. E a rappresentare queste condizioni ci sono tre ragazzi appartenenti a tre culture diametralmente opposte ma mai così tanto vicine, accomunate sì dalla microcriminalità, ma anche dal semplice fatto di essere tre giovani che vivono a Milano, ora, nel presente. E a fare da contorno c’è l’ombra spaventosa di chi sta nelle retrovie e gestisce tutto dall’alto, forse inarrivabile.

Le due facce di Milano

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Da una parte il lusso e l’eccesso che si nascondono nelle luminose e variopinte notti milanesi, d’altra parte il senso d’appartenenza come motore di una gioventù che proviene da lontano ma che ha già affondato le radici della sua cultura nel capoluogo lombardo. I tre protagonisti che ci vengono presentati in questa prima puntata di Blocco 181 sono Bea, una ragazza sudamericana che vive nella multiculturalità della periferia milanese con la sua famiglia, intesa come casa, e con la sua Misa, intesa come gang d’appartenenza. Bea, nella Misa, è l’unica a parlare italiano, segno evidente della volontà di estendere i propri orizzonti, di trovare una via d’uscita da una cultura di quartiere retrograda che, come donna, la condanna ad un ruolo secondario, marginale. Ludovico, un ragazzo appartenente ad una famiglia benestante ma assente, che ha deciso di sua spontanea volontà (e sarà interessante scoprire le dinamiche che lo hanno condotto a tale scelta) di cominciare a fare il corriere della droga per la Milano bene, con il motorino da coca delivery che passa inosservato, nove volte su dieci. Ludovico ha qualcosa di profondo da raccontare, a partire dalla sua condizione familiare, dalla sorella chiusa in una clinica in rehab, di cui si prende preziosamente cura. E poi c’è Mahdi, un ragazzo di origine marocchina con una marcata cadenza milanese, dettaglio non scontato, misterioso e solitario, di lui per ora si sa meno degli altri, per vivere ritira gli affitti delle case abusive del Blocco per conto di Rizzo (Alessio Praticò) e la sua cricca. 

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Una considerazione interessante riguarda proprio la scelta di tre personaggi con queste caratteristiche: Blocco 181, fin dall’inizio, decide di non rischiare inutilmente, di puntare su tre storie che hanno un non so che di già sentito, in particolare Ludovico (vedi il Valerio di Gomorra o, meno marcatamente, il personaggio di Gabriele in Suburra), permettendosi in questo modo di dare allo spettatore un qualcosa di immediatamente riconoscibile ed assimilabile, per poi puntare sullo sviluppo di queste identità in un modo che per ora pare molto interessante e soprattutto deciso, andando a toccare, per esempio, le corde di una sessualità vissuta con estrema spontaneità, un qualcosa che effettivamente nel mercato italiano non è poi così “già sentito”. Le prime due puntate della serie ci hanno raccontato la voglia di evadere che hanno questi tre ragazzi, di fare qualcosa di proibito ed impensabile, per loro stessi, per fuggire ognuno dalla propria condizione sociale che non sembra appartenergli. Ludo, Bea e Mahdi cavalcano la notte milanese prima come corrieri, per poi decidere di “mettersi in proprio” sfidando letteralmente il sistema e andando a cacciarsi in qualcosa che sicuramente gli procurerà più di un guaio, ma che serve a farli sentire vivi e realizzati, in una società in cui non sembra esserci posto per un “marocchino di m****”, come il vicino urla a Mahdi, per una donna che non può comandare solo perché donna, e che quindi è costretta a voltare le spalle alle sue opprimenti radici, e per un ragazzo di buona famiglia, l’unico ricco che non avrebbe bisogno di lavorare in questi contesti così lontani da lui, ma che lo fa per un semplice motivo, la ricerca di un senso d’appartenenza, un qualcosa in cui credere.

Quando l’arte incontra l’arte

Uno degli aspetti che sicuramente più ci incuriosisce di Blocco 181, sta nel fatto che da un punto di vista artistico la serie si ponga come fattore convergente di due importanti sfumature della cultura pop (intesa come popolare, sia chiaro) dell’Italia di oggi. In un paese in cui le classifiche musicali sono letteralmente dominate dai rapper, in cui la cultura urban e hip hop è sempre più al centro della mondanità giovanile, una serie come Blocco 181 era necessaria sia per dare ai fan di questa cultura una sua rappresentazione il più realistica possibile, sia per presentare, come dicevamo a inizio articolo, ad un pubblico più ampio (che non per forza va a comprendere i soli giovani) quella che è effettivamente l’attualità culturale di Milano e del nostro paese. Salmo (se non sapete chi sia è il momento giusto per aprire Google e tornare nel presente) si mette in gioco per un motivo. Più che come attore (interprete di Snake), aspetto per cui è troppo presto per dare impressioni, per quel poco che si è visto nelle prime due puntate, lo fa come promotore di quella cultura di cui abbiamo parlato. E per quanto non sia milanese, è giusto che sia lui a rappresentare tutto ciò, perché la serie, si, è ambientata a Milano e dipinge la città per quello che è, ma si esprime su determinate tematiche e abbraccia un’intera generazione che va ben oltre i confini cittadini. E dal punto di vista musicale ed artistico la serie dimostra di avere un’identità forte e credibile, con una colonna sonora talmente ben cucita addosso che nemmeno la si percepisce, perché il risultato è una fusione estremamente lineare delle due forme d’arte, la musica e la serialità.

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