Bodkin, (qui potete leggere la nostra recensione) la miniserie di sette episodi disponibile su Netflix da maggio 2024, ci fa immergere immediatamente nell’Irlanda rurale e nelle storie del folklore irlandese, ambientando le vicende dei protagonisti in un piccolo paese immaginario della Contea di Cork, durante la preparazione e i festeggiamenti di Samhain, una festa celtico-pagana il cui significato è sia materiale, sia simbolico che spirituale.
Infatti per il popolo irlandese questa celebrazione annunciava i preparativi per l’arrivo dell’inverno, in cui si mettevano da parte le provviste in vista dei lunghi mesi freddi, e in cui si radunava il bestiame. Allo stesso tempo, però, rappresentava anche il momento in cui il mondo dei morti incontrava quello dei vivi, in cui le anime venivano attese e accolte, annullando il concetto di tempo: l’aldilà in quel momento si fondeva con coloro che abitavano sulla terra.
Per questo motivo durante quella notte, tra il 31 ottobre e il 1° novembre, i cittadini dei villaggi irlandesi erano soliti accendere fiaccole e torce fuori dagli usci di casa, lasciando cibo e bevande per i loro antenati defunti in visita. Durante la festa ci si travestiva, spesso con pelli e crani di animali, per confondere i morti o mescolarsi tra loro in danze e coreografie. È una celebrazione che lega le due anime dell’Irlanda, quella gaelica e quella cristiana. Il Samhain, inoltre non è altro che il “papà” putativo della ben più conosciuta festa di Halloween.
Infatti durante la metà dell’1800 dall’Irlanda partirono milioni di persone stremate dalla fame a causa della peronospora, un fungo patogeno che distrusse tutti i raccolti di patate, uno dei pochi mezzi di sostentamento della popolazione. Le navi cariche di uomini, donne e bambini viaggiarono oltreoceano, fino all’America. Queste persone portarono con sé tutti i loro averi e le loro tradizioni. E fu così che negli Stati Uniti il Samhain si trasformò lentamente in Halloween.
Torniamo ora a Bodkin, con le sue colline verdi, le case colorate, l’oceano azzurro pastello, i prati dall’erba alta e incolta, le barche dei pescatori e le anguille, il pub colmo di gente che beve birra e canta, accompagnando lo spettatore lungo tutti gli episodi della serie. C’è anche un monastero di suore, su di un’isola, un luogo importantissimo ai fini dell’intreccio con la storia principale. E poi c’è un lupo, che appare improvvisamente ogni volta che Dove, la giornalista arrivata da Londra e protagonista delle vicende, ha delle visioni sul suo passato e sul suo presente. Un lupo tranquillo, per nulla minaccioso, che la osserva immobile e poi scompare.
Ma l’atmosfera idilliaca e apparentemente innocente del piccolo paese, è un chiaro scuro alternato alla cupezza e al mistero di una tragedia che accadde vent’anni prima: durante la festa di Samhain tre persone scomparvero, senza lasciare alcuna traccia. Ed eccoci vent’anni dopo, insieme ai protagonisti che provano a indagare sugli avvenimenti accaduti nel passato, scoprendo segreti, bugie, intrighi e colpi di scena all’interno dei rapporti tra gli abitanti del piccolo villaggio. Durante la settima e ultima puntata di Bodkin, le storie dei tre personaggi principali si dividono per poi ricongiungersi fino ad arrivare alla soluzione del caso.
Ma il vero attore della serie è proprio il festival di Samhain, con le sue fiamme e le sue luci provenienti dai fuochi e dalle lanterne portate a mano, con gli alberi addobbati da enormi maschere mostruose di demoni e di teschi, con spaventapasseri e zucche dai sorrisi storti, con persone incappucciate come fantasmi o con teste di caproni, in una sfilata notturna grottesca e vivace.
Ciò che viene rappresentato, però, è un Samhain svuotato del suo vero significato pagano, cioè quello connesso con i cicli di vita-morte dell’uomo e della natura. Dietro le maschere e i balli sfrenati a ritmo di musica tecno rimane solo il lato commerciale dell’evento. Basterà una voce fuori dal coro, un canto nel silenzio sollevato da un irlandese rimasto a vivere nella sua terra natia, a ripristinare l’atmosfera e il significato primordiale del festival. Una scena che si conclude con un’unione tra passato e presente. Bodkin infatti è come un piccolo pendolo che oscilla continuamente tra l’attaccamento alle proprie tradizioni e il voler occultare ciò che è avvenuto prima e che fa parte della sua storia.
Questa è un po’ l’intera dicotomia della serie, la quale vuole presentare allo spettatore come le tradizioni e le persone siano trasfigurate dal tempo. La verità, dirà Gilbert, uno dei protagonisti, non è unica, ma al contrario è come un prisma attraversato dalla luce, con le sue mille facce diverse, ognuna con una storia e una dignità.
Persino la sigla di Bodkin è un affresco di immagini e colori onirici e surreali legati alla tradizione del Samhain, all’inconscio, alle visioni, all’incubo e a ciò che accadrà durante la puntata. È come una premonizione visiva che varia di volta in volta, da un episodio all’altro.
La serie ha fatto molto discutere in Irlanda e tra gli irlandesi, i quali hanno visto nella rappresentazione del loro paese unicamente un insieme di stereotipi dettati dal punto di vista degli americani. All’occhio dello spettatore italiano, invece, il racconto di Bodkin è una delle tante verità possibili, come le facce di un prisma.